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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


arte

BEYOND QUEER MINIMALISM
LE SUGGESTIONI E GLI AMBIENtI LABIRINTICI DI JOHN WALTER
di Angelica Gatto

 

Nella centralità che la gender theory sta assumendo all’interno della storia degli studi e nell’influsso che essa esercita, su più livelli, nei campi socio-culturale, politico ed educativo, è divenuto inevitabile, quando non apertamente urgente, confrontarsi con contenuti che da più parti reclamano un necessario smantellamento delle vecchie consuetudini incarnate dai retaggi di una società passatista e ancorata alle sue più allarmati convinzioni.

 

Dopo la fase che ha raggiunto la propria acme negli anni Settanta e Ottanta – anni d’oro in cui l’institutional critique e l’arte più marcatamente politica hanno spinto oltremisura le questioni inerenti l’identità sessuale, la condizione femminile, la tensione normativa e normalizzante della società nei confronti degli individui – siamo entrati in una fase in cui diversi soggetti sociali avvertono l’urgenza di risemantizzare il lascito della riflessione teorica e visuale precedente portando il discorso verso una rinnovata consapevolezza delle congerie di possibilità che i temi del gender, della queer theory e del femminismo dimostrano di possedere. Posizioni che, interpretando un pensiero divergente, hanno spesso solcato il mare magnum del sistema-arte e dei suoi meccanismi, rivelando ben presto la necessità di ritrovare un contatto diretto con la cultura, la società, la politica, nell’ottica di un attivismo che non rinnega il ruolo sociale dell’artista.


All’interno di questa prospettiva, la British School at Rome è stata promotrice di una serie di talk, curata e coordinata da Marta Pellerini, che getta uno sguardo rinnovato non soltanto sullo stato attuale del discorso attorno alle tematiche di genere ma fornisce al contempo una panoramica variegata sulle modalità attraverso cui artisti ed esperti hanno declinato tale topic. Inaugurata dall’intervento di Linder Sterling – in conversazione con Mark Bradley – conosciuta per le sue incursioni radicali che hanno esplorato e continuano a esplorare la sessualità, il femminismo e l’estetica contemporanea legata alla de-umanizzazione del corpo femminile e all’immaginario che tutto questo cela, la rassegna TALK GENDER dimostra una sensibilità tutta nuova verso tematiche attuali che aprono a una molteplicità di varianti poste ben presto come reale e radicale alternativa alla routine normalizzante del discorso attorno all’arte.
        
Con un intervento intitolato Beyond Queer Minimalism, l’artista britannico John Walter – Sainsbury Scholar alla British School at Rome  tra il 2006 e il 2008 e vincitore nel 2016 dell’Hayward Touring Curatorial Open con il progetto Shonky: The Aesthetics of Awkwardness – pone in luce un tema tanto attuale quanto, per certi versi, ancora scomodo.

 

Articolando il proprio discorso attorno alla gender theory in maniera totalmente scevra da qualsivoglia attitudine retorica, Walter, che nel 2015 ha presentato il suo progetto Alien Sex Club, divenuto anche una tesi di dottorato, indaga da anni il tema del HIV nell’ambito della crisi rappresentazionale che lo ha interessato.

 

Dopo un excursus sulla storia dell’arte più recente – David Wonjarowicz, ACTUP, General Idea, per citare soltanto alcuni esempi che ha fatto proprio il tema dell’HIV/AIDS servendosi di categorie visive legate principalmente al linguaggio e alle strutture discorsive del minimalismo, Walter sonda le possibilità dello scarto insito nel passaggio da un’estetica legata al riduttivismo minimalista a quella del Maximalism, termine impiegato per designare un linguaggio che, pur non essendo esclusivamente dicotomico rispetto al minimalismo, apre a una congerie di elementi testuali e visivi.

 

Partendo da un approccio consapevole, supportato dalle statistiche che riportano i dati di un fenomeno tuttora imperversante anche in relazione alla mutazione di alcuni aspetti pertinenti allo stile di vita attuale, – l’uso ricreazionale di droghe, la dimensione legata al mondo del clubbing, per esempio – Walter ibrida il disegno, la pittura, la scultura con elementi specificamente basati sul tempo, come l’animazione e il suono, per ricreare ambienti immersivi in cui lo spettatore possa vagare sperimentando una molteplicità di livelli che sottendono tutta la complessità dell’indagine condotta. Nel momento stesso in cui analizza la crisi rappresentazionale connessa all’HIV, l’artista mira a costruire un sistema integrato e rappresentazionale che possa fornire il background alla definizione dei suoi ambienti con un’estetica ben studiata, in cui tutto è nel posto in cui deve essere, e ricostruendo un immaginario spesso mutuato dal lessico scientifico.

 

Una combinazione di arte, design, architettura, suono, video e performance diventa il contesto dove si mescolano in maniera continua e paradossale contenuti, suggestioni e rimandi, insieme a colori e pattern visivi esuberanti che riempono lo spazio sospinti da un’idea di horror vacui da cui è impossibile sottrarsi. Le ibridazioni tra disegno, pittura e scultura con elementi specificamente basati sul tempo, come l’animazione e il suono, investigano lo spazio servendosi della categoria del cruising come marcatura tipologica per indicare l’attraversamente di un luogo alla ricerca di sesso occasionale.

 

Quelli di Walter sono ambienti labirintici che nel rigoglio di forme e colori sfavillanti ipersensibilizza i luoghi e la percezione che si ha di essi. È in quest’ottica che una dimensione totale e performativa investe la costruzione stretegica di ambienti mobili – l’impiego di cartone, di strutture temporanee – adattabili e amichevoli, in un climax di colori acidi e creature immaginarie che raccontano, attraverso l’impiego paradossale e tragicomico dello humour, la trasmissione del virus.

 

Maximalism, appropriazione, trasmissione culturale sono dunque i topoi di un’estetica interessata dalla molteplicità di media visivi che articolano un linguaggio mirato a scandagliare le referenze culturali, storiche e sociali messe in gioco.

 

La ricerca di Walter, che in una dimensione collaborativa e partecipata lo vede confrontarsi con scienziati e istituzioni per fornire al pubblico degli strumenti di lettura adeguati – gli stessi che, come affermato dall’artista, egli ha deciso di dare a sè stesso per una completa e consapevole conoscenza dell’HIV – si arricchisce del ruolo di necessità che l’artista intrattiene non soltanto nei confronti del proprio interlocutore ma anche in relazione alla società, cercando di liberare il tema dallo stigma che ancora grava su di esso.  

 

Riferimenti bibliografici:

 

John Walter, Capsid, HOME Manchester, 2018.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]