contemporanea
A PROPOSITO DI JOHN STEINBECK
THE LOST GENERATION
di Giovanna D’Arbitrio
“Tutte le generazioni sono perdute
per una cosa o per l’altra”
(E. Hemingway)
A quanto pare la definizione
“generazione perduta” è nata da
un episodio accaduto in un garage
parigino dove un giovane meccanico non
era riuscito a riparare l’auto di
Gertrude Stein, per cui il
capo gridò al ragazzo: «Siete tutti
una generazione perduta».
Gertrude Stein, nel raccontarlo a
Ernest Hemingway, aggiunse: «Tutti
voi, giovani che avete prestato servizio
nella guerra, siete una generazione
perduta». L’espressione fu usata poi
da Hemingway nel romanzo Fiesta e
nel suo libro Festa mobile.
Nel secondo ricordando i giovani reduci
di guerra, pose la domanda: «Chi
definisce chi una generazione perduta?»,
mentre supponeva che forse il
giovane meccanico fosse come lui un
reduce. Alla fine concluse che “che
tutte le generazioni sono perdute per
una cosa o per l’altra”. Pensando in
effetti a guerre passate, a campagne
napoleoniche e a generazioni di giovani
ricchi di ideali, ma in seguito delusi
dalla storia rivelatasi campo della loro
negazione, constatò amaramente che lo
stesso accadde ai giovani coinvolti
nella Grande Guerra che conobbero uguale
delusione e come reduci scoprirono il
danno subito nella propria umanità
devastata.
John Steinbeck
fu senz’altro uno dei principali
esponenti della Lost Generation,
tra i quali ricordiamo lo stesso
Hemingway, Francis Scott Fitzgerald,
Thomas Stearns Eliot, John Dos Passos,
Alan Seeger, Erich Maria Remarque, Henry
Miller, Ezra Pound, William Faulkner
e tanti altri artisti.
Profondo conoscitore dell’animo umano e
delle sue passioni che ben descrisse nei
suoi libri, Steinbeck nacque, nel
1902, negli Stati Uniti, a Salinas,
figlio del tesoriere della contea di
Monterey e di un’insegnante. Cresciuto
con le sorelle Mary, Elizabeth e Esther,
durante l’adolescenza iniziò a scrivere
poesie e racconti. Frequentò poi corsi
di scrittura creativa e letteratura
inglese alla Stanford University, ma fu
costretto a rinunciare agli studi.
Cercò, comunque, di entrare nel mondo
letterario e nel 1925 si trasferì a New
York dove lavorò come giornalista del
New York American. Tornato in
California divenne custode di una
residenza estiva e scrisse il suo primo
romanzo, La Santa Rossa (Cup
of Gold, 1929). Nel 1930 sposò Carol
Henning e si trasferì con lei a Pacific
Grove. Nel 1932 venne pubblicato il suo
secondo romanzo I Pascoli del Cielo
(The Pastures of Heaven),
raccolta di storie di alcune famiglie
contadine.
Sempre alla vita contadina è ispirato
Al Dio Sconosciuto (To a
God Unknown) del 1933. Poco dopo
perse i genitori e nel frattempo veniva
pubblicato Pian della Tortilla
(Tortilla Flat) che gli aprì
le porte di Hollywood. In seguito,
lavorando per il San Francisco News,
scrisse alcuni articoli sugli immigrati
in California che ispirarono
Uomini e Topi (Of Mice and
Men).
Nel 1942
si separò dalla moglie e si stabilì a
New York dove sposò la cantane Gwyndolyn
Conger, ma anche da lei divorziò pur
avendo avuto un figlio. Nel 1939 fu
pubblicato Furore (The
Grapes of Wrath) che suscitò
divergenti reazioni. Il successo tornò
nel 1952 con La Valle dell’Eden
(East of Eden). Come
corrispondente del giornale francese
Le Figaro, tornò a vivere a New York
e nel 1961 scrisse L’inverno del
nostro scontento e poi
Viaggio con Charley.
Nel 1962 ottenne il Premio Nobel
per la Letteratura con la
seguente motivazione: «Per le sue
scritture realistiche ed immaginative,
unendo l’umore sensibile e la percezione
sociale acuta». Negli ultimi
anni della sua vita si dedicò ai viaggi
in Europa e Sud-Est asiatico. Morì a New
York il 20 dicembre del 1968.
Ci sembra giusto riassumere in un breve
excursus le sue opere più importanti.
1) The Pastures of Heaven (I
pascoli del cielo) in cui vengono
narrate alcune storie di famiglie
contadine nella tranquilla valle dei
pascoli del cielo in California.
2) To a God Unknown (Al Dio
sconosciuto) sulle vicende della
famiglia Wayne, contadini ridotti in
rovina dalla siccità in California. Il
capofamiglia compie un sacrificio
mistico, versando il suo sangue per
porre fine alla siccità.
3) Tortilla Flat (Pian della
Tortilla) che descrive quartiere di
Monterey dove in misere baracche vivono
i paisanos. Da esso venne tratto
nel 1942 il film Gente allegra
con la regia di Victor Fleming.
4) Of Mice and Men (Uomini e
topi) ambientato in una fattoria
dove lavorano e vivono in dure
condizioni alcuni braccianti salariati
raccoglitori di orzo, fra i quali
George, il protagonista, e il suo amico
Lennie, dotato di una forza erculea ma
ritardato mentale: insieme sognano una
fattoria di loro proprietà, ma un
tragico evento segnerà le loro vite.
5) The Grapes of Wrath (Furore)
sui conflitti fra lavoratori stagionali
e proprietari terrieri, fu giudicato
eccessivamente “di sinistra”, ma poi fu
premiato nel 1940 con il Premio
Pulitzer. Da Furore John Ford trasse
il film omonimo interpretato da Henry
Fonda.
6) East of Eden (La valle
dell’Eden), storia drammatica di due
fratelli, novelli Caino e Abele, e dei
rapporti con il padre. Dal romanzo venne
tratto da Elia Kazan, nel 1955, un
famoso film interpretato da James Dean e
Julie Harris.
7) The Winter of Our Discontent (L’inverno
del nostro scontento) un atto
d’accusa amaro contro l’America del
tempo. La storia si svolge a Long Island
dove Ethan A. Hawley, insoddisfatto del
suo lavoro di commesso, progetta una
rapina perfetta inseguendo il mito
americano di successo e ricchezza.
I migliori libri di Steinbeck senza
dubbio sono quelli della denuncia
sociale che descrivono la California con
la vita e i costumi degli abitanti della
valle di Salinas, rievocati in modo
toccante, realistico, umano. Come scrive
il critico letterario Alfred Kazin:
«Il dono di Steinbeck non
consisteva tanto in una risorsa
letteraria quanto in una visione della
vita profondamente armoniosa e pacifica.
In un periodo di esaurimento per tanti
scrittori migliori di lui, egli si era
immedesimato nella vita della vallata di
Salinas, trovando un certo equilibrio
spirituale nel far la cronaca dei cicli
di vita dei coltivatori della vallata,
dei suoi mistici, dei suoi avventurieri,
studiando i suoi processi di sviluppo,
immergendovisi con interesse affettuoso
ed intimo per le vicende umane dal punto
di vista biologico. Steinbeck si
identifica talmente con la vita della
sua vallata nativa, da ritrarne una
comprensiva visione prospettica della
natura animale della vita umana e un
mezzo di riconciliazione con la gente
come tale».
Infine chi ama non solo la letteratura,
ma anche il cinema, avrà senz’altro
apprezzato i numerosi film tratti dalle
sue opere. Senz’altro i romanzi di John
Steinbeck sulle sofferenze dei miseri
durante la Grande Depressione, ci
ricordano che le crisi economiche
colpiscono sempre le classi più umili,
ieri come oggi, nella nostra epoca
segnata dalla pandemia.
Concludiamo con le sue parole: «E gli
occhi dei poveri riflettono, con la
tristezza della sconfitta, un crescente
furore. Nei cuori degli umili maturano i
frutti del furore e s’avvicina l’epoca
della vendemmia».
(Furore, J. Steinbeck). |