N. 106 - Ottobre 2016
(CXXXVII)
Kennedy
e il
Vietnam
giù
nel
baratro
di
Giovanni
De
Notaris
La storia della presenza straniera in Vietnam risale a secoli
di
dominio
cinese,
seguiti
dal
1860
da
un
secolo
di
dominazione
francese
e
poi
dall’occupazione
giapponese
durante
la
seconda
guerra
mondiale.
Nel
1946
cominciò
la
lotta
per
l’indipendenza
guidata
da
Ho
Chi
Minh
conclusasi
nel
1954
con
la
sconfitta
dei
francesi
a
Dien
Bien
Phue
e
con
la
divisione
del
Nord
dal
Sud.
Nel 1959 i soldati del Vietnam del nord aprirono il cosiddetto
sentiero
di
Ho
Chi
Minh,
nella
giungla
del
Laos,
che
subito
si
riempì
di
guerriglieri
diretti
verso
il
Vietnam
del
sud.
Il
Laos
divenne
a
quel
punto
un’ulteriore
minaccia
comunista
che
gli
Stati
Uniti
dovevano
a
tutti
i
costi
impedire.
La
CIA
cominciò
quindi
a
addestrare
un
esercito
di
guerriglieri
e
creò
un
nuovo
governo
per
combattere
i
comunisti
e
attaccare
il
sentiero.
I
nordvietnamiti
però
reagirono
attaccando
più
duramente
il
Laos
e
addestrando
a
loro
volta
i
comunisti
locali.
La
CIA
allora
decise
di
far
cadere
il
governo
precedente
e ne
creò
uno
nuovo
con
a
capo
il
principe
Souvanna
Phouma.
Agli inizi del 1961, sotto l’amministrazione di Dwight Eisenhower,
la
CIA
consegnò
anche
delle
armi
alla
tribù
locale
degli
Hmong,
guidata
dal
generale
laotiano
Vang
Pao.
Dopo
sei
mesi,
durante
la
nuova
amministrazione
del
neoeletto
John
F.
Kennedy,
gli
Hmong
si
allearono
con
i
guerriglieri
thailandesi
per
combattere
il
comunismo.
La
missione
principale
era
ancora
bloccare
il
sentiero
di
Ho
Chi
Minh.
Ora
il
destino
del
Laos
e
del
Vietnam
del
sud
erano
legati
assieme
dal
filo
doppio.
Gli Stati Uniti volevano a tutti i costi impedire che i
vietnamiti
si
riunificassero
e si
rendessero
indipendenti.
Kennedy
però
aveva
sempre
espresso
la
sua
determinazione
a
non
interferire
nel
processo
di
riunificazione
vietnamita,
ma
temendo
poi
che
l’indipendenza
del
Vietnam
portasse
alla
diffusione
del
comunismo
in
tutta
quella
zona
decise
di
procedere
con
il
sostegno
al
Sud
contro
il
Nord.
Gli
uomini
incaricati
di
esaminare
il
problema
furono:
il
generale
Maxwell
Taylor
e il
vice
consigliere
per
la
Sicurezza
Nazionale
Walter
W.
Rostow.
Il
loro
compito
era
studiare
un
piano
per
salvare
il
Sudest
asiatico
dal
comunismo.
Il
presidente
chiese,
inoltre,
alla
CIA
di
intensificare
le
operazioni
di
guerriglia
contro
il
Vietnam
del
nord
e a
Roswell
Gilpatric,
vice
segretario
alla
Difesa,
di
studiare
un
piano
per
aiutare
il
Sud.
Inviò
inoltre
il
vicepresidente
Lyndon
B.
Johnson
a
Saigon,
capitale
del
Vietnam
del
sud,
per
assicurare
aiuti
al
presidente
Ngo
Dinh
Diem.
In realtà nel 1961 nessun funzionario del governo americano
intendeva
proporre
un
impegno
diretto
del
proprio
paese
in
Vietnam.
Kennedy
stesso
infatti
riteneva
che
il
Vietnam
dovesse
cominciare
a
riformarsi
dall’interno
per
essere
aiutato
dagli
Stati
Uniti,
evitando
però
una
guerra
con
il
Nord.
Nel
marzo
1961,
comunque,
in
uno
spirito
di
appoggio
esterno
al
governo
di
Diem,
alcuni
aerei
americani
ricevettero
l’ordine
di
abbattere
eventuali
veicoli
ostili
che
si
trovavano
nello
spazio
aereo
del
Vietnam
del
sud.
Ma
tutto
doveva
essere
fatto
nella
massima
sicurezza
e
segretezza.
Sostanzialmente
gli
americani
non
erano
lì.
Kennedy voleva infatti evitare proteste internazionali ma
anche
che,
come
conseguenza
del
loro
intervento,
anche
la
Cina
sostenesse
con
aiuti
militari
i
Vietcong.
In
realtà
gli
Stati
Uniti
non
sostennero
subito
Diem
perché
era
chiaro
che
il
presidente
sudvietnamita
non
voleva
attuare
quelle
riforme
che
il
presidente
chiedeva.
Proprio
a
tal
proposito,
nell’estate
del
1961,
venne
creato
un
gruppo
finanziario
per
sostenere
le
riforme
militari
e
economiche
del
Vietnam
del
sud.
Kennedy all’epoca intendeva fornire solo quello perché riteneva
che
prima
di
un
eventuale
intervento
diretto
nel
Vietnam
bisognasse
preparare
l’opinione
pubblica
americana,
spiegando
che
si
trattava
di
una
cosa
giusta,
altrimenti
sarebbe
apparsa
come
un’aggressione.
Agli
inizi
di
agosto
inviò
una
lettera
a
Diem
in
cui
prometteva
di
finanziare
il
potenziamento
del
suo
esercito
fino
a
200.000
unità
ma
solo
a
patto
che
avesse
contrastato
efficacemente
le
azioni
dei
Vietcong.
Ma
Diem
faceva
orecchie
da
mercante.
Riteneva
infatti
che
solo
con
delle
repressioni
brutali
avrebbe
conservato
il
suo
consenso.
Il 15 settembre Rostow aveva comunicato al presidente che
il
Vietnam
del
nord
stava
per
passare
alla
guerra
aperta.
C’era
stato
inoltre
un
incremento
delle
forze
Vietcong
fino
15.000
uomini.
Il
governo
di
Diem
inoltre
era
sempre
più
debole
e
quindi
le
pressioni
dei
comunisti
si
potevano
intensificare.
I consiglieri di guerra del presidente a quel punto erano
concordi
su
un
maggiore
impegno
militare.
I
funzionari
del
Dipartimento
di
Stato
ritenevano
che
sarebbero
stati
necessari
tra
i
22.000
e
40.000
uomini,
ma
in
caso
di
conflitto
aperto
bisognava
aumentarli
a
ben
quattro
divisioni.
L’11
ottobre
1961
il
presidente
diede
istruzioni
al
generale
Taylor,
a
Rostow
e
altri,
che
sarebbe
stato
disposto
a
aumentare
la
presenza
americana
in
Vietnam
ma
solo
come
ruolo
simbolico,
e
che
comunque
le
operazioni
dovevano
basarsi
più
che
altro
sull’assistenza
ai
militari.
I
colloqui
che
si
dovevano
tenere
a
Saigon
specificarono
che
le
forze
armate
americane
sarebbero
intervenute
solo
in
casi
estremi,
perché
se
gli
Stati
Uniti
si
fossero
impegnati
direttamente
avrebbero
provocato
una
reazione
massiccia
degli
altri
paesi
comunisti
della
zona.
Dal 17 ottobre al 2 novembre gli inviati del presidente in
Vietnam
iniziarono
i
colloqui
e
poi
fornirono
un
rapporto
che
raccomandava
l’uso
massiccio
di
forze
americane
nel
paese
per
limitare
quella
che
veniva
definita
la
“para
guerra”
attuata
dal
leader
sovietico
Nikita
Krusciov;
in
sostanza
piccole
guerriglie
nei
paesi
vicini
per
destabilizzare
i
governi
senza
un
vero
e
proprio
intervento
diretto.
Gli
americani
avrebbero
avuto
il
solo
compito
di
insegnare
ai
vietnamiti
come
gestire
il
loro
paese
sotto
tutti
gli
aspetti,
ma
senza
un
loro
intervento
diretto
per
sconfiggere
i
Vietcong.
I due sostenevano inoltre la necessità di inviare in Vietnam
tra
i
6.000
e
gli
8.000
uomini
per
supportare
logisticamente
e
militarmente
le
truppe
sudvietnamite.
Si
poteva
trovare
il
pretesto
di
un
soccorso
americano
per
i
vietnamiti
colpiti
da
un’inondazione
del
delta
del
Mekong.
L’altra
idea
era
quella
di
rovesciare
il
governo
di
Diem
con
un
colpo
di
stato,
ma
il
rapporto
lo
sconsigliava
perché
non
si
potevano
prevederne
le
conseguenze.
Il segretario alla Difesa Robert McNamara era d’accordo e
suggeriva
un
invio
di
truppe
tra
gli
8.000
e i
10.000
uomini.
Ma
si
sarebbe
poi
comunque
dovuti
passare
a
circa
200.000
unità,
sei
divisioni,
per
contrastare
più
decisamente
il
Nord
e i
cinesi.
Dean
Rusk
e il
Dipartimento
di
Stato
invece
non
erano
d’accordo.
Durante il mese di novembre, mentre si discuteva dell’impegno
militare
americano
in
Vietnam,
il
leader
della
maggioranza
al
Senato
Mike
Mansfield
e
altri
espressero
la
loro
contrarietà
a
un’azione
di
guerra
contro
il
Vietnam
del
nord.
Kennedy
fu
d’accordo.
La
sua
strategia
era
quella
di
minacciare
il
Nord
con
la
possibilità
di
un
intervento
americano
inviando
però
solo
consiglieri
militari.
I
militari
americani
dovevano
solo
assistere
i
sudvietnamiti
contro
i
Vietcong
ma
senza
alcun
coinvolgimento
diretto
in
azioni
di
guerra,
anche
perché
il
presidente
sapeva
che
difficilmente
avrebbe
avuto
l’appoggio
del
Congresso
per
un’azione
di
guerra.
Ma
nel
contesto
della
guerra
fredda
capì
pure
che
non
poteva
perdere
il
Vietnam
del
sud.
Così il 15 novembre fece pervenire un messaggio a Diem in
cui
gli
comunicava
la
disponibilità
a
raddoppiare
i
1.200
uomini
e a
fornire
nuove
attrezzature
militari,
insistendo
però
sul
fatto
che
fossero
i
sudvietnamiti
a
portare
avanti
il
conflitto.
Ma
durante
l’inverno
tra
il
1961
e il
1962
Diem
creò
altri
problemi
a
Washington
rifiutandosi
di
cedere
gran
parte
del
suo
potere
in
favore
di
un
sistema
più
democratico.
Intanto i consiglieri militari accompagnavano comunque sui
campi
di
battaglia
i
soldati
vietnamiti
restando
loro
malgrado
coinvolti
nei
combattimenti.
Kennedy
però
continuava
a
non
voler
ufficializzare
l’impegno
americano
in
Vietnam
perché
temeva
il
ritorcersi
sulle
relazioni
con
la
Russia
e la
Cina.
Sperava
inoltre
che
la
minaccia
di
un
intervento
militare
avrebbe
spinto
il
Vietnam
del
nord
ai
negoziati
che
avrebbero
permesso
al
Sud
di
conservare
la
sua
indipendenza
e
agli
Stati
Uniti
di
disimpegnarsi.
Ma ovviamente i media americani cominciarono a subodorare
la
cosa
e
insistevano
con
il
presidente
e il
suo
staff
per
capire
quanto
gli
Stati
Uniti
fossero
davvero
implicati
nel
conflitto.
I
corrispondenti
della
NBC
e di
Time
erano
venuti
infatti
a
conoscenza
di
combattimenti
aerei
dove
erano
coinvolti
aerei
statunitensi.
Nel dicembre 1962 fu ormai chiaro che la guerra non stava
affatto
terminando
a
favore
degli
Stati
Uniti,
a
causa
soprattutto
della
resistenza
di
Diem
a
una
maggiore
democratizzazione
del
Sud.
I
Vietcong
inoltre
erano
sempre
più
forti
e
agguerriti.
Si
cominciava
a
intravedere
la
necessità
di
un
intervento
militare
in
piena
regola.
Ma
Kennedy
ancora
rifiutava
l’idea.
Cosicché
inviò
Mike
Forrestal
e
Roger
Hilsman
del
Dipartimento
di
Stato
in
Vietnam.
I
due
notarono
che
seppur
migliorata
rispetto
all’anno
precedente
la
situazione
restava
ancora
problematica.
La
guerra
poteva
essere
vinta
ma
con
più
tempo
e
più
truppe.
Nel 1963 era ormai chiaro che il Vietnam del sud non sarebbe
sopravvissuto
senza
gli
aiuti
economici
e
militari
statunitensi.
Il presidente però riteneva anche che se prima del 1964
avrebbe
ordinato
un
ritiro
questo
avrebbe
inciso
negativamente
sulle
possibilità
di
essere
rieletto.
Ma
tutto
peggiorò
quando
l’8
maggio
1963
il
presidente
Diem
perpetrò
dei
soprusi
contro
i
buddisti
a
vantaggio
della
minoranza
cattolica,
attaccando
e
uccidendo
i
membri
della
comunità
buddista
di
Huè.
In
quello
stesso
mese
infatti
i
monaci
buddisti
avevano
protestato
contro
le
politiche
repressive
di
Diem,
e
alcuni
si
erano
pure
dati
fuoco.
Kennedy allora nominò Henry Cabot Lodge ambasciatore nel
Vietnam
del
sud.
Il 4 luglio, in una riunione, presenti anche Forrestal e
Hilsman,
al
presidente
fu
consigliato
di
smarcarsi
dalle
azioni
di
Diem.
Il
suo
governo
ormai
non
era
più
controllabile.
Si
decise
che
entro
la
fine
del
1963
sarebbero
stati
ritirati
1.000
consiglieri
militari.
Sempre
lo
stesso
giorno
l’agente
CIA
sul
luogo,
Lucien
Conein,
seppe
dal
generale
Tran
Van
Don
che
l’esercito
si
stava
preparando
a un
colpo
di
stato
contro
Diem.
Il 21 agosto Diem scatenò un attacco senza precedenti contro
le
pagode
per
annientare
la
resistenza
buddista.
Lodge
gli
comunicò
che
gli
Stati
Uniti
non
avrebbero
più
sostenuto
il
Vietnam
del
sud.
Si
cominciò
così
a
prefigurare
l’ipotesi
di
una
sostituzione
di
Diem.
Kennedy
però
era
titubante,
sia
perché
non
voleva
la
morte
di
Diem
e
sia
perché
era
dubbioso
sul
successo
di
un
colpo
di
stato.
Ma
tutti
nell’amministrazione
erano
convinti
che
ormai
non
vi
fosse
più
scelta.
Il 23 agosto, tramite Forrestal, Kennedy comunicò a Lodge
di
preparare
un
piano
per
la
sostituzione
di
Diem.
Il
30
agosto
il
colpo
di
stato
partì
ma
poi
franò
il
giorno
dopo
perché
i
generali
sudvietnamiti
non
ebbero
né
la
forza
né
la
volontà
per
farlo.
Kennedy
allora
spinse
nuovamente
per
una
maggiore
democratizzazione
del
sistema.
Nell’estate del 1963 McNamara andò sul luogo con Taylor per
verificare
la
situazione
e
riferire
al
presidente.
Il 2
ottobre
i
due
dissero
che
seppur
la
campagna
militare
sembrava
fare
progressi
non
vi
era
alcuna
possibilità
di
democratizzare
il
sistema
sudvietnamita,
oltre
al
fatto
che
le
truppe
potevano
essere
ritirate
solo
nel
1965.
Il 5 ottobre, a Saigon, il generale Duong Van Minh chiese a
Conein
cosa
ne
pensasse
il
suo
paese
di
un
cambio
di
governo
in
Vietnam.
Il
generale
disse
che
se
non
si
fosse
provveduto
in
fretta
i
Vietcong
avrebbero
vinto
la
guerra.
Il
governo
americano
allora
riferì
che
non
incoraggiava
un
colpo
di
stato
ma
non
si
sarebbe
opposto
a un
cambio
di
regime.
Kennedy
era
contrario.
Ma il 1° novembre il golpe scoppiò comunque.
Il 2 novembre Diem e il fratello Ngo Dinh Nhu si arresero
dopo
un
tentativo
di
fuga,
e fu
chiesto
alla
CIA
di
fornire
un
aereo
per
il
loro
esilio.
Ma,
prima
che
l’aereo
potesse
arrivare,
i
due
furono
assassinati
per
ordine
del
generale
Duong
che
riferì
poi
a
Conein
che
i
due
si
erano
suicidati.
Il 2 novembre 1963 durante una riunione al mattino con Rusk,
McNamara
e
Taylor,
Kennedy
fu
informato
dell’accaduto
da
Forrestal
e
uscì
sconvolto
dalla
stanza
dove
erano
riuniti.
Il 21 novembre, mentre si recava in Texas all’appuntamento
con
la
storia,
il
presidente
disse
a
Forrestal
di
preparare
per
l’inizio
dell’anno
seguente
un
piano
per
il
ritiro;
fu
la
sua
ultima
decisione
riguardo
al
Vietnam.