arte
BEYOND QUEER MINIMALISM
LE SUGGESTIONI E GLI AMBIENtI LABIRINTICI DI
JOHN WALTER
di Angelica Gatto
Nella centralità che la gender
theory sta assumendo all’interno
della storia degli studi e nell’influsso
che essa esercita, su più livelli, nei
campi socio-culturale, politico ed
educativo, è divenuto inevitabile,
quando non apertamente urgente,
confrontarsi con contenuti che da più
parti reclamano un necessario
smantellamento delle vecchie
consuetudini incarnate dai retaggi di
una società passatista e ancorata alle
sue più allarmati convinzioni.
Dopo la fase che ha raggiunto la propria
acme negli anni Settanta e
Ottanta – anni d’oro in cui l’institutional
critique e l’arte più
marcatamente politica hanno spinto
oltremisura le questioni inerenti
l’identità sessuale, la condizione
femminile, la tensione normativa e
normalizzante della società nei
confronti degli individui – siamo
entrati in una fase in cui diversi
soggetti sociali avvertono l’urgenza di
risemantizzare il lascito della
riflessione teorica e visuale precedente
portando il discorso verso una rinnovata
consapevolezza delle congerie di
possibilità che i temi del gender,
della queer theory e del
femminismo dimostrano di possedere.
Posizioni che, interpretando un pensiero
divergente, hanno spesso solcato il
mare magnum del sistema-arte e dei
suoi meccanismi, rivelando ben presto la
necessità di ritrovare un contatto
diretto con la cultura, la società, la
politica, nell’ottica di un attivismo
che non rinnega il ruolo sociale
dell’artista.
All’interno di questa prospettiva, la
British School at Rome è stata
promotrice di una serie di talk,
curata e coordinata da Marta Pellerini,
che getta uno sguardo rinnovato non
soltanto sullo stato attuale del
discorso attorno alle tematiche di
genere ma fornisce al contempo una
panoramica variegata sulle modalità
attraverso cui artisti ed esperti hanno
declinato tale topic. Inaugurata
dall’intervento di Linder Sterling – in
conversazione con Mark Bradley –
conosciuta per le sue incursioni
radicali che hanno esplorato e
continuano a esplorare la sessualità, il
femminismo e l’estetica contemporanea
legata alla de-umanizzazione del corpo
femminile e all’immaginario che tutto
questo cela, la rassegna TALK GENDER
dimostra una sensibilità tutta nuova
verso tematiche attuali che aprono a una
molteplicità di varianti poste ben
presto come reale e radicale alternativa
alla routine normalizzante del
discorso attorno all’arte.
Con un intervento intitolato Beyond
Queer Minimalism, l’artista
britannico John Walter –
Sainsbury Scholar alla British School at
Rome tra il 2006 e il 2008 e vincitore
nel 2016 dell’Hayward Touring Curatorial
Open con il progetto Shonky: The
Aesthetics of Awkwardness – pone in
luce un tema tanto attuale quanto, per
certi versi, ancora scomodo.
Articolando il proprio discorso attorno
alla gender theory in maniera
totalmente scevra da qualsivoglia
attitudine retorica, Walter, che nel
2015 ha presentato il suo progetto
Alien Sex Club, divenuto anche una
tesi di dottorato, indaga da anni il
tema del HIV nell’ambito della crisi
rappresentazionale che lo ha
interessato.
Dopo un excursus sulla storia
dell’arte più recente – David
Wonjarowicz, ACTUP, General Idea, per
citare soltanto alcuni esempi –
che ha fatto proprio il tema
dell’HIV/AIDS servendosi di categorie
visive legate principalmente al
linguaggio e alle strutture discorsive
del minimalismo, Walter sonda le
possibilità dello scarto insito nel
passaggio da un’estetica legata al
riduttivismo minimalista a quella del
Maximalism, termine impiegato per
designare un linguaggio che, pur non
essendo esclusivamente dicotomico
rispetto al minimalismo, apre a una
congerie di elementi testuali e visivi.
Partendo da un approccio consapevole,
supportato dalle statistiche che
riportano i dati di un fenomeno tuttora
imperversante anche in relazione alla
mutazione di alcuni aspetti pertinenti
allo stile di vita attuale, – l’uso
ricreazionale di droghe, la dimensione
legata al mondo del clubbing, per
esempio – Walter ibrida il disegno, la
pittura, la scultura con elementi
specificamente basati sul tempo, come
l’animazione e il suono, per ricreare
ambienti immersivi in cui lo spettatore
possa vagare sperimentando una
molteplicità di livelli che sottendono
tutta la complessità dell’indagine
condotta. Nel momento stesso in cui
analizza la crisi rappresentazionale
connessa all’HIV, l’artista mira a
costruire un sistema integrato e
rappresentazionale che possa fornire il
background alla definizione dei
suoi ambienti con un’estetica ben
studiata, in cui tutto è nel posto in
cui deve essere, e ricostruendo un
immaginario spesso mutuato dal lessico
scientifico.
Una combinazione di arte, design,
architettura, suono, video e performance
diventa il contesto dove si mescolano in
maniera continua e paradossale
contenuti, suggestioni e rimandi,
insieme a colori e pattern visivi
esuberanti che riempono lo spazio
sospinti da un’idea di horror vacui
da cui è impossibile sottrarsi. Le
ibridazioni tra disegno, pittura e
scultura con elementi specificamente
basati sul tempo, come l’animazione e il
suono, investigano lo spazio servendosi
della categoria del cruising come
marcatura tipologica per indicare l’attraversamente
di un luogo alla ricerca di sesso
occasionale.
Quelli di Walter sono ambienti
labirintici che nel rigoglio di forme e
colori sfavillanti ipersensibilizza i
luoghi e la percezione che si ha di
essi. È in quest’ottica che una
dimensione totale e performativa investe
la costruzione stretegica di ambienti
mobili – l’impiego di cartone, di
strutture temporanee – adattabili e
amichevoli, in un climax di
colori acidi e creature immaginarie che
raccontano, attraverso l’impiego
paradossale e tragicomico dello
humour, la trasmissione del virus.
Maximalism,
appropriazione, trasmissione culturale
sono dunque i topoi di
un’estetica interessata dalla
molteplicità di media visivi che
articolano un linguaggio mirato a
scandagliare le referenze culturali,
storiche e sociali messe in gioco.
La ricerca di Walter, che in una
dimensione collaborativa e partecipata
lo vede confrontarsi con scienziati e
istituzioni per fornire al pubblico
degli strumenti di lettura adeguati –
gli stessi che, come affermato
dall’artista, egli ha deciso di dare a
sè stesso per una completa e consapevole
conoscenza dell’HIV – si arricchisce del
ruolo di necessità che l’artista
intrattiene non soltanto nei confronti
del proprio interlocutore ma anche in
relazione alla società, cercando di
liberare il tema dallo stigma che
ancora grava su di esso.
Riferimenti bibliografici:
John Walter, Capsid,
HOME Manchester, 2018. |