N. 24 - Maggio 2007
NON SOLO KAHLENBERG
Alla
scoperta dei quartieri turchi di Vienna
di Leila
Tavi
Uno Stato in una città, così si può definire oggi la
presenza della comunità turca a Vienna. Ci sono dei
distretti, come il secondo, il sesto e il decimo in
cui la presenza dei cittadini turchi di prima, seconda
e terza generazione ha portato vento d'oriente in un
luogo che, per ragioni storiche, è la porta
dell'Occidente verso l'Europa sud-orientale.
Per me l’incontro con la cultura viennese è stato fin
dal primo momento contemporaneamente l’incontro con la
cultura turca. I miei zii abitavano nel quinto
distretto, fünfter Bezirk, un quartiere
residenziale nei pressi del Naschmarkt,
l’allegro mercato multiculturale di Vienna. Lungo la
Linke Wienzeile, il confine tra il quinto e il
sesto distretto, abitato già agli inizi degli anni
Novanta da turchi.
In casa di zia Anna era diventata un’abitudine
mangiare Fladenbrot al posto dei Semmel
e acquistare dai turchi al Naschmarkt.
Ho imparato a conoscere l’Oriente per le strade di
Vienna, dove risuonavano canzoni a un orecchio non
allenato dai motivi arabeschi, quando nell’afa estiva
le finestre dei Mezzanin rimanevano tutto il
giorno aperte e le tende variopinte sventolavano fuori
a segnalare che quella era una casa di turchi e non di
austriaci, le cui Gardine restavano appiccicate
ai vetri in un candore maniacale.
Quando mi sono definitivamente trasferita a Vienna il
mio appartamento si trovava nella Ybbsstrasse,
dietro al Prater, nel secondo distretto.
Negli anni Settanta e Ottanta quello era stato il
quartiere in cui si sono stanziati i commercianti in
orologi e preziosi che facevano affari con Europa
dell’Est ancora sotto i regimi comunisti.
La vicinanza con il Danubio permetteva ai marinai in
servizio sulle navi battenti bandiera dei paesi del
blocco comunista di potersi rifornire di merci
introvabili nei loro paesi da poter rivendere o
semplicemente da regalare ai proprio cari.
La guerra nella ex Jugoslavia ha portato poi negli
anni Novanta uno stanziamento nel secondo distretto di
molti bosniaci, anche perché la “chiesa russa” di rito
cattolico di Mexicoplatz è stata adibita durante tutta
la guerra a rifugio per i profughi approdati a Vienna.
Lentamente però anche il secondo distretto si è
popolato di turchi e i parchi gioco intorno al Prater
sono diventati un angolo di Turchia, dove i bambini
corrono e giocano a voce alta, a differenza dei loro
compagni austriaci, i ragazzi si riuniscono tutti
intorno a una radio o giocano a pallone e le donne
siedono sulle panchine chiacchierando e gettando ogni
tanto un occhio ai bambini.
Oggi il secondo distretto è un esempio di come la
comunità ebraica e islamica possano vivere
pacificamente.
Le donne turche sono forti, si sposano giovani e
tirano su in media cinque bambini ciascuna. Chi si è
trasferita dall’est della Turchia ormai adulta porta
ancora l’hejab e può sembrare a prima vista
un’integralista musulmana; la verità è che le donne
turche di quella generazione vivono la loro condizione
di immigrate in modo diverso dalle loro figlie, che
sono andate in una scuola austriaca, nella maggior
parte dei casi, anche con ottimi risultati e non hanno
problemi di lingua e una mamma a casa che pensa a
cucinare e a mediare tra il padre capo famiglia e le
esigenze di figli cresciuti in una realtà diversa
dalla campagna.
E’ facile per le generazioni nate a Vienna interagire
con i coetanei austriaci.
Il decimo distretto, il Favoriten, potrebbe
essere nominato Little Turkey: le attività
commerciali sono gestite quasi prevalentemente da
turchi e anche locali di vecchia data, come il
Bizzi Pizza, si sono trasformati in locali dai
nomi turchi, di proprietà di turchi e frequentati da
turchi.
Da quando ho la mia, per così dire, “casa delle
vacanze” nel decimo mi sono resa conto di quanto non
possa esistere una società austriaca contemporanea
senza che la comunità turca non sia parte integrante
di essa.
E’ praticamente impossibile considerare i giovani
Turchi di Vienna adesso degli stranieri, grazie a una
crescita demografica esponenziale, in futuro questi
nuovi “cittadini” turchi di terza e quarta generazione
saranno coloro che permetteranno, lavorando, di pagare
le pensioni degli Austriaci.
Il decimo distretto, un angolo di Turchia, incantevole
pur nella sua banalità di quartiere di periferia.
Tanti i giovani che lo popolano, costretti talvolta,
loro malgrado, a lasciare città come Ankara, Istanbul
o Izmir e una vita sicuramente non di stenti per
seguire i sogni di un guadagno facile all’estero della
loro famiglia.
I ragazzi maschi si riconoscono per i loro mocassini
sotto i jeans e le t-shirt rigorosamente nere
dove, da questa primavera, sono impresse scritte in
italiano; mi è capitato anche di vederne una con un
gran “Vaffa…” dorato sulla schiena.
Le ragazze non portano tutte l’hejab e tra chi
lo porta si nota un inconfondibile stile occidentale
che segue la moda impreziosito dal velo, che
rigorosamente richiama i colori del capo di
abbigliamento che si indossa.
Sempre meno sono le ragazze vestite con lunghe tuniche
monocolore e scure che coprono le loro forme, segno
del cambiamento, dell’integrazione alla cultura
occidentale.
Giovanissime affollano i camerini di Balina sul
Keplerplatz per provare il loro vestito da
sposa; un sogno, quello del matrimonio, che è ancora
uno status per una donna turca.
I giovani turchi e il mito dell’Italia. L’amore per il
bel paese ha radici nei fiorenti rapporti commerciali
stretti tra i due paesi nel settore tessile: tutte le
case manifatturiere importanti italiane ed europee
hanno spostato la produzione tessile in Turchia e lì
giovanissimi studiano e fanno apprendistato nelle
fabbriche tessili europee.
Se chiedi agli stessi giovani cosa ne pensano
dell’Europa, se è arrivato il momento del tanto
sospirato ingresso, ti rispondono che la Turchia non
ha bisogno dell’Europa è l’Europa ad aver bisogno
della Turchia.
Di Habdullah Gül i giovani del decimo distretto
parlano bene, dicono che è una brava persona e che non
temono uno Stato teocratico; le contraddizioni di una
generazione che vive troppo lontano geograficamente e
culturalmente dalla Turchia per poter giudicare cosa è
meglio per la propria nazione.
Alcuni di loro hanno nostalgia della vita spensierata
nei campus universitari di Istanbul o della bella
Izmir sul mare e si lamentano di dover lavorare come
camerieri nei ristoranti di conoscenti dei genitori,
perché la solidarietà del popolo turco è unica.
Me ne sono accorta frequentandoli, hanno un conoscente
per tutto: per riparare orologi, per pezzi di ricambio
di cellulari e pc, per portarti via un frigorifero
vecchio o riparare il lavandino che goccia.
Sarà perché sono italiana, sarà perché la mentalità è
quella mediterranea, ma non credo di aver mai ricevuto
così tanta ospitalità dagli Austriaci come da quando
abito a Reumannplatz, nel cuore della Vienna
turca. |