N. 53 - Maggio 2012
(LXXXIV)
Rawls e il liberalismo politico
Una teoria della giustizia senza morale
di Dalia Fortini
Che
cos’è
la
giustizia?
Diciamolo
con
franchezza,
tutti
sanno
cos’è,
nessuno
sa
ben
definirla.
Possiamo
intuire
cosa
è
giusto,
cosa
è
sbagliato,
ma
sulla
base
di
quali
presupposti?
Presupposti
umani?
Allora
se è
questo
a
cui
si
crede
non
si
può
parlare
della
giustizia,
ma
di
una
giustizia
fatta
a
immagine
e
somiglianza
dell’uomo,
o
meglio
della
cultura
vigente
che
fa
sì
che
quell’uomo
abbia
un
luogo,
detto
società,
in
cui
vivere.
John
Rawls,
pensatore
contemporaneo,
filosofo
politico
statunitense
la
pensa
pressappoco
così.
Esiste
una
teoria
della
giustizia,
che
si
vede
contrapporsi
ad
altre
teorie;
nelle
sue
stesse
opere
ciò
che
si
prefigge
il
pensatore
è
quello
di
creare
un
sistema
stabile,
con
fondamenti
stabili,
che
diano
all’uomo
la
possibilità
di
creare
una
società
equilibrata
e
durevole
nel
tempo
in
cui
vivere
con
i
suoi
simili,
dove
vige
la
tolleranza.
Ci
si
chiede
a
questo
punto
cosa
intenda
Rawls
per
giustizia.
Come
lui
stesso
afferma,
nella
sua
opera
Una
teoria
della
giustizia
poco
ha a
che
fare
questa,
chiamiamola
idea,
con
la
morale.
Rawls
si
distacca
dal
pensiero
secondo
cui
la
morale
sia
strettamente
legata
alla
giustizia,
perché
lega
indissolubilmente
la
giustizia
con
la
politica.
Lo
fa
intenzionalmente,
non
pretende
di
dire
ciò
che
è
vero
o
falso,
ciò
che
è
giusto
o
sbagliato,
al
contrario
tutto
è
ammissibile
qualora
sia
ragionevole,
ogni
dottrina
morale
o
etica
all’interno
dello
Stato,
ammettendo
un
pluralismo
che
dovrebbe
in
realtà
cercare
di
seguire
gli
interessi
di
una
società
diversificata,
ma
che
punta
a
garantire
le
libertà
politiche
fondamentali
di
quelle
che
Rawls
definisce
persone.
Perché
per
lui
si è
persone
nel
momento
in
cui
si
può
cooperare
con
e
per
lo
Stato.
Facile
a
dirsi,
difficile
a
crearsi.
Così
come
è
difficile
parlare
di
cosa
è
giusto
o
meno,
non
è
certo
facile
definire
cosa
è
ragionevole
o
meno.
Per
Rawls
ragionevole
è
ciò
che
viene
fatto
negli
interessi
della
società,
senza
dimenticare
mai
che
l’obiettivo
è
garantire
i
beni
primari
alle
persone.
Il
suo
liberalismo
non
vede
i
concetti
di
giusto
e
bene
applicabili
all’etica,
ma
soltanto
alla
vita
politica.
Ognuno
ha
la
sua
concezione
di
giusto
e
bene,
quello
che
deve
fare
lo
Stato
(di
cui
sono
responsabili
i
cittadini)
è
fare
in
modo
che
le
persone
convivano
con
questa
differenza
nel
miglior
modo
possibile,
garantendo
quella
che
Rawls
definisce
nel
suo
scritto
Liberalismo
politico
una
società
stabile
ed
equa
di
cooperazione.
Qualcuno
definisce
la
società
di
Rawls
utopica,
altri
mutilante.
Partendo
dal
presupposto
rawlsiano
della
libertà
non
in
quanto
umana,
ma
in
quanto
personale,
all’interno
della
società,
e
dovendo
garantire
questa
e
nient’altro
che
questa
sulla
base
di
un
uguaglianza
altrettanto
stranamente
scelta
a
baluardo
di
una
società
stabile,
la
domanda
che
sorge
spontanea
è:
perché
scegliere
libertà
e
uguaglianza
come
presupposti
per
la
costruzione
di
una
società
che
si
vuole
prima
di
tutto
stabile?
Rawls
parla
di
giustizia
come
equità,
ma
qui
altrettanto
dubbiosa
è la
scelta
dell’equità
senza
basarsi
su
alcun
presupposto
etico
o
morale.
Chi
ci
dice
che
ciò
che
è
equo
è
giusto?
Soprattutto
all’interno
della
politica,
chi
ce
lo
può
garantire?
Il
sistema
creato
da
Ralws
è un
ottimo
tentativo,
ma
fa
acqua
da
alcuni
punti.
Ciò
non
toglie
nulla
alla
validità
del
suo
sforzo:
creare
una
società
ideale,
basata
su
equità
e
uguaglianza,
può
sì
essere
considerata
una
teoria
utopica,
ma
sarebbe
un
errore
accantonarla
e
considerarla
in
questo
modo.
L’esempio
che
dà
Rawls
del
funzionamento
della
società
è
interessante
e
dovrebbe
essere
preso
in
seria
considerazione
dagli
Stati
che
oggi
si
dicono
in
qualche
modo
democratici.
Rawls
giustifica
il
presupposto
della
sua
teoria
parlando
di
ciò
che
le
persone
intendono
per
giustizia
comunemente,
quindi
a
vantaggio
della
libertà
e
dell’equità.
Altra
domanda:
è
davvero
così
nella
praticità
dell’esistenza?
Le
persone
cercano
davvero
di
essere
tutte
uguali?
Probabilmente
è
reale
che
ognuno
vuole
avere
gli
stessi
diritti
concessi
all’altro
in
quanto
“persona
umana”,
ma
Rawls
non
parla
mai
di
esseri
umani,
di
dignità
umana,
parla
di
persone
in
quanto
collaboratori
di
uno
Stato,
senza
mai
far
riferimento
a
qualcosa
che
potrebbe
fargli
varcare
le
porte
della
morale.
Da
dove
viene
il
bisogno
dell’uomo
di
libertà
e
uguaglianza?
È
realmente
un
bisogno
solo
strettamente
politico?
La
risposta
va
lasciata
ai
pensatori
che
come
Rawls
si
sono
chiesti
se
sia
possibile
o
meno
slegare
l’uomo
dalla
morale,
dall’etica
di
non
sempre
facile
questione
perché
intesa
oggi
in
modo
molto
relativo.
Ciò
che
chiamiamo
valori
sono
realmente
un
pericolo
per
il
bene
pubblico?
A
quanto
pare
possono
diventarlo
se
buona
parte
della
nuova
cultura
societaria
sostiene
un
anti-valore.
Non
solo
non
si
capisce
più
cosa
deve
tutelare
lo
Stato,
ma
si
parla
di
un’uguaglianza
sempre
totale
su
presupposti
di
differenza
a
livello
sociale.
Questa
pretesa
di
totale
uguaglianza
che
viene
protratta
è
realmente
giusta?
Dare
a
tutti
i
cittadini
le
stesse
possibilità,
come
vorrebbe
Rawls,
fa
di
una
società
un
corpo
stabile
o
piuttosto
invece
produrrebbe
solo
conflitti
di
interesse
così
profondi
da
minarlo
questo
equilibrio
tanto
agognato?
Uno
Stato
che
permette
tutto,
al
giorno
d’oggi,
spesso
non
tutela
nulla
di
quello
che
è
l’essere
umano
in
quanto
uomo,
e
non
in
quanto
semplice
strumento
all’interno
di
una
macchina
sociale.
Questa
è
giustizia?
Facciamo
un
passo
indietro:
questo
è
morale?
Rawls
crea
una
posizione
artificiale,
secondo
cui
non
si
dovrebbe
considerare
affatto
la
posizione
morale
o
dottrinale
del
singolo,
ma
ignorarla
di
proposito
per
il
bene
dell’intera
società
che
ha
come
obiettivo
quello
di
ottenere
una
convivenza
del
pluralismo
stabile
alla
ricerca
di
un
consenso
per
intersezione.
Il
filosofo
sembra
ridurre
di
molto
quella
che
è
l’individualità
che
tanto
cerca
di
difendere:
ignorare
appositamente
la
persona
in
quanto
umana,
per
arrivare
a un
consenso
che
ci
mette
tutti
d’accordo
e ci
tutela
nella
tolleranza.
Dov’è
la
considerazione
per
l’individuo?
E
come
si
possono
far
convivere
i
vari
interessi
se
ognuno
li
ignora
dell’altro?
Non
è
proprio
l’ignoranza
che
crea
un
conflitto
d’opinione?
Per
Rawls
ovviamente
no,
anche
se è
possibile
una
divergenza
per
ignoranza,
per
lui
esistono
posizioni
ragionate
e
ragionevoli.
Accettabile
come
opinione,
ma
senza
dubbio
fonte
di
molte
discussioni.
Alla
luce
di
quanto
detto
si
capisce
quanto
sia
difficile
anche
solo
pensare
di
poter
scrivere
un’opera
che
parli
di
giustizia
senza
dare
adito
a
molte
contestazioni.
Parlare
di
idee
così
universali
quali
giustizia,
bene,
male,
equità,
non
fa
che
sottolineare
la
difficoltà
in
cui
imperversa
l’uomo
nella
scelta
del
“come
vivere”
ma
soprattutto
anche
del
“come
vivere
insieme”.
Qualcuno
scrive
che
l’uomo
è
umano
solo
tra
gli
esseri
umani,
ma
l’umanità
non
si
risolve
così
facilmente.
Questo
è
certo.