JOHN DEE, GENIO ALCHIMISTA
SU COLUI CHE VOLEVA PENETRARE I
MISTERI DEL COSMO
di Ivana Londero
John Dee (1527-1608) era uno degli
uomini più colti dell’Inghilterra
elisabettiana, celebrato matematico
e scienziato. Eppure, per i suoi
detrattori, non è stato altro che un
appassionato di occultismo,
divinazione e astrologia. Ma chi era
veramente questo grande studioso,
scrittore prolifico, figlio di un
mercante di tessuti, che ebbe un
rapporto speciale con Elisabetta I?
Innanzitutto la sua passione per le
arti magiche non deve sorprenderci.
Nel Rinascimento, non c’era una
netta distinzione tra le scienze, la
matematica e la magia: un medico si
occupava anche di astrologia e, per
questo, non veniva considerato un
ciarlatano. Allora le “dottrine
occulte” godevano di ampia
diffusione presso le corti dei
prìncipi, i dotti e le università.
Lo studio della natura si tramutava
in magia naturalis e discipline
quali l’alchimia assumevano
connotazioni “fisiche” perdendo
eminentemente gli aspetti simbolici.
È sotto questa luce che va vista la
figura di John Dee: una mente
poliedrica,che voleva raggiungere la
verità fondendo insieme misticismo,
magia e matematica. I suoi lunghi
viaggi gli fecero conoscere le nuove
idee che serpeggiavano sul
Continente, soprattutto in Italia,
dove si contavano numerosi cultori
dell’esoterismo e del cabalismo. Era
stato Pico della Mirandola
(1463-1494) a riscoprire le fonti
cabalistiche come fonti di sapienza
a cui attingere per decifrare il
mistero del mondo. Altri lo avevano
seguito e la cabbala era divenuta un
aspetto essenziale dell’interesse
del Rinascimento per l’occulto e la
magia.
La ricerca di John Dee, sempre
onesta e rigorosa, mirava a trovare
un linguaggio universale originario,
capace di unire l’uomo a Dio, e di
penetrare i misteri del cosmo. Nel
1582 incontrò Edward Kelly, un
giovane alchimista dal passato
oscuro. Tra i due nacque un legame
che durò a lungo, sebbene a tratti
burrascoso. Nelle innumerevoli
sedute che organizzarono usarono
svariate pratiche di magia:
allestirono le nozze ermetiche per
ricostruire l’androginia spirituale,
praticarono i riti magici alla Luna
Nera, evocarono angeli e demoni, si
cimentarono nella trasmutazione del
metallo in oro.
Gli spiriti da loro evocati
comunicavano attraverso la lingua
enochiana, che Kelly e Dee
riuscirono a decifrare nonostante la
complessità. Studiosi e scienziati
di tutti i tempi hanno analizzato a
lungo gli scritti e i diari
dell’illustre matematico inglese, ma
senza giungere a conclusioni
univoche sull’origine di
quest’idioma, che sarebbe in grado
di risvegliare il potenziale magico
dell’uomo.
Purtroppo molte parti dei
diari e degli scritti che Dee ci ha
lasciato non sono chiari: un primo
ostacolo viene dalla stessa
calligrafia dell’autore, difficile
da decifrare; molte sue allusioni,
poi, annotate qua e là, rimangono
oscure; un’ulteriore complicazione è
data dall’inglese tardo-rinascimentale che presenta
forme arcaiche, oggi non più in uso,
e frasi in latino che l’autore ha
mescolato all’inglese.
Gli anni in cui John Dee visse
furono turbolenti. Il paese era
lacerato dalle guerre di religione e
lo spettro della superstizione
aleggiava ovunque. Anche lui ne fu
vittima. Quando Elisabetta I fu
chiamata a regnare, il trono inglese
era traballante e grondava ancora
sangue. Le casse dello stato erano
vuote, il debito pubblico elevato e
i problemi da affrontare gravi.
Tuttavia la paura di finire su un
rogo, o su una forca,non impedì a
Dee di continuare dritto per la sua
strada.
Come i grandi studiosi del suo
tempo, non faceva distinzione tra la
ricerca matematica, le indagini
sulla magia ermetica o l’evocazione
degli angeli: con tutte queste
attività cercava di comprendere ciò
che soggiaceva al mondo visibile.
Era disposto a qualsiasi cosa, pur
di raggiungere quello che aveva in
mente. A un certo punto Edward Kelly
gli disse che, se volevano davvero
compiacere il mondo invisibile,
dovevano condividere tutto, comprese
le mogli. Dee, che aveva giurato
obbedienza ai precetti angelici,
confidò le sue perplessità alle
pagine del suo diario, ma poi
acconsentì.
Era solo un ingenuo credulone?
Assolutamente no.
Fu uno scienziato
di primissimo ordine, astronomo e
astrologo, uno specialista nel campo
della chimica, dell’ottica e delle
sue applicazioni militari. Comprese
l’importanza delle nuove scoperte
geografiche e, secondo alcuni
storici, è stato proprio lui a
coniare per la prima volta il
termine “British Empire”.
La biblioteca della sua casa a
Mortlake, la cittadina adagiata
sulla sponda del Tamigi, oggi
distretto municipale di Londra,
contava circa 4 mila volumi, tra
stampati e manoscritti, nonché
numerosi strumenti scientifici,
alcuni di eccezionale rarità e
bellezza. C’erano astrolabi,
quadranti, globi, strumenti ottici e
di navigazione, compassi da marinaio
e un Sigillum Dei Emeth, un
diagramma alchemico, da lui stesso
realizzato, che si credeva avesse
proprietà magiche. Purtroppo, come
la maggior parte dei libri di Dee,
anche questo è andato perduto.