N. 27 - Marzo 2010
(LVIII)
Kamikaze di profondità
la storia dei kaiten
di Marco Petrelli
"Kamikaze"
(Vento
divino)
è un
termine
entrato
nel
lessico
comune
dopo
la
seconda
guerra
mondiale
ed
oggi
ampliamente
usato
dai
media
ogniqualvolta
si
debbano
descrivere
strategie
di
guerra
estreme.
Il
kamikaze
fa
la
sua
comparsa
nelle
ultime
fasi
del
secondo
conflitto
mondiale
quando il
Giappone,
ormai
a
corto
di
armi
e
munizionamenti,gioca
una
carta
disperata,quella
dei
piloti
suicidi.
L’idea
di
scagliare
contro
un’unità
nemica
un
aereo
carico
di
esplosivo
balenò
nel
tardo
’44,precisamente
quando
gli
alleati
preparavano
l’invasione
delle
Filippine.
Il
17
ottobre
del
1944
gli
angloamericani
danno
inizio
a
quella
che
sarà
ribattezzata
la
battaglia
del
Golfo
di
Leyte.
Quattro
giorni
più
tardi,fra
lo
sgomento
generale
dell’equipaggio,la
portaerei
Australia
viene
colpita
da
un
caccia
Zero,subendo
grossi
danni
e
trenta
vite
umane
spezzate.
Il
25
ottobre
è il
turno
della
USS
St.
Lo,che
salta
in
aria
dopo
l’incendio
alla
santabarbara
provocato
da
un
attacco
suicida.
Nelle
profondità
marine,dalle
pance
d’acciaio
dei
sommergibili
nipponici,stanno
per
entrare
in
scena
i
kaiten
(lett.
rivolgersi
al
paradiso).
A
bordo
di
piccole
torpedini
pilotate
e
dotate
di
una
carica
esplosiva,gli
uomini
della
Marina
imperiale
scivolano
fin
sotto
la
chiglia
delle
navi
nemiche,per
farsi
poi
esplodere
con
l’intero
mezzo.
Per
chi,come
gli
inglesi,si
era
cimentato
nella
guerra
navale
nel
Mediterraneo
contro
la
Regia
Marina
italiana,questo
tipo
di
battelli
non
era
cosa
nuova.
Gli
SLC
(Siluri
lenta
corsa)
avevano
violato
la
rada
di
Alessandria
d’Egitto
il
19
dicembre
del
1941,colando
a
picco
la
HMS
Valliant
e la
HMS
Queen
Elizabeth,due
grosse
unità
della
Royal
Navy.
Ma
mentre
i
marinai
italiani
si
allontanavano
prima
dello
scoppio
delle
mignatte
(mine
magnetiche),gli
epigoni
del
Sol
Levante
erano
votati
al
martirio.
I
giapponesi
disponevano
di
un’arma
tecnologicamente
più
avanzata
degli
SLC,
a
partire
dalle
dimensioni:
14,5
m di
lunghezza
e 1
m di
diametro,
contro
i
6,70
m
degli
SLC,con
motori
ad
ossigeno
da
550
cavalli
capaci
di
sviluppare
una
velocità
stimata
fino
a 30
knots;
in
più
avevano
una
cabina
di
pilotaggio.
Queste
peculiarità
erano
dovute
al
diverso
impiego
operativo:
non
si
colpivano
navi
ormeggiate
in
rade
e
porti
ma
in
mare
aperto.
Si
rendeva
quindi
necessaria
una
potenza
e
una
precisione
tali
da
potere
conseguire
l’obiettivo
sfidando
le
condizioni
meteo
marine
del
Pacifico,in
più
la
preda
non
era
ferma,bensì
in
moto.
Quattrocento
gli
esemplari
prodotti
a
cavallo
tra
1944
e
1945,cento
quelli
impiegati
in
missioni
suicide.
Malgrado
la
raffinatezza
dei
meccanici
giapponesi
e la
possente
carica
di
1300
kg
di
tritolo,questi
battelli
conseguirono
un
numero
di
vittorie
nettamente
inferiori
alle
aspettative.
Se
gli
aerei
erano
in
grado,per
autonomia
di
carburante,di
coprire
maggiori
distanze,dalla
base
all’obiettivo,
le
torpedini
kaiten
venivano
lanciate
dai
sommergibili
solo
in
prossimità
della
preda.
Ciò
poneva
il
pilota
in
una
condizione
di
svantaggio,esponendolo
al
pericolo
di
intercettazione
delle
unità
di
scorta
nemiche.
Problematiche,queste,che
un
sommergibilista
non
avrebbe
potuto
trattare
con
leggerezza:
scoperto
il
battello
gli
americani
sarebbero
presto
risaliti
all’unità
da
cui
esso
era
partito.
Una
nave
da
battaglia
e
una
petroliera
in
fiamme
i
risultati
di
sette
mesi
di
attività
dei
“kamikaze
del
mare”.
Di
fronte
a
tale
realtà
è
comprensibile
la
scelta
della
Marina
imperiale
di
concentrarsi
sulle
missioni
dei
caccia
Zero.
Sulla
terraferma,invece,dai
tempi
di
Guadalcanal
gli
alleati
erano
abituati
a
vedere
soldati
giapponesi
scagliarsi
contro
di
loro
anche
a
mani
nude,pur
di
non
cadere
prigionieri.
Ogni
popolo
ha
una
sua
logica
di
guerra,un
proprio
codice.
Nel
Sol
Levante
il
soldato
che
si
arrende
non
è da
considerarsi
uomo:
il
prigioniero,pur
di
avere
salva
la
vita,
preferisce
il
disonore
della
sconfitta
a
più
onorevole
morte
in
battaglia.
Questo
è
indice
di
come
la
scelta
di
morire
facendosi
esplodere
contro
l’obiettivo
nemico
non
fosse
figlia
di
mero
fanatismo,bensì
frutto
di
un
humus
culturale
fortemente
influenzato
dall’epopea
dei
guerrieri
samurai.
I
piloti
kaiten
e i
piloti
delle
squadriglie
kamikaze
Yamato
e
Shikishima
raggiungevano
l’aldilà
scevri
di
retorica
e
prosopopee.
“Il
fiore
per
eccellenza
è il
ciliegio/l’uomo
per
eccellenza
il
guerriero”.
In
questi
versi
di
Yukio
Mishima
l’essenza
della
vita
del
soldato
nipponico.
Per
aspera
ad
astra
avrebbero
sentenziato
i
latini.