N. 140 - Agosto 2019
(CLXXI)
Kalina Krasnaja
LA TRAGICA CINE-NOVELLA DI VASILIJ ŠUKŠIN TRA I CLASSICI DI VENEZIA 76
di
Leila
Tavi
Il
film Kalina
Krasnaja uscě
in
Unione
Sovietica
nell’aprile
1974
e
ottenne
un
grande
successo
di
pubblico.
Il
titolo
in
russo
č Калина
красная e
rappresenta
senza
dubbio
l’opera
piů
conosciuta
del
poliedrico
Vasilij
Makarovič
Šukšin
(Васи́лий
Мака́рович
Шукши́н).
La
versione
restaurata
che
č
stata
presentata
al
pubblico
di
Venezia
76.
č a
cura
di
Karin Šachnazarov
(Карин
Шакацаров).
La
storia
č
tratta
da
un
omonimo
romanzo
dello
stesso
Šukšin,
pubblicato
a
puntate
agli
inizi
degli
anni
Settanta
e
ispirato
alla
canzone Kalina Krasnaja,
che
sua
moglie
Lidija
Fedoseeva-Shukshina
(Лидия
Николаевна
Федосеева-Шукшина)
gli
dedicň
in
occasione
del
loro
primo
appuntamento.
Protagonista
della chanson č
il
viburno,
una
pianta
da
siepe.
L’allora
direttore
della
Mosfilm
(Мосфильм),
Nikolaj
Sizov
(Николай
Сизов),
chiese
a
Šukšin
di
realizzare
un
adattamento
cinematografico
del
suo
romanzo
insieme
a
un’unitŕ
sperimentale
coordinata
da
Pavel
Čuchraj
(Па́вел
Григо́рьевич
Чухра́й),
ma
tra
questi
e
Šukšin
non
ci
fu
accordo
rispetto
a
come
sviluppare
la
storia
sul
grande
schermo,
in
particolar
modo,
l’autore
di Kalina Krasnaja non
sembrň
gradire
la
richiesta
di
Čuchraj
di
non
far
evolvere
nel
corso
della
storia
il
protagonista
del
film
da
antieroe
a
personaggio
positivo.
Per
sei
mesi
ci
furono
contrasti
tra
i
due
registi,
fino
a
che
Šukšin
decise
di
affidarsi
alla
prima
unitŕ
sperimentale
della
Mosfilm,
sotto
la
supervisione
di
Sergei
Bondarčuk
(Сергей
Фёдорович
Бондарчук)
e
dopo
appena
un
mese
le
riprese
del
film
iniziarono.
La
troupe
girň
a Belozersk
(Белозе́рсk),
paese
nell’Oblast'
di
Vologda
(Волого́дская
о́бласть),
e in
alcuni
villaggi
limitrofi,
tra
cui
Sadovaja
(Садо́вая),
Desjatovskaja
(Деся́товская) e
Krochino
(Крохино́).
Alcuni
abitanti
di
questi
villaggi
hanno
preso
parte
alle
riprese
come
comparse,
tra
i
quali
l’anziana
signora
che
in
una
famosa
scena
del
film
narra
la
triste
storia
di
suo
figlio
che
ha
lasciato
il
suo
villaggio
natale
e
del
quale
la
donna
non
ha
notizie
da
anni.
A
sottolineare
una
questione
scottante
dell'epoca
in
Unione
Sovietica:
lo
spopolamento
della
campagna
da
parte
di
giovani
attratti
dalla
vita
urbana.
Proprio
come
Nikita
Chruščëv
(Никита
Сергеевич
Хрущёв)
intercedette
per
Aleksandr
Solženicyn
(Алекса́ндр
Иса́евич
Солжени́цын),
autorizzando la
pubblicazione
nel
1962
di Una
giornata
di
Ivan
Denisovič (Оди́н
день
Ива́на
Дени́совича),
cosě
Leonid Brčžnev (Леонид
Ильич
Брежне)
risparmiň Kalina Krasnaja dalla
censura
nel
1974,
dopo
una
proiezione
privata
in
cui
si
commosse
per
la
storia
narrata
nel
film.
Nelle
riviste
di
cinema
e di
cultura
dell’Unione
Sovietica
come Sovetskij Ekran (Советский
Экран)
e Voprosy
Literatury (Вопросы
Литературы)
sia
il
film
che
il
libro
hanno
avuto
ampio
spazio. Iskusstvo kino (Искусство
кино)
pubblicň
un
lungo
articolo
sulla
realizzazione
del
film
su
richiesta
dei
suoi
lettori.
Nel
1975
il
film
fu
proiettato
alla
25Ş
edizione
del
Festival
di
Berlino,
nella
sezione
"Forum
internazionale
del
nuovo
cinema",
ricevendo
premi
per
le
categorie
FIPRESCI
Prize,
Interfilm
Award
e
OCIC
Award.
L’anno
precedente
Šukšin
aveva
ricevuto
in
aprile,
poco
dopo
l’anteprima
del
film,
un
premio
come
miglior
regista
in
occasione
del
principale
festival
dell’URSS, Vsesoyuznij
Kinofestival (Всесоюзный
кинофестиваль,
ВКФ),
che
per
il
1974
si
svolse
a
Baku
per
la
sua
settima
edizione.
Il
film
fu
visto
da
oltre
centoquaranta
milioni
di
spettatori
e fu
al
primo
posto
nell’Unione
Sovietica
per
quell’anno.
I
lettori
di Sovetskij Ekran lo
votarono
come
miglior
film
sovietico
e
acclamarono
Šukšin
miglior
attore
dell’anno.
L’artista
ricevette,
inoltre,
postumo
il
premio Lenin per
il
film
nel
1976.
I
rami
di
viburno
rosso
hanno
accompagnato
Šukšin
fino
alla
sua
morte,
avvenuta
solo
sei
mesi
dopo
l’uscita
in
sala
di Kalina Krasnaja,
infatti
la
folta
schiera
di
persone
che
andarono
a
omaggiare
la
sua
salma,
aveva
in
mano
un
rametto
di
viburno.
Nel
novembre
del
1973
il
regista
ebbe,
durante
le
riprese
del
film,
un
preoccupante
attacco
di
ulcera
peptica,
a
causa
di
cui
fu
ricoverato
d’urgenza.
Šukšin
decise
di
nascosto
di
lasciare
l’ospedale
per
tornare
sul
set.
In
molti
non
credettero
perň
a
una
morte
naturale.
La
vedova
di
Šukšin,
l'attrice
Lidiia
Fedoseeva-Šukšina,
si
rivolse
nel
1996
al
tabloid Ekspress-gazeta (Экспресс-газета)
per
denunciare
che
suo
marito
non
era
morto
per
infarto,
ma
era
stato
ucciso
nel
1975
durante
le
riprese
del
film
di
Sergej
Bondarčuk
(Сергей
Фёдорович
Бондарчук) Hanno
combattuto
per
la
patria (Они
сражались
за
родину).
Dal
punto
di
vista
artistico
Šukšin
puň
essere
considerato
uno
scrittore
in
transizione,
che
narra
le
gesta
di
una
gioventů
nuda
e
cruda
della
letteratura
popolare
sovietica
post-stalinista.
L'arte
di
Šukšin,
come
gran
parte
della
cultura
sovietica
del
suo
tempo,
č
una
mistura
di
cultura
popolare,
che
ha
le
sue
radici
nella
tradizione,
e di
cultura
che
proveniva
dai
circoli
degli
intellettuali
sovietici,
dal
sofisticato
linguaggio
estetico.
Šukšin
trascorse
la
sua
infanzia
e la
sua
giovinezza
nel
villaggio
di
Srostki
nel
Bijskij
rajon,
territorio
dell’Altaj
(Сро́стки,
Бийский
район,
Алтайский
край),
al
confine
con
il
Kazakistan.
Ebbe
perciň
la
possibilitŕ
di
conoscere
sia
la
cultura
popolare
del
villaggio
che
il
realismo
socialista
sovietico,
il
cui
studio
era
obbligatorio
a
scuola.
Šukšin
amava
gli
scrittori
del
realismo
socialista,
cosě
come
i
classici
della
letteratura
russa
dell’Ottocento
e
aveva
anche
letto,
naturalmente,
i
classici
approvati
della
letteratura
russa
del
diciannovesimo
secolo:
Puškin,
Gogol',
e
Tolstoj.
Ma č
il
genere
popolare
a
prevalere
nell’estetica
delle
opere
di
Šukšin.
Gli
eventi
degli
anni
Sessanta
del
secolo
scorso
-
l'ascesa
di Brčžnev,
i
processi
del
poeta
Joseph
Brodsky
nel
1964
e
degli
scrittori
Julij
Daniel'
(Ю́лий
Ма́ркович
Даниэ́ль)
e
Andrej
Sinjavskij
(Андрей
Донатович
Синявский)
nel
1966,
l'invasione
della
Cecoslovacchia
nel
1968
-
segnarono
un
ritorno
alla
politica
neo-stalinista,
anche
se
il
disgelo
aveva
permesso
che
si
formasse
un’intera
generazione
di
scrittori,
artisti,
registi
e
poeti.
La
sua
formazione
avvenne
nel
momento
della
riforma
portata
avanti
dagli
scrittori
legati
alla
rivista Junost’ (Ю́ность),
che
in
italiano
significa
“giovinezza”,
per
questo
si
parla
di
“prosa
dei
giovani”,
che
rappresentava, in
parte,
le
aspirazioni
dei
cosiddetti stiljagi (стиляги).
I
dandy
urbani,
dei
quali
Šukšin
condivideva
le
inclinazioni
per
la
cultura
occidentale
e
l'irriverenza
e la
fede
nei
poteri
liberatori
della
moda.
Šukšin
era
perň
interessato
anche
a
rappresentare
la
condizione
degli
abitanti
delle
campagne,
nel
tentativo
di
denunciare
come
il
progresso
potesse
far
perdere
per
sempre
all’uomo
l’ancestrale
legame
con
la
natura.
Per
Šukšin
possiamo
pertanto
parlare
di Derevenskaja
proza (Дереве́нская
про́за),
“prosa
rurale”,
piuttosto
che
“prosa
giovanile”.
Šukšin
collaborň
infatti
con
il
gruppo
di
scrittori
della
“prosa
rurale”,
che
aveva
a
cuore
la
tutela
delle
foreste,
dei
laghi
e
dei
fiumi
siberiani
e di
preservare
le
tradizioni
culturali
dei
villaggi
della
regione.
Šukšin
non
rifiutava
a
priori
il
progresso
scientifico,
a
patto
che
non
stravolgesse
totalmente
la
natura
umana.
Piů
che
una
denuncia
del
degrado
ambientale,
quella
di
Šukšin
analizzň
piuttosto
l’aspetto
morale
del
fenomeno.
Era
un
conservatore,
ma
con
un
lato
“progressista”;
Šukšin
riteneva,
infatti,
che
il
progresso
e la
vita
cittadina
avevano
contribuito
allo
sviluppo
del
pensiero
critico
e
quindi
nella
vita
rurale,
fatta
principalmente
di
fatica
nei
campi
e
soddisfazione
dei
bisogni
primari.
L’introduzione
di
consuetudini
della
vita
urbana
avrebbero
potuto,
secondo
Šukšin,
sopperire
al
fabbisogno
di
cultura
in
un
luogo
periferico
come
il
villaggio,
che
in
Voprosy samomu sebe (Вопросы
самому
себе), Domande
a me
stesso,
pubblicato
postumo
nel
1981,
Šukšin
definisce
come
un
“buco
da
sbadigliare”.
Entrň
nella
redazione
della
rivista
del
movimento
della
prosa
rurale Naš sovremennik (Наш
современник),
il
“nostro
contemporaneo”’,
fondata
nel
1956.
La
rivista
ospitň
molti
scrittori
del
movimento
della
prosa
rurale
e
sostituě
all’inizio
degli
anni
Settanta
del
secolo
scorso Novyj
Mir (Новый
Мир),
che
era
stata
fino
a
quel
momento
il
punto
di
riferimento
per
giovani
scrittori
talentuosi.
Šukšin
pubblicň
su
cinque
numeri
di Naš
sovremennik diciassette
storie
e la
novella Kalina
Krasnaja. Nel
1973
entrň
nel
comitato
editoriale
della
rivista,
anche
se
ci
furono
dei
contrasti
in
seguito
tra
lui
e
l’editorial
board.
Šukšin
si č
sempre
sentito
inferiore
agli
altri
colleghi
registi
e
scrittori,
sentiva
su
di
sé
l’onta
di
essere
figlio
di
"un
nemico
del
popolo",
essendo
suo
padre
Makar
(Макар
Леонтьевич
Шукшин)
stato
giustiziato
durante
le
epurazioni
di
Stalin
nel
1933
per
"sabotaggio
nel kolchoz (колхо́з)"
che
per
"istigazione
a
una
rivolta".
Suo
padre
fu
riabilitato
postumo
nel
1956
sotto
Chruščëv,
ma
il
sentimento
di
provincialitŕ,
nonché
il
senso
di
inferioritŕ
e
insicurezza
che
lo
accompagnava,
perseguitarono
lo
scrittore
per
tutta
la
sua
breve
carriera.
Tale
senso
di
inferioritŕ
si
acuě
durante
gli
anni
della
formazione,
tra
il
1956
e il
1960,
quando
Šukšin
frequentň
il
VGIK,
l’Universitŕ
statale
pan-russa
di
cinematografia
intitolata
a S.
A.
Gerasimov
(Всероссийский
государственный
университет
кинематографии
имени С.А.Герасимов).
Durante
gli
anni
di
universitŕ
entrň
in
una
sorta
di
competizione
con
Andrej Tarkovskij
(Андре́й
Арсе́ньевич
Тарко́вский),
la
cui
sofisticata
e
poetica
narrazione
era
spesso
messa
a
confronto
con
lo
stile
genuino
e
popolare
di
Šukšin,
per
sottolineare
la
loro
differente
interpretazione
della
natura
umana.
Fu
nel
quadriennio
trascorso
a
VGIK,
infatti,
che
Šukšin
comprese
quanto
fosse
radicato
in
lui
il
retaggio
culturale
della
vita
rurale
e
quanto
influenzasse
la
sua
arte.
La
sua
peculiare
estetica
che
esalta
la
vita
popolare,
colorita
di
espressioni
del
gergo
dialettale
parlato
nella
sua
terra,
fu
per
lui
il
mezzo
con
cui
riuscě
a
farsi
apprezzare
dal
grande
pubblico.
Šukšin
era
compreso
e
amato
dal
grande
popolo,
di
cui
parlava
la
stessa
lingua
e
distante,
polemico
nei
confronti
dell’establishment
artistico
sovietico,
di
cui
invece
odiava
i
cliché
dal
linguaggio
burocratese
spersonalizzato
e
standardizzato,
frutto
delle
pesante
censura
ereditata
dagli
anni
Quaranta
e
Cinquanta
del
ventesimo
secolo.
Il
famoso čudik (чудик)
di
Šukšin,
che
č il
protagonista
di
un
suo
racconto
del
1967,
rappresenta
la
consapevolezza
nello
scrittore
della
centralitŕ
della
figura
dello
sempliciotto
nella
cultura
russa.
Con
il
suo
aspetto
naif
e
quasi
carnevalesco,
il čudik incarna
anche
la
resistenza
fisica
e
spirituale
delle
masse
da
cui
proviene.
Nel
protagonista
di Kalina
Krasnaja ritroviamo
un
carattere
bonario,
una
propensione
ad
affrontare
le
difficoltŕ
e i
drammi
della
vita
con
leggerezza
e
umorismo;
in
lui
prevalgono
sulla
morale
i
sentimenti
e
l’impulsivitŕ,
la
genuinitŕ
di
un
uomo
cresciuto
in
un
villaggio,
a
contatto
con
la
natura.
Dopo
aver
scontato
la
sua
pena
in
carcere,
il
ladro
Egor
Prokudin
(Егор
Прокудин)
decide
di
lasciarsi
alle
spalle
la
vita
facile
e
senza
regole
che
ha
condiviso
in
cittŕ
con
la
sua
ex
banda,
una
sorta
di
“mafia
culturale
cittadina”,
anche
in
senso
figurato,
per
ritornare
al
villaggio
dove
č
nato
e
cresciuto.
Un
po'
un
buffone
popolare,
il
moderno skomoroch (ckomopox)
Egor
cambia
continuamente
maschere
e
maliziosamente
farsa,
incarna
una
serie
di
stereotipi
sociali,
anche
se
nel
profondo
del
suo
animo
č
alla
ricerca
della
sua
vera
identitŕ,
che
spera
di
trovare
ritornando
alla
vita
umile
tra
i
contadini,
dove,
nonostante
i
pregiudizi
di
alcuni
suoi
paesani,
ritrova
la
speranza,
la
libertŕ
e
soprattutto
la
fiducia
e
l’amore
disinteressato
di
una
ragazza
del
posto
con
la
quale
č
rimasto
sempre
in
contatto.
Nel
corso
del
film,
Egor
assume
diverse
identitŕ,
da
quella
dell'ex
detenuto
all'onesto
Joe,
filantropo
sincero,
che
poi
diventa
bugiardo,
al
donnaiolo
di
cittŕ,
al
muzhik
(мужи́к)
di
villaggio.
Cambia
costume,
cambia
nome
e
cambia
registro
linguistico
continuamente.
Ora
č
Gore,
il
membro
della
gang
con
la
sua
giacca
di
pelle
nera
e la
camicia
rossa
fiammeggiante,
ora
č il
"parente
povero"
Zhora
che
indossa
la
vecchia
biancheria
intima
e le
camicie
del
marito
di
Liuba.
Durante
la
sua
visita
in
cittŕ
č
Georgij,
in
cravatta,
giacca
di
tweed,
berretto
e
scarpe
di
camoscio,
ma
quando
ara
ii
campi
con
la
sua
giacca
contadina
trapuntata
č
semplicemente
Egor,
l’uomo
modesto
e
sincero
che
parla
alle
betulle
e le
abbraccia,
chiamandole
“mie
spose”.
Una
delle
sue
betulle
č
addirittura
la
“gravida
Vasilissa”
(Василисса);
Šukšin
crea
quindi
un
forte
contrasto
tra
la
figura
eterea
e
pura
del
folklore
russo
e
l’immagine
della
donna
incinta.
Le
sue
betulle
possono
restare
ferme
in
contemplazione,
mentre
Egor
deve
diventare
uno
stacanovista,
dice,
imparare
a
guadagnarsi
la
vita
con
il
sudore.
Chiaro
č il
sentimento
di
straniamento
del
protagonista,
un
outsider
sia
della
societŕ
urbana,
che
di
quella
rurale.
Egor,
dal
cognome
che
in
modo
onomatopeico
richiama
alla
grossolanitŕ,
č un
animo
sensibile
e
romantico,
quasi
non
sembra
un
ladro,
ma
piuttosto
un
attore,
un
cantastorie.
Kalina
Kransnaja č
la
cine-novella
che
meglio
sintetizza
il
pensiero
e
l’estetica
di
Šukšin.
Si
tratta
di
una
tragedia
dal
“crudele”
romanticismo,
con
elementi
di
melodramma,
alta
espressione
di
racconto
orale
e
genuina
farsa
popolare
(провинциальный
балаган).
Come
un lubok (Лубо́к),
una
stampa
popolare
che
ebbe
grande
diffusione
tra
il
XVI
e il
XIX
secolo
tra
i
meno
abbienti,
una
sorta
di
graphic
novel,
il
film
ha
un’ingenua
freschezza
e un
simbolismo
primitivo.
Scuri
ma
tenui
sono
i
colori
del
nascondiglio
della
banda
di
ladri,
mentre
le
scene
di
vita
quotidiana
nel
villaggio
sono
un’esplosione
di
colori,
come
una
sbronza
di
un
giorno
di
festa,
come
una
“festa
dell’anima”,
per
usare
le
parole
di
Egor,
il
protagonista
del
film,
un prazdnik (Праздник),
dove
alla
narrazione
intrisa
di
realismo
socialista
che
rappresenta
la
vita
rurale
in
Siberia,
si
vanno
chiassosamente
a
inserire
le
clownesche
apparizioni
di
Egor,
grazie
a
cliché
cinematografici
che
nascondono
una
profonda
commemorazione
metafisica
e
una
critica
delle
politiche
agricole
e
sociali
d’epoca
staliniana,
che
hanno
sdradicato
migliaia
di
abitanti
delle
zone
rurali.
Kalina
Krasnaja
č
una grechopadane (грехопадане),
la
rappresentazione
di
una
caduta
in
disgrazia,
come
ha
soprannominato
il
regista
stesso
il
suo
film.
Sin
dalla
prima
inquadratura
la
sua
storia
mette
alla
prova
e
sonda
i
miti
e le
promesse
del
socialismo
sovietico,
in
modo
sottile
e a
volte
ambiguo.
L'incontro
di
Egor
con
Liuba
č un
incontro
con
la
parte
di
se
stesso
che
non
ha
mai
lasciato
il
villaggio.
Egor
rappresenta
un
modo
cui
l'artista
riesce
a
confrontarsi
con
i
suoi
sentimenti
irrisolti
riguardo
alle
proprie
scelte
di
vita.
Egor
č
perciň
un
alter
ego
autobiografico
- e
Kalina
krasnaia
un
film
autobiografico
solo
nel
senso
piů
ampio
del
termine.
La
sua
importanza
per
Šukšin
sembra
risiedere
altrove:
nel
dolore
e
sentimento
di
straniamento
che
si
prova
quando
si
lascia
il
proprio
villaggio,
quando
si
tradiscono
le
proprie
radici
e
non
si
riesce
a
rinsaldare
quel
legame
con
la
terra.
Il
carisma
di
Šukšin
e
l’empatia
che
il
personaggio
di
Egor
ha
suscitato
nel
pubblico
ha
fatto
sě
che
si
fosse
una
grande
risonanza
del
film
anche
dopo
il
periodo
sovietico.
Tale
successo
di
pubblico
internazionale
č
una
testimonianza
dell’armonioso
connubio
tra
un’estetica
popolare,
una
trama
universale
e
una
pungente
critica
sociale.