N. 87 - Marzo 2015
(CXVIII)
A PROPOSITO DI MOU
PARTE I - DA ALLENATORE A SPECIAL ONE
di Andrea Bajocco
“Sul
lavoro
bisogna
essere
freddi
e
avere
stimoli.
Voglio
essere
l’unico
a
vincere
la
‘Champions’
con
tre
squadre
diverse”.
C’è
chi
lo
ama
alla
follia
e
c’è
che
per
lui
prova
vero
disprezzo.
E
questa,
per
José
Mourinho,
è
già
una
vittoria.
L’importante
è
non
rimanere
indifferenti
alla
gente.
“Bene
o
male,
purché
se
ne
parli”
diceva
Oscar
Wilde...
La
carriera
da
allenatore
di
José
Mourinho
è in
qualche
modo
figlia
di
un’infruttuosa
parentesi
da
centrocampista
che
a
soli
24
anni
ha
spinto
il
tecnico
Portoghese
ad
appendere
gli
scarpini
al
chiodo,
lasciare
il
calcio
giocato
e
iniziare
con
gli
studi
per
diventare
mister.
Dopo
qualche
stagione
(Porto
prima
e
Barcellona
poi)
come
allenatore
in
seconda
e un
anno
passato
tra
Benfica
e
União
Leiria,
si
prospetta
la
possibilità
di
ritornare
(a
metà
stagione,
in
sostituzione
del
tecnico
Octávio
Machado)
al
Porto.
La
stagione
è la
2001-02.
Quello
che
per
molti
sarebbe
un
punto
di
arrivo,
per
Mourinho
non
è
altro
che
una
rampa
di
lancio.
Coadiuvato
da
André
Villas
Boas,
in
metà
stagione
risolleva
il
Porto
che
a
fine
campionato
si
piazza
terzo
in
classifica,
raggiungendo
così
qualificazione
all’Europa
League
successiva.
Già
la
stagione
calcistica
2002-03
ha
dell’incredibile.
All’inizio,
insieme
alla
società,
Mourinho
opta
per
un
mercato
quasi
interamente
portoghese
(gli
acquisti
spaziano
da
Jorge
Costa,
di
ritorno
da
un
prestito,
a
Deco;
da
Costinha
a
Vitor
Baia;
da
Ricardo
Carvalho
a
Hélder
Postiga),
poi
sul
campo
giocato
si
impone
in
campionato
con
la
conquista
del
titolo,
ottenuto
con
il
record
di
punti
(86)
e
della
Coppa
del
Portogallo
(1-0
in
finale
contro
l’União
Leiria.
Alla
prima
stagione
da
allenatore,
non
pago
di
questi
straordinari
risultati,
lo
Special
One
alza
al
cielo
anche
l’Europa
League
conquistata
a
Siviglia
contro
il
Celtic
Glasgow
(3-2
sopo
i
tempi
supplementari).
Il
mito
di
José
Mourinho
inizia
così
a
prendere
forma.
La
consacrazione
arriva
l’anno
successivo.
Sebbene
parta
con
il
piede
sbagliato
(sconfitta
per
1-0
contro
il
Milan
in
Supercoppa
Europea),
il
Porto
raggiunge
il
20esimo
titolo
portoghese,
la
finale
di
Coppa
del
Portogallo
e,
soprattutto,
la
finale
di
Champions
League.
Nella
prima
verrà
sconfitto
dagli
acerrimi
nemici
del
Benfica,
nella
seconda
–
giocata
il
26
maggio
2004
all’Arena
AufSchalke
di
Gelsenkirchen
e
vinta
con
un
secco
3-0
contro
il
Monaco
– i
Dragoni
riusciranno
nell’impresa
di
alzare
la
“Coppa
dalle
grandi
orecchie”.
Se è
vero
che
in
finale
il
Porto
ha
incontrato
una
squadra
tutt’altro
che
imbattibile,
è
anche
vero
che
sulla
sua
strada
ha
dovuto
superare
(agevolmente,
anche
se
da
secondo
classificato)
un
girone
con
Real
Madrid,
Olympique
Marsiglia
e
Partizan
Belgrado,
prima
di
battere
il
Manchester
United
(celebre
l’esultanza
di
Mourinha
al
gol
di
Costinha
a
Old
Trafford),
il
Lione
e il
Deportivo
La
Coruna.
Un
percorso
quindi
non
semplice
e
che
non
può
lasciar
adito
a
quei
maligni
che
dicono
che
la
Champions
è
stata
vinta
per
pura
fortuna...
Già
prima
della
finale
erano
molte
le
voci
che
volevano
il
tecnico
di
Setúbal
seduto
sulla
panchina
del
Chelsea
l’anno
successivo.
E
così
sarà.
Roman
Abramovič,
magnate
russo
che
durante
un
viaggio
in
aereo
si è
innamorato
di
Stamford
Bridge,
il 2
giugno
sceglie
il
tecnico
portoghese
per
far
vincere,
dopo
decenni
di
mediocrità,
il
“suo”
Chelsea.
Negli
anni,
il
pezzo
forte
del
“personaggio”
Mourinho
sono
diventate
le
conferenze
stampa.
Come
quella
di
presentazione
come
allenatore
dei
Blues
durante
la
quale
parlando
della
squadra
e di
se
stesso
si è
espresso
con
parole
inequivocabili:
“[...]
They
want
to
win
like
I
want
to
win...”.
Ha
poi
aggiunto:
“[...]
We
have
top
players
and
I’m
sorry
I’m
a
bit
arrogant...
we
have
a
top
manager”
ricordando
come
l’anno
precedente
ha
vinto
la
Champions
League
con
il
Porto.
Subito
dopo,
Mourinho
ha
concluso
la
conferenza
con
l’autoproclamazione
a “Special
One”:
“[...]
Again,
please
don’t
call
me
arrogant
beacause
what
I’m
saying
it’s
true...
I’m
European
Champion,
so
I'm
not
one
from
the
bottle,
I
think
I'm
a
special
one”.