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N. 68 - Agosto 2013 (XCIX)

JIMMY CONNORS
IL TENNISTA COMBATTENTE

di Massimo Manzo

 

Tra i protagonisti del tennis mondiale Jimmy Connors è stato il primo campione “anticonvenzionale” nella storia di questo sport. Dopo di lui cambia radicalmente sia il modo di interpretare il tennis che l’immagine stessa del tennista, non più gentleman freddo e inflessibile ma atleta grintoso e pronto a tutto pur di vincere.

 

Sull’esempio di Connors il tennis viene scaraventato giù dal piedistallo, si apre alle masse e diviene spettacolo.

 

Nato nel 1952 a Belleville, una piccola cittadina di provincia dell’Illinois, James Scott Connors inizia a impugnare la racchetta da bambino, incoraggiato dalla madre (una ex campionessa) e dalla nonna.

 

Già da piccolo mette in luce il proprio talento e uno stile di gioco originalissimo, che manterrà in tutta la sua lunga carriera. Mancino, Jimmy preferisce infatti giocare da fondocampo e scendere a rete solo quando è riuscito a sfiancare l’avversario con i suoi pesantissimi colpi, per chiudere il punto. Ha inoltre una resistenza fisica straordinaria, che gli permette di non perdere la lucidità anche dopo match estenuanti.

 

Si potrebbe definire il primo “giocatore d’attacco da fondo campo”, precursore di uno stile oggi diffusissimo, ma che al tempo dovette sembrare anomalo, se confrontato al serve and volley tipico del tennis maschile dell’epoca.

 

Probabilmente queste caratteristiche di gioco furono sviluppate per sopperire al suo servizio, mai particolarmente potente. Il colpo migliore di Jimmy è il rovescio, micidiale, che colpisce a due mani, anticipando una pratica molto comune nel tennis moderno, ma sconosciuta in precedenza.

 

Rispetto ai suoi avversari, inoltre, Connors è uno dei primissimi tennisti a sperimentare l’utilizzo di una racchetta in metallo. Si tratta della leggendaria Wilson T 2000, che lo accompagnerà per quasi tutta la carriera, strumento inseparabile di innumerevoli vittorie. 

 

Aldilà degli aspetti puramente tecnici, però,  è l’atteggiamento tenuto in campo a sconvolgere gli schemi. Connors è infatti una sorta di bullo: arrogante con il pubblico, rabbioso con l’avversario, deciso a vincere ogni match rischiando il tutto per tutto, quasi si trattasse di una questione di vita o di morte.

 

Capace di far innervosire i suoi antagonisti, Jimmy riesce a metterli sotto pressione, spezzandone la continuità di gioco e mandandone all’aria le tattiche.

 

All’inizio, il rapporto del tennista americano con il pubblico non è dei migliori. Abituati a campioni ben più educati e silenziosi, gli spettatori non riescono a decifrarne il comportamento.

 

I primi anni è soprattutto il pubblico di Wimbledon, più conservatore e tradizionalista, a non amare Connors. Nel corso del tempo, tuttavia, la gente comincia ad apprezzare la passione e l’energia che Jimmy mette in ogni singolo scambio ed anche il campione americano sembra essere più conciliante verso il pubblico.

 

Si instaura gradualmente una sorta di simbiosi, in particolare con gli spettatori newyorkesi degli US Open, per i quali diventa un vero e proprio idolo.

 

Gli americani finiscono per adorarlo, e lui ricambia dando il meglio quando gioca a New York: “qualcuno veniva per vedermi vincere, altri per vedermi perdere, ma i più venivano per vedermi combattere” affermerà compiaciuto Connors. Tutti imparano a rispettare la sua personalità, perché sanno che l’americano lotterà fino all’ultimo respiro prima di cedere, proprio come un pugile.

 

Dietro questa estrema combattività si celava la convinzione, profondamente radicata in lui, di essere il migliore.

 

Tale convincimento è solo in parte vero. Nonostante il suo talento, in carriera Jimmy ha incontrato giocatori più abili di lui tecnicamente. Se dal 1973 al 1977, infatti, fu letteralmente invincibile, riuscendo a sfiorare il grande slam nel  74 (se non fosse stato squalificato al Rolland Garros, probabilmente ce l’avrebbe fatta), dal 77 in poi cominciarono ad affacciarsi sulla scena avversari come McEnroe o  Borg, contro i quali intrattenne duelli memorabili, ma la cui tecnica era spesso superiore.

 

Nessuno dei suoi “nemici” storici aveva tuttavia la sua grinta e la sua forza di volontà, doti in cui era davvero insuperabile e che gli hanno permesso di  ottenere risultati straordinari, portandolo a disputare tornei dello slam ad altissimi livelli fino alle soglie dei quarant’anni, sfidando generazioni di campioni.

 

Ancora oggi i numeri di Connors impressionano: l’americano detiene infatti il record di 109 titoli conquistati nel singolare maschile. Tra questi, ha trionfato otto volte nei tornei dello slam, conquistando  Wimbledon nel 74 e nell’82, vincendo un’edizione degli Australian Open e primeggiando per ben cinque anni negli Open degli Stati Uniti.

 

Connors è stato inoltre il numero uno della classifica mondiale per 268 settimane (dal 1974 al 1979 per 160 settimane consecutive e ancora nell’ 82 e 83, dopo il ritiro di Borg). Se non fosse per Federer, che lo ha superato nel 2007, Jimmy sarebbe il tennista rimasto più a lungo sulla vetta del ranking mondiale nella storia.

 

Memorabili sono alcuni degli incontri che ha disputato negli ultimi anni della sua carriera. Per nulla intimorito dalla potenza delle nuove stelle del tennis, nell’89 Connors riesce ad arrivare ai quarti di finale degli US Open, battuto dal giovane Agassi solo dopo un’estenuante partita finita al quinto set; l’anno seguente raggiunge persino la semifinale, esultando ad ogni punto come un ragazzino, tra le ovazioni del pubblico newyorkese.

 

Poi il ritiro, nel 1991. Al terzo turno del Roland Garros affronta il diciannovenne Michael Chang, vincitore dell’edizione del 1989 e uno dei giocatori più in forma del momento.

 

I pronostici danno Connors per spacciato, ma Jimmy riesce a disputare quattro set al limite delle sue possibilità. Resiste fino all’inizio del quinto, stremato, stringendo i denti ad ogni punto, lottando contro la fatica e contro un avversario che sembra un folletto.

 

Prima di mollare, attende teatralmente di andare in vantaggio di un punto, conquistato con un’ultima fucilata di rovescio.

 

A quel punto si avvicina alla sedia dell’arbitro. Il pubblico parigino capisce che si tratta del suo ultimo punto. Quello stesso pubblico che non l’aveva mai visto vincere il torneo, si commuove.

 

L’intero campo centrale, gremito,  si alza in piedi dedicandogli un lungo, sentito e rumoroso applauso. Un ritiro degno del più grande lottatore della storia del tennis.



 

 

 

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