[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

181 / GENNAIO 2023 (CCXII)


moderna

JOHN DEE, GENIO ALCHIMISTA

SU COLUI CHE VOLEVA PENETRARE I MISTERI DEL COSMO

di Ivana Londero

 

John Dee (1527-1608) era uno degli uomini più colti dell’Inghilterra elisabettiana, celebrato matematico e scienziato. Eppure, per i suoi detrattori, non è stato altro che un appassionato di occultismo, divinazione e astrologia. Ma chi era veramente questo grande studioso, scrittore prolifico, figlio di un mercante di tessuti, che ebbe un rapporto speciale con Elisabetta I?

Innanzitutto la sua passione per le arti magiche non deve sorprenderci. Nel Rinascimento, non c’era una netta distinzione tra le scienze, la matematica e la magia: un medico si occupava anche di astrologia e, per questo, non veniva considerato un ciarlatano. Allora le “dottrine occulte” godevano di ampia diffusione presso le corti dei prìncipi, i dotti e le università. Lo studio della natura si tramutava in magia naturalis e discipline quali l’alchimia assumevano connotazioni “fisiche” perdendo eminentemente gli aspetti simbolici.

È sotto questa luce che va vista la figura di John Dee: una mente poliedrica,che voleva raggiungere la verità fondendo insieme misticismo, magia e matematica. I suoi lunghi viaggi gli fecero conoscere le nuove idee che serpeggiavano sul Continente, soprattutto in Italia, dove si contavano numerosi cultori dell’esoterismo e del cabalismo. Era stato Pico della Mirandola (1463-1494) a riscoprire le fonti cabalistiche come fonti di sapienza a cui attingere per decifrare il mistero del mondo. Altri lo avevano seguito e la cabbala era divenuta un aspetto essenziale dell’interesse del Rinascimento per l’occulto e la magia.

La ricerca di John Dee, sempre onesta e rigorosa, mirava a trovare un linguaggio universale originario, capace di unire l’uomo a Dio, e di penetrare i misteri del cosmo. Nel 1582 incontrò Edward Kelly, un giovane alchimista dal passato oscuro. Tra i due nacque un legame che durò a lungo, sebbene a tratti burrascoso. Nelle innumerevoli sedute che organizzarono usarono svariate pratiche di magia: allestirono le nozze ermetiche per ricostruire l’androginia spirituale, praticarono i riti magici alla Luna Nera, evocarono angeli e demoni, si cimentarono nella trasmutazione del metallo in oro.

Gli spiriti da loro evocati comunicavano attraverso la lingua enochiana, che Kelly e Dee riuscirono a decifrare nonostante la complessità. Studiosi e scienziati di tutti i tempi hanno analizzato a lungo gli scritti e i diari dell’illustre matematico inglese, ma senza giungere a conclusioni univoche sull’origine di quest’idioma, che sarebbe in grado di risvegliare il potenziale magico dell’uomo.

 

Purtroppo molte parti dei diari e degli scritti che Dee ci ha lasciato non sono chiari: un primo ostacolo viene dalla stessa calligrafia dell’autore, difficile da decifrare; molte sue allusioni, poi, annotate qua e là, rimangono oscure; un’ulteriore complicazione è data dall’inglese tardo-rinascimentale che presenta forme arcaiche, oggi non più in uso, e frasi in latino che l’autore ha mescolato all’inglese.

Gli anni in cui John Dee visse furono turbolenti. Il paese era lacerato dalle guerre di religione e lo spettro della superstizione aleggiava ovunque. Anche lui ne fu vittima. Quando Elisabetta I fu chiamata a regnare, il trono inglese era traballante e grondava ancora sangue. Le casse dello stato erano vuote, il debito pubblico elevato e i problemi da affrontare gravi.

 

Tuttavia la paura di finire su un rogo, o su una forca,non impedì a Dee di continuare dritto per la sua strada.

Come i grandi studiosi del suo tempo, non faceva distinzione tra la ricerca matematica, le indagini sulla magia ermetica o l’evocazione degli angeli: con tutte queste attività cercava di comprendere ciò che soggiaceva al mondo visibile. Era disposto a qualsiasi cosa, pur di raggiungere quello che aveva in mente. A un certo punto Edward Kelly gli disse che, se volevano davvero compiacere il mondo invisibile, dovevano condividere tutto, comprese le mogli. Dee, che aveva giurato obbedienza ai precetti angelici, confidò le sue perplessità alle pagine del suo diario, ma poi acconsentì.

Era solo un ingenuo credulone?

Assolutamente no.

Fu uno scienziato di primissimo ordine, astronomo e astrologo, uno specialista nel campo della chimica, dell’ottica e delle sue applicazioni militari. Comprese l’importanza delle nuove scoperte geografiche e, secondo alcuni storici, è stato proprio lui a coniare per la prima volta il termine “British Empire”.

La biblioteca della sua casa a Mortlake, la cittadina adagiata sulla sponda del Tamigi, oggi distretto municipale di Londra, contava circa 4 mila volumi, tra stampati e manoscritti, nonché numerosi strumenti scientifici, alcuni di eccezionale rarità e bellezza. C’erano astrolabi, quadranti, globi, strumenti ottici e di navigazione, compassi da marinaio e un Sigillum Dei Emeth, un diagramma alchemico, da lui stesso realizzato, che si credeva avesse proprietà magiche. Purtroppo, come la maggior parte dei libri di Dee, anche questo è andato perduto.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]