N. 135 - Marzo 2019
(CLXVI)
uno sguardO al Kashmir
GLI Errori post-coloniali e una ferita mai sanata
di Gian Marco Boellisi
Sebbene
la
maggior
parte
dell’opinione
pubblica
sembra
non
farci
caso,
molti
conflitti
e
aree
di
crisi
nell’attuale
scenario
geopolitico
sono
dovute
alle
conseguenze
del
colonialismo
europeo
nel
mondo
e
agli
errori
ancora
più
gravi
nella
gestione
del
periodo
post
coloniale.
È
sotto
gli
occhi
di
tutti,
ogni
giorno.
Alcuni
focolai
si
sono
spenti,
altri
continuano
ad
ardere
e
altri
ancora
rimangono
sopiti
per
diverso
tempo,
come
carboni
ardenti
sotto
la
brace
spenta,
in
attesa
di
uno
spiraglio
di
aria
per
riaccendersi
e
divampare
nuovamente.
Questo
è il
caso
del
conflitto
tra
India
e
Pakistan
per
il
Kashmir,
regione
contesa
da
tempo
immemore
dai
due
stati
e
oggetto
in
numerose
occasioni
di
scontri
e
conflitti.
Lo
scorso
mese
si è
assistito
a
una
pericolosa
escalation,
che
non
solo
ha
provocato
svariate
vittime
da
entrambe
le
parti
ma
ha
anche
aumentato
la
tensione
in
un’area
del
globo
già
in
preda
al
caos
più
totale
da
15
anni
a
questa
parte.
Vale
la
pena
quindi
cercare
di
comprendere
cosa
sia
successo
e a
cosa
questo
corso
di
eventi
possa
portare.
Partiamo
tuttavia
con
l’analisi
di
come
le
tensioni
tra
queste
due
nazioni
si
sono
venute
a
creare
nel
corso
della
storia.
Il
tutto
iniziò
quando
il
dominio
dell’Impero
Britannico
nella
regione
si
spezzò
per
dare
vita
allo
stato
indiano
nella
sua
forma
attuale.
All’epoca
l’India
comprendeva
due
componenti
principali
della
popolazione,
quella
indù
e
quella
musulmana.
Si
capì
sin
da
subito
che
far
convivere
queste
due
confessioni
religiose
dotandole
di
pari
diritti
avrebbe
portato
solamente
a
tensioni.
Fu
deciso
quindi
di
fondare
una
nuova
nazione
per
evitare
tutto
questo
e il
14
agosto
1947
nacque
lo
stato
del
Pakistan.
Grande
artefice
di
tale
opera
politica
fu
l’avvocato
Mohammad
Ali
Jinnah,
il
quale
sognò
di
dare
una
terra
ai
musulmani
in
fuga
dall’India
di
quei
tempi.
Purtroppo
Ali
Jinnah
non
visse
così
a
lungo
da
poter
vedere
concluso
il
proprio
progetto
politico
né
tantomeno
una
transizione
pacifica
tra
India
e
Pakistan.
Come
prima
cosa
si
procedette
alla
spartizione
dei
territori
da
assegnare
a
ciascuna
delle
due
giovani
nazioni.
Quando
arrivò
il
turno
del
Kashmir
sin
da
subito
si
manifestarono
problemi.
La
popolazione
locale
nel
1947
era
composta
dal
77%
di
musulmani
e
dal
20%
di
indù,
motivo
per
il
quale
sarebbe
stata
naturale
un’annessione
al
Pakistan.
Nonostante
la
volontà
popolare
si
manifestò
in
tal
senso,
il
Maharaja
a
capo
di
questa
provincia
cercò
di
corteggiare
sia
l’una
che
l’altra
parte,
mostrando
tuttavia
una
violenza
inaudita
contro
la
popolazione
locale
che
manifestava
a
gran
voce
a
favore
dell’annessione
pakistana.
Movimenti
di
guerriglia
iniziarono
a
formarsi
all’interno
della
regione,
tanto
che
la
situazione
sembrò
essere
in
brevissimo
tempo
sull’orlo
del
baratro.
Con
una
mossa
a
sorpresa,
il
Maharaja
firmò
un
accordo
con
l’India,
permettendo
a
truppe
indiane
di
cacciare
via
gli
irregolari
supportati
dal
Pakistan
confinandoli
così
solo
in
una
piccola
porzione
di
territorio.
Ovviamente
il
Pakistan
accusò
l’India
di
ingerenza
esterna,
affermando
che
il
Maharaja
non
avesse
alcun
diritto
di
parlare
a
nome
del
popolo
del
Kashmir,
il
quale
tra
l’altro
non
la
pensava
come
lui.
La
situazione
sembrò
subito
bloccarsi
in
uno
stallo
senza
fine.
A
questo
punto
il
Primo
Ministro
indiano
si
rivolse
alle
Nazioni
Unite
nei
primi
mesi
del
1948.
Questo
appello
alla
conclusione
della
crisi
portò
alla
risoluzione
47
del
21
aprile
1948,
dove
venne
stabilito
che
la
volontà
popolare
del
Kashmir
doveva
essere
espressa
liberamente,
e
solo
in
base
a un
voto
democratico
si
sarebbe
potuta
stabilire
l’appartenenza
della
regione.
L’India
si
oppose
fermamente
a
questa
delibera
e
stabilì
che
nessun
referendum
si
sarebbe
potuto
eseguire
fino
a
quando
irregolari
pakistani
sarebbero
rimasti
sul
suolo
del
Kashmir.
Per
i
mesi
successivi
si
cercò
di
far
firmare
a
entrambe
le
nazioni
un
trattato
di
pace,
dopo
il
quale
sarebbero
state
smobilitate
tutte
le
truppe
e si
sarebbe
potuti
procedere
al
tanto
agognato
referendum.
Tuttavia
entrambe
le
parti
interpretarono
il
processo
di
smilitarizzazione
in
un
modo
diverso
e
non
si
arrivò
all’accordo
di
pace
a
cui
le
Nazioni
Unite
avevano
auspicato.
Il
risultato
delle
negoziazioni
fu
un
“cessate
il
fuoco”
sottoscritto
alla
fine
del
1948,
il
quale
di
fatto
congelava
il
Kashmir
in
diverse
zone
d’influenze.
Questa
situazione
precaria
non
portò
mai
a un
referendum
e la
spartizione
grossolana
dei
territori
non
generò
altro
se
non
ulteriore
violenza,
tra
cui
i
conflitti
del
1965,
del
1971
e
del
1999.
Ancora
oggi
circa
la
metà
del
Kashmir
è in
mano
indiana,
un
terzo
in
mano
pakistana
e la
rimanente
parte
in
mano
alla
Cina,
la
quale
se
ne
impossessò
negli
anni
’60.
Questo
inquadramento
generale
ci
può
far
capire
quanto
sia
complessa
la
situazione
tra
i
due
paesi
e
quanto
sia
precaria
ancora
oggi
tale
disputa
di
confine.
Proprio
a
causa
di
questa
mai
sopita
tensione
lo
scorso
febbraio
è
scoppiata
nuovamente
la
violenza
tra
i
due
paesi.
Il
14
febbraio
a
Pulwama,
ovvero
nella
parte
indiana
della
regione,
è
avvenuto
un
attentato
kamikaze
in
cui
hanno
perso
la
vita
42
agenti
delle
forze
di
sicurezza
indiane.
Da
subito
si è
sospettato
che
l’origine
fosse
nei
gruppi
estremisti
a
supporto
del
Pakistan,
motivo
per
cui
il
governo
di
Nuova
Delhi
non
ha
fatto
attendere
una
propria
risposta.
Il
26
febbraio
un’incursione
aerea
indiana
ha
attaccato
svariati
obiettivi
nella
parte
di
territorio
pakistana,
asserendo
di
aver
colpito
campi
di
addestramento
e
basi
operative
del
gruppo
terroristico
responsabile
degli
attacchi
del
14.
Lo
spazio
aereo
pakistano
non
veniva
violato
dal
lontano
1971.
Gli
strike
aerei
sono
continuati
per
tutto
il
26 e
il
27,
tuttavia
proprio
il
27
Islamabad
afferma
di
aver
abbattuto
due
caccia
indiani,
a
testimonianza
del
fatto
che
Nuova
Delhi
avesse
sconfinato
in
territori
non
di
sua
appartenenza.
Pochi
giorni
dopo
uno
dei
piloti
abbattuti
sarebbe
stato
rilasciato
e
fatto
ritornare
in
patria.
Nonostante
questo
gesto
di
buona
fede,
nei
giorni
successivi
si
sono
registrati
movimenti
di
truppe
da
parte
di
entrambe
le
nazioni
verso
il
confine
del
Kashmir.
Al
momento
la
situazione
sembra
essere
calma,
ma
con
grande
probabilità
è
solo
una
situazione
apparente
e
momentanea.
Una
delle
maggiori
complicazioni
in
questa
vicenda
sta
nel
fatto
che
entrambi
i
paesi
sono
delle
potenze
nucleari.
Sia
chiaro,
stiamo
parlando
di
110
testate
nucleari
per
l’India
e di
130
per
il
Pakistan,
quindi
non
di
numeri
elevati,
ma
comunque
sufficienti
per
devastare
un’intera
regione
del
globo
nonché
la
vita
in
una
delle
aree
più
densamente
popolate
della
Terra.
È
altamente
improbabile
che
si
passi
all’uso
di
questi
armamenti,
ciononostante
la
deterrenza
nucleare
di
certo
non
facilita
il
lavoro
delle
cancellerie
attualmente
in
corso.
Queste
crescenti
tensioni,
oltre
a
essere
lette
in
una
chiave
storica,
andrebbero
contestualizzate
anche
approfondendo
la
situazione
interna
a
India
e
Pakistan.
Infatti
entrambi
gli
stati
stanno
affrontando
dei
periodi
di
transizione
di
notevole
rilevanza.
In
India
si
svolgeranno
le
elezioni
in
primavera
e
proprio
in
funzione
di
questo
il
governo
di
Nuova
Delhi
vuole
mostrare
forza
e
decisione
ai
propri
cittadini.
Si
sa,
niente
unisce
di
più
un
paese
di
un
nemico
comune.
In
Pakistan
invece
si è
votato
l’anno
scorso,
ma
l’attuale
premier
Imram
Khan
si
sta
avvicinando
sempre
di
più
alla
Cina.
Ed è
proprio
qui
che
forse
verte
il
nodo
cruciale
della
contesa.
L’India
cerca
ormai
da
svariati
anni
di
contenere
Pechino
per
salvaguardare
le
sue
zone
d’influenza
regionali.
In
quest’ottica
sono
attualmente
mantenuti
rapporti
amichevoli
sia
con
la
Russia
che
con
gli
Stati
Uniti,
rendendo
de
facto
l’India
un
alleato
incerto
per
tutti
e un
amico
sicuro
per
nessuno.
Un
tempo
vi
erano
i
BRICS,
ovvero
l’unione
politica
dei
paesi
emergenti
(Brasile,
Russia,
India,
Cina,
Sudafrica),
a
fare
da
collante
tra
i
due
stati
vicini,
ma
con
il
passare
degli
anni
e
l’elevazione
di
Pechino
a
competitor
di
livello
globale
anche
questa
unione
ha
perso
di
significato.
Il
tempo
dell’indecisione
per
Nuova
Delhi
tuttavia
non
potrà
durare
ancora
molto
a
lungo.
Il
Pakistan
al
contrario
sembra
aver
abbracciato
a
pieno
la
geopolitica
cinese.
Conscio
del
grande
vuoto
di
potere
lasciato
dagli
Stati
Uniti
nella
regione
con
il
ritiro
dall’Afghanistan,
Islamabad
ha
subito
cercato
un
nuovo
alleato
di
eguale
potenza
e lo
ha
trovato
più
vicino
di
quanto
pensasse.
Pechino
non
si è
fatta
scappare
un’occasione
simile,
essendo
il
Pakistan
essenziale
per
il
progetto
della
Nuova
Via
della
Seta
dove
il
porto
di
Gwandar
svolge
un
ruolo
fondamentale.
Che
la
contesa
tra
India
e
Pakistan
sia
diventata
in
realtà
tra
India
e
Cina?
Sicuramente
in
parte,
tuttavia
è
molto
difficile
fare
valutazioni
oggettive
in
merito,
soprattutto
per
un
fattore
in
particolare.
Sebbene
le
grandi
potenze
quali
Russia,
Stati
Uniti
o
Cina
abbiano
sempre
tentato
di
manipolare
gli
eventi
tra
queste
due
nazioni
per
i
propri
interessi,
riuscendoci
anche
a
volte,
India
e
Pakistan
hanno
agito
da
sempre
con
una
certa
autonomia
e
con
testa
propria,
soprattutto
in
merito
a
questioni
che
sentono
molto
vicine
quali
la
contesa
del
Kashmir.
Questo
è un
fattore
senza
dubbio
determinante
e di
cui
bisogna
tenere
conto
nei
giochi
in
questione.
In
conclusione,
gli
eventi
dello
scorso
febbraio
testimoniano
come
le
tensioni
tra
India
e
Pakistan
siano
ancora
molto
forti
e di
difficile
risoluzione.
Nonostante
con
difficoltà
si
assisterà
a un
estendersi
del
conflitto,
la
scarsa
prospettiva
di
una
risoluzione
pacifica
a
breve
termine
della
disputa
fa
allontanare
ancora
di
molti
anni
la
pace
da
questa
piccola
quanto
vitale
regione.
Il
Pakistan
sa
perfettamente
di
non
avere
la
forza
di
tenere
testa
in
un
confronto
aperto
con
l’India,
che,
giusto
per
inciso,
ospita
all’interno
dei
propri
confini
un
miliardo
di
persone.
Tuttavia
la
sua
recente
alleanza
con
Pechino
cambia
le
carte
in
tavola
in
tutta
la
regione.
Lo
sanno
gli
Stati
Uniti,
lo
sa
Pechino
e lo
sa
meglio
di
tutti
Nuova
Delhi.
Propria
questa
dovrà
stare
attenta
nel
fare
la
voce
grossa
in
futuro
con
i
propri
vicini,
dovendo
tenere
conto
di
questo
nuovo
importante
giocatore.
Tuttavia,
come
già
precedentemente
accennato,
gli
attori
esterni
potranno
pure
cercare
di
influenzare
la
partita,
ma
saranno
solamente
India
e
Pakistan
a
doversi
sedere
attorno
a un
tavolo
per
cercare
di
raggiungere
una
pace
che
si
cerca
disperatamente
dal
lontano
1948.