N. 58 - Ottobre 2012
(LXXXIX)
jim Crow
da giullare a oppressore – PARTE II
di Elisabetta Soro
I
seguenti
stralci
sono
tratti
dalla
cronistoria
di
un
inviato
del
The
Crisis
a
Waco,
Texas,
per
investigare
il
linciaggio
di
un
giovane
afroamericano
accusato
di
stupro
e
omicidio.
Il
raccapricciante
resoconto
apparve
sul
supplemento
del
periodico
della
NAACP
nel
luglio
1916
col
titolo
The
Waco
Horror.
Dopo
un
breve
descrizione
della
città
di
Waco,
continua:
Vicino
alla
cittadina
di
campagna
di
Robinson,
circa
sei
miglia
da
Waco,
vivevano
i
Fryar,
una
famigliola
bianca
composta
da
quattro
persone,
che
possedevano
una
piccola
fattoria.
Se
ne
occupavano
loro
stessi
con
l’aiuto
di
un
ragazzo
di
colore
di
diciassette
anni,
chiamato
Jesse
Washington.
Jesse
era
un
ragazzone
ben
sviluppato,
ma
ignorante,
non
sapendo
egli
né
leggere
né
scrivere.
Si
dice
fosse
intrattabile,
e
forse
mentalmente
instabile,
ma
con
un
temperamento
forte,
e
perfino
audace.
Si
dice
che
sabato
notte
prima
del
delitto
avesse
avuto
una
discussione
con
un
vicino
bianco
e
l’uomo
avesse
minacciato
di
ucciderlo.
Lunedì,
8
maggio,
mentre
il
sig.
Fryar,
suo
figlio
di
quattordici
anni,
e
sua
figlia
di
ventitré,
stavano
zappando
nel
campo
di
cotone,
il
ragazzo,
Jesse,
stava
arando
con
i
suoi
muli
e
piantando
i
semi
di
cotone
vicino
alla
casa,
dove
la
sig.ra
Fryar
era
sola.
Si
recò
da
lei
per
chiedere
più
semi
di
cotone.
Mentre
la
Sig.ra
Fryar
li
metteva
nella
borsa
che
lui
teneva,
l’ha
rimproverato
perché
aveva
picchiato
i
muli.
Lui
l’ha
buttata
a
terra
con
un
martello
da
fabbro
ferraio,
e,
secondo
la
sua
confessione,
l’ha
vergognosamente
stuprata;
infine
l’ha
uccisa
con
il
martello.
Il
ragazzo
poi
è
tornato
al
campo,
ha
finito
il
suo
lavoro
ed è
rientrato
a
casa
sua,
una
capanna
dove
viveva
con
suo
padre,
sua
madre
e
diversi
fratelli
e
sorelle.
Quando
il
corpo
della
donna
è
stato
scoperto
i
sospetti
sono
ricaduti
su
Jesse
Washington,
che
è
stati
trovato
seduto
nel
suo
cortile
che
intagliava
un
pezzo
di
legno.
È
stato
arrestato
e
immediatamente
portato
al
carcere
di
Waco.
Martedì
una
folla
si è
recata
alla
prigione.
Sono
entrati
con
circa
trenta
automobili,
ciascuna
trasportando
quante
più
persone
poteva.
Non
hanno
fatto
rumore,
nessun
suono
di
clacson,
le
luci
basse,
e
alcuni
nemmeno
le
avevano
accese.
Era
tutta
gente
di
Robinson.
Cercavano
il
ragazzo,
ma
non
l’hanno
trovato,
poiché
era
stato
portato
in
una
contea
vicina
dove
lo
sceriffo
era
riuscito
a
ottenere
una
confessione.
Un
altro
gruppo
è
andato
in
questo
capoluogo
di
contea
per
farsi
consegnare
il
ragazzo,
ma
era
stato
nuovamente
spostato
a
Dallas.
Alla
fine,
la
gente
di
Robinson
ha
preso
l’impegno
di
non
linciare
il
ragazzo
se
le
autorità
avessero
agito
prontamente,
e se
il
ragazzo
avesse
rinunciato
ai
suoi
diritti
legali.
Nella
prigione
di
Dallas
durante
una
seconda
confessione
il
ragazzo
ha
rinunciato
a
tutti
i
suoi
diritti
legali.
La
Giuria
dell’udienza
preliminare
lo
ha
incriminato
giovedì,
e il
caso
è
stato
messo
a
processo
per
il
lunedì,
15
maggio.
Domenica
notte,
a
mezzanotte,
Jesse
Washington
è
stato
portato
da
Dallas
a
Waco,
e
nascosto
nell’ufficio
del
giudice.
Non
c’era
il
minimo
dubbio
che
sarebbe
stato
giudicato
e
impiccato
il
giorno
seguente,
se
la
legge
avesse
fatto
il
suo
corso.
C’erano
alcuni,
ma
non
molti
dubbi
sulla
sua
colpevolezza.
Le
confessioni
erano
state
estorte
ed
erano,
forse,
sospettosamente
palesi,
e
non
completamente
nelle
parole
del
ragazzo.
Sembra,
comunque,
probabile
che
il
ragazzo
fosse
colpevole
di
omicidio,
e
probabilmente
di
violenza
carnale
premeditata.
Nel
frattempo,
si
dice
che
la
politica
di
Waco
esigesse
un
linciaggio…Hanno
riportato
il
ragazzo
a
Waco
perché
un
linciaggio
aveva
un
valore
politico
per
i
funzionari
della
contea
candidati
alle
elezioni.
Ogni
persona
con
cui
ho
parlato
ha
detto
che
dietro
tutta
questa
faccenda
c’è
la
politica.
Tutti
coloro
che
hanno
preso
parte
al
linciaggio
voteranno
per
lo
Sceriffo…Il
Giudice
distrettuale
della
Corte
penale
è
R.I.
Munroe,
uomo
di
dubbia
moralità,
nominato
dal
governatore
Campbell…
Lo
Sceriffo
della
contea,
S.S.
Fleming,
si è
un
ricandidato
per
le
elezioni
e ha
fatto
del
suo
sostegno
alla
pratica
del
linciaggio
il
suo
cavallo
di
battaglia
durante
la
campagna
elettorale...
Nel
frattempo…
La
folla
ha
iniziato
a
riversarsi
in
città
già
dal
giorno
prima
e ha
continuato
la
mattina
presto
di
lunedì.
L’aula
del
tribunale
era
piena
zeppa
e
una
folla
di
2.000
persone
stava
all’esterno.
I
giurati
a
mala
pena
riuscivano
a
muoversi
dai
loro
posti.
Ho
chiesto
al
Giudice
se
non
avesse
potuto
sgomberare
l’aula
e ha
risposto
che
io
non
conoscevo
il
Sud.
Ho
detto,
“Se
una
persona
è
abbastanza
importante,
può
alzarsi
in
piedi
e
fermare
la
più
grande
delle
folle.”
Ha
chiesto,
“E
lei
vuole
versare
del
sangue
innocente
per
un
Negro?”
Qualcuno
aveva
organizzato
tutto
in
modo
che
fosse
facile
fare
uscire
il
ragazzo
dall’aula…
Al
ragazzo,
Jesse
Washington,
è
stato
chiesto
cosa
ne
pensava
della
folla
che
lo
seguiva.
Lui
ha
detto,
“Hanno
promesso
che
non
lo
faranno
se
racconto
tutto.”
Sembrava
non
preoccuparsene,
ma
questo
non
cambiava
le
cose.
Il
processo
è
stato
fatto
in
tutta
fretta.
Il
Semi-Weekly
Tribune
di
Waco,
del
17
maggio,
riporta:
La
giuria
è
rientrata
in
tribunale
alle
11:22,
e ha
presentato
il
suo
verdetto:
“Noi,
la
giuria,
dichiariamo
l’imputato
colpevole
di
omicidio
come
da
atto
d’accusa
e
stabiliamo
come
giusta
punizione
la
morte.”
La
decisione
è
stata
firmata
da
W.B.
Brazelton,
capo
dei
giurati.
“È
questo
il
Vostro
verdetto,
signori?”
Ha
chiesto
il
giudice
Munroe.
Hanno
risposto
“sì.”
Il
giudice
Munroe
ha
cominciato
a
scrivere
nel
suo
registro.
Aveva
scritto:
‘15
maggio
1916:
verdetto
della
giuria
colpevole,’
e
mentre
scriveva
era
sceso
il
silenzio
sull’intera
aula
del
tribunale.
C’è
stato
un
momento
d’esitazione,
ma
soltanto
un
momento.
Quindi…Fred
H.
Kingsbury,
che
si
trovava
di
fianco
al
giudice
Munroe,
ha
detto,
“Lo
stanno
seguendo,”
e
quando
il
Giudice
ha
alzato
lo
sguardo,
un
fiume
di
gente
si è
riversato
in
massa.
L’aula
del
tribunale
poteva
contenere
500
persone,
ma
il
Giudice
aveva
permesso
l’ingresso
a
1.500
individui…
Lo
stenografo
mi
ha
detto
che
ci è
stata
una
pausa
di
un
minuto
intero.
Ha
detto
che
la
gente
gli
si
era
affollata
intorno
e
lui
sapeva
cosa
stava
per
accadere,
allora
è
scivolato
fuori
dalla
porta
che
si
trovava
dietro
lo
Sceriffo,
portando
con
sé
la
documentazione;
e
anche
lo
sceriffo
Fleming
è
sgattaiolato
fuori.
Fleming
afferma
che
tutto
ciò
che
gli
era
stato
chiesto
di
fare
per
proteggere
il
ragazzo
riguardava
l’arrivo
in
tribunale.
Un
omone
in
fondo
all’aula
del
tribunale
ha
urlato,
“Prendete
il
Negro!”
Barney
Goldberg,
uno
dei
vicesceriffi,
mi
ha
detto
che
lui
non
sapeva
che
Fleming
aveva
preso
ordini
perché
lasciasse
prendere
il
Negro,
e ha
tirato
fuori
la
sua
rivoltella.
In
seguito
ha
fatto
giurare
ai
suoi
amici,
mediante
dichiarazione
scritta,
che
lui
non
si
trovava
là
in
quel
momento…Il
giudice
non
ha
fatto
niente
per
fermare
la
folla,
sebbene
avesse
l’arma
da
fuoco
sulla
sua
scrivania.
Hanno
trascinato
il
ragazzo
giù
dai
gradini,
gli
hanno
messo
una
catena
intorno
al
corpo
e
l’hanno
legata
a
un’automobile.
La
catena
si è
rotta.
Quindi
l’omone
ha
sfilato
la
catena
dal
Negro
al
riparo
dalla
folla
e
l’ha
avvolta
al
suo
polso,
in
modo
che
quando
la
folla
strattonava
la
catena
strattonava
il
polso
dell’uomo
ed
era
lui
a
tenere
il
ragazzo.
Il
ragazzo
strillava
e si
dimenava.
La
folla
gli
ha
strappato
via
i
vestiti,
li
ha
stracciati
in
pezzettini
e ha
ferito
il
ragazzo
con
delle
armi
da
taglio.
Qualcuno
gli
ha
tagliato
l’orecchio,
qualcun
altro
i
genitali.
Una
ragazzina
che
lavora
per
la
ditta
di
Goldstein
e
Mingle
mi
ha
detto
che
l’ha
visto
fare
con
i
suoi
occhi.
Ho
ripercorso
l’itinerario
nel
quale
il
ragazzo
è
stato
portato
e ho
appurato
che
è
stato
trascinato
per
un
quarto
e
mezzo
di
miglio
dal
Palazzo
di
giustizia
al
ponte
e
poi
per
due
isolati
e un
altro
ancora
fino
al
Municipio.
Una
volta
giunti
al
ponte,
qualcuno
ha
detto
che
il
fuoco
era
già
stato
acceso
al
Municipio,
così
hanno
girato
e
sono
tornati
indietro.
Parecchie
persone
negano
che
ci
fosse
un
fuoco
acceso,
ma
la
fotografia
non
lascia
dubbi.
Hanno
incaricato
un
ragazzino
di
accenderlo.
Mentre
veniva
preparato
il
fuoco
con
delle
scatole,
il
ragazzo
nudo
veniva
pugnalato
e la
catena
fatta
passare
sopra
l’albero.
Ha
provato
a
fuggire,
ma
non
c’è
riuscito.
Ha
steso
le
braccia
verso
l’alto
per
afferrare
la
catena
e
gli
hanno
tagliato
le
dita.
L’omone
l’ha
colpito
alla
nuca
con
un
coltello
mentre
lo
issavano
sull’albero.
Il
sig.
Lester
ha
pensato
che
questo
fosse
il
colpo
mortale.
È
stato
abbassato
nel
fuoco
parecchie
volte
con
la
catena
intorno
al
collo.
Qualcuno
ha
detto
che
il
ragazzo
aveva
circa
venticinque
ferite
da
taglio,
nessuna
ne
causò
la
morte.
Verso
l’una
e un
quarto
una
persona
perfida
ha
preso
il
torso
al
lazo,
ha
attaccato
la
corda
sopra
il
pomo
della
sella,
e lo
ha
trascinato
per
le
vie
di
Waco…L’albero
dove
è
avvenuto
il
linciaggio
si
trovava
appena
sotto
la
finestra
del
sindaco.
Il
sindaco
Dollins
si
trovava
là,
non
preoccupato
di
quello
che
facevano
al
ragazzo,
ma
che
l’albero
sarebbe
stato
distrutto.
Anche
il
Capo
della
Polizia
è
stato
testimone
del
linciaggio…
Donne
e
bambini
hanno
assistito
al
linciaggio.
Un
uomo
ha
sollevato
il
suo
figlioletto
sopra
le
teste
della
folla
in
modo
che
potesse
vedere,
e un
ragazzino
si
trovava
sulla
cima
dell’albero
a
cui
il
ragazzo
di
colore
è
stato
appeso,
e vi
è
rimasto
finché
il
fuoco
non
è
diventato
troppo
caldo...Sulla
strada
per
il
rogo
la
gente
assiepata
per
le
strade
dava
sfogo
ai
propri
sentimenti
colpendo
il
Negro
con
qualunque
cosa:
l’hanno
colpito
con
dei
badili,
dei
mattoni,
dei
bastoni
e
altri
l’hanno
pugnalato
e
l’hanno
tagliato
fino
a
che
il
suo
corpo
non
si è
tinto
di
rosso.
Il
sangue
delle
numerose
ferite
inflitte
l’ha
coperto
da
capo
a
piedi.
Scatole
di
tessuti
e
tutti
i
generi
di
materiale
infiammabile
sono
stati
messi
insieme,
e ci
sono
voluti
pochi
istanti
perché
si
sprigionassero
delle
fiamme
bollenti.
Quando
il
Negro
è
stato
per
la
prima
volta
issato
nell’aria
la
lingua
gli
è
uscita
dalla
bocca
e la
faccia
si è
macchiata
di
sangue.
Il
Negro
non
era
ancora
morto,
sebbene
quasi
lo
fosse,
quando
gli
è
stata
messa
al
collo
un’altra
catena
ed è
stato
lasciato
penzolare
dal
ramo
dell’albero,
mentre
tutti
provavano
ad
arrivare
a
lui
per
partecipare
alla
sua
uccisione.
La
folla
furente
poi
ha
appoggiato
il
Negro,
che
era
per
metà
vivo
e
per
metà
morto,
contro
l’albero,
e
lui
aveva
appena
la
forza
necessaria
per
sostenersi.
È
stato
quindi
tirato
in
aria
con
uno
strattone
improvviso
accompagnato
da
un
grido
della
folla
e le
scatole
di
tessuti,
i
trucioli
da
imballaggio,
il
legno
e
ogni
altro
oggetto
infiammabile
è
stato
reso
visibile,
comparendo
come
per
magia.
È
stata
procurata
allora
un’enorme
scatola
di
tessuti
riempita
fino
alla
cima
con
tutto
il
materiale
che
era
stato
portato.
Il
corpo
del
Negro
oscillava
nell’aria
e
per
tutto
il
tempo
si è
udito
un
forte
brusio
come
di
migliaia
di
persone,
e il
corpo
del
Negro
è
stato
abbassato
dentro
la
scatola.
Non
appena
il
suo
corpo
ha
toccato
la
scatola
la
gente
si è
affollata
davanti,
ciascuno
desideroso
di
essere
il
primo
ad
accendere
il
fuoco.
Appena
i
fiammiferi
sono
venuti
in
contatto
con
il
materiale
infiammabile,
il
fumo
è
salito
rapidamente
nell’aria.
Non
si è
mai
avuta
una
simile
dimostrazione
di
come
la
gente
possa
perdere
la
ragione.
Tutti
si
sono
affollati
più
vicino
per
poter
prendere
un
ricordo
dell’evento.
Quando
hanno
finito
con
il
Negro
il
suo
corpo
è
stato
mutilato.
Dita,
orecchie,
pezzi
d’abbigliamento,
dita
dei
piedi
e
altre
parti
del
corpo
del
Negro
sono
state
tagliate
da
alcune
persone
della
folla…Alcuni
spettatori
si
sono
sporti
dalle
finestre
del
Municipio
e da
ogni
altro
edificio
che
si
affacciava
sulla
piazza
del
rogo,
e
quando
il
corpo
del
Negro
ha
cominciato
a
bruciare,
le
grida
di
gioia
sono
fluite
dalle
migliaia
di
gole
che
evidentemente
hanno
dimostrato
in
un
certo
senso
la
loro
soddisfazione
per
il
castigo
che
veniva
inflitto
all’autore
di
tale
orribile
delitto,
il
peggiore
negli
annali
della
storia
della
contea
di
McLennan.
Il
corpo
del
Negro
carbonizzato
è
stato
lasciato
per
un
po’
tra
i
resti
fumanti
del
fuoco.
Le
donne
e i
bambini
che
desideravano
vedere
la
scena
hanno
avuto
la
possibilità
di
farlo,
poiché
la
folla
si è
allontanata
per
permetterle
di
accostarsi.
Dopo
un
po’
di
tempo
il
corpo
del
Negro
è
stato
tirato
in
aria
con
uno
strattone
e
tutti
hanno
potuto
vedere
i
suoi
resti
e un
forte
grido
si è
levato.
Il
fotografo
Gildersleeve
ha
scattato
diverse
istantanee
del
corpo
così
come
della
grande
folla
che
circondava
la
scena.
Il
fotografo
sapeva
dove
avrebbe
avuto
luogo
il
linciaggio
e
aveva
la
sua
macchina
fotografica
e
l’armamentario
in
Municipio.
È
stato
chiamato
per
telefono
al
momento
giusto…
Il
corpo
del
ragazzo
venne
infine
smembrato:
il
torso
trascinato
da
un
cavallo
per
le
vie
della
città,
i
denti
strappati
e
venduti
da
dei
ragazzini
per
cinque
dollari
ciascuno,
la
catena
per
venticinque
centesimi
ad
anello.
La
descrizione
delle
torture
inflitte
al
giovane
fu
corredata
sul
giornale
dalle
fotografie
scattate
e
vendute
come
cartoline
postali
per
celebrare
l’evento.
Una
di
queste
fu
inviata
con
le
seguenti
parole:
Questo
è il
barbecue
che
abbiamo
fatto
la
notte
scorsa.
Io
sono
quello
sulla
sinistra
con
una
croce
sopra.
Tuo
figlio
Joe.
Se
le
organizzazioni
e
gli
enti
preposti
allo
studio
del
fenomeno
non
potevano
negare
la
ferocia
con
la
quale
si
manifestavano
i
linciaggi,
c’erano
alcune
discrepanze
sulla
frequenza
con
cui
venivano
compiuti.
Il
Tuskegee
Institute
(Alabama)
nel
1914,
ad
esempio,
contò
52
linciaggi
per
quell’anno;
il
Chicago
Tribune
ne
riportò
54,
mentre
il
The
Crisis
ne
calcolò
ben
74.
Tutti
concordavano
però
che
nell’arco
di
quarant’anni
i
linciaggi
avessero
superato
i
4.000,
se
si
contavano
anche
il
migliaio
a
danno
dei
bianchi.
Non
era
raro
anche
tra
gli
euroamericani
che
aborrivano
il
linciaggio,
la
convinzione
che
questo
fosse
altresì
l’unico
strumento
utile
per
difendersi
dagli
africani,
a
detta
loro,
inclini
alla
violenza
e
allo
stupro.
Secondo
Arthur
Raper,
che
investigò
oltre
un
secolo
di
linciaggi,
un
terzo
circa
delle
vittime
erano
accusate
ingiustamente,
oggetto
di
risentimento
e
pregiudizio.
E
fino
al
1918
nessun
meridionale
bianco
venne
mai
condannato
per
aver
partecipato
a un
linciaggio.
La
maggior
parte
delle
volte
chi
praticava
il
linciaggio
restava
impunito,
raramente
veniva
arrestato
e se
arrestato
quasi
mai
condannato.
Tutto
il
sistema
giudiziario
era
in
mano
agli
euroamericani
che
non
attendevano
altro
che
una
resa
dei
conti.
Al
contrario,
spesso
la
legge
serviva
per
intimare
agli
afroamericani
l’osservanza
di
alcune
regole
create
durante
il
regime
di
“Jim
Crow”,
che
riguardavano
ogni
aspetto
della
vita
quotidiana.
Per
esempio,
nel
1935,
l’Oklahoma
proibì
agli
afroamericani
di
andare
in
barca
insieme
agli
euroamericani,
poiché
ciò
avrebbe
implicato
un’uguaglianza
sociale
che
non
poteva
essere
tollerata.
Nel
1905,
la
Georgia
decretò
che
fossero
creati
parchi
separati
per
neri
e
bianchi.
Nel
1930,
a
Birmingham
(Alabama)
venne
reso
illegale
il
gioco
di
dama
e
domino
tra
membri
dei
due
gruppi.
Spesso
queste
imposizioni
svelavano
tutta
la
loro
assurdità
e il
loro
aspetto
paradossale,
come,
ad
esempio
il
fatto
che
un
afroamericano
nero
non
potesse
porgere
la
mano
a un
bianco
per
il
consueto
saluto
poiché
ciò
implicava
parità
tra
le
razze.
Ovviamente
questo
era
impensabile
nei
confronti
di
una
donna
perché
il
rischio
era
di
essere
addirittura
accusato
di
stupro.
Le
leggi
di
Jim
Crow
stabilivano
anche
che
neri
e
bianchi
non
potessero
mangiare
insieme.
Se
ciò
accadeva
i
bianchi
dovevano
essere
serviti
per
primi
e
una
sorta
di
parete
divisoria
veniva
sistemata
tra
loro.
Per
nessuna
ragione
al
mondo
un
nero
poteva
offrirsi
di
accendere
la
sigaretta
a
una
donna
bianca,
un
gesto
simile
implicava
intimità.
Ancora,
i
neri
non
erano
autorizzati
a
scambiarsi
effusioni
o
gesti
di
affetto
in
pubblico,
specialmente
baci,
poiché
tali
gesti
potevano
offendere
la
sensibilità
dei
bianchi.
Il
protocollo
di
Jim
Crow
stabiliva
inoltre
che
i
neri
venissero
presentati
ai
bianchi,
e
mai
il
contrario.
Infine,
gli
euroamericani
non
erano
tenuti
ad
usare
titoli
di
cortesia,
per
esempio
“signore”,
“signorina”,
e
così
via,
nel
rivolgersi
agli
afroamericani.
Al
contrario
ci
si
doveva
loro
rivolgere
con
il
nome
proprio
oppure
con
l’appellativo
“ragazzo
o
ragazza,”
malgrado
adulti
d’età.
I
neri,
al
contrario,
dovevano
utilizzare
i
titoli
di
cortesia
se
si
rivolgevano
ai
bianchi,
e
non
erano
autorizzati
ad
utilizzare
il
nome
proprio
di
questi
ultimi.
In
concomitanza
con
le
leggi
di
Jim
Crow
operava
il
cosiddetto
“galateo
di
Jim
Crow”,
che
Stetson
Kennedy,
autore
e
attivista
per
i
diritti
umani,
ha
documentato
e
raccolto
nel
suo
libro
“La
Guida
di
Jim
Crow”:
1.
Mai
asserire
o
anche
solamente
lasciare
intendere
che
un
bianco
stia
mentendo.
2.
Mai
attribuire
intenzioni
disonorevoli
a un
bianco.
3.
Mai
insinuare
che
un
bianco
appartiene
a
una
classe
sociale
inferiore.
4.
Mai
rivendicare,
o
ostentare,
maggiori
conoscenze
o
intelligenza
superiore
a
quelle
di
un
bianco.
5.
Mai
imprecare
contro
un
bianco.
6.
Mai
deridere
un
bianco.
7.
Mai
commentare
l’aspetto
di
una
donna
bianca.
Man
mano
tutti
gli
stati
del
Sud
si
uniformarono
nel
progetto
di
segregazione.
Nel
1890
lo
stato
della
Louisiana
approvò
un
nuovo
disegno
di
legge
chiamato
“Separate
Car
Law,”
il
quale
pretendeva
di
agevolare
i
passeggeri
creando
dei
vagoni
uguali
ma
separati
per
neri
e
bianchi,
sostenendo
che
“la
separazione
razziale
non
significava
necessariamente
l’eliminazione
dell’eguaglianza.”
Invece
nessuna
struttura
pubblica,
inclusi
i
treni
e
ogni
mezzo
di
trasporto,
forniva
agli
afroamericani
servizi
uguali
a
quelli
degli
euroamericani.
Un
gruppo
di
afroamericani
protestò
contro
il
nuovo
ordinamento
e
sfidò
la
legge.
Tra
questi
c’era
Homer
A.
Plessy,
un
carpentiere
caucasico
per
sette-ottavi
e
africano
per
un-ottavo.
Il 7
Giugno
1892
Plessy
salì
su
un
treno
e si
sedette
in
un
posto
riservato
agli
euroamericani.
All’invito
del
controllore
a
spostarsi
immediatamente,
Plessy
rifiutò
spiegando
la
sua
conformazione
razziale.
Venne
arrestato.
Il
giudice
assegnato
al
caso,
tale
John
Howard
Ferguson,
si
pronunciò
a
sfavore
di
Plessy
e
nel
1896
la
Corte
Suprema
confermò
il
verdetto
del
giudice
legittimizzando
in
tal
modo
le
“leggi
di
Jim
Crow.”
Con
la
convalida
della
Corte
Suprema,
la
decisione
sul
caso
Plessy,
infatti,
spianò
ulteriormente
la
strada
alla
segregazione
razziale,
codificandone
gli
assunti
a
tutti
gli
effetti.
La
Corte
sentenziò
che
i
mezzi
di
trasporto
“separati
ma
uguali”
erano
tollerabili
e
che
gli
stati
potevano
utilizzare
la
polizia
per
far
rispettare
la
legge.
Sfortunatamente
l’impopolare
caso
di
Plessy
v.
Ferguson
contribuì
a
indebolire
la
protezione
costituzionale
degli
afroamericani
e la
situazione
peggiorò
inesorabilmente.
Cartelli
con
la
scritta
"Solo
bianchi"
e
"Neri"
comparvero
in
prossimità
di
fontane,
luoghi
pubblici
e
servizi.
Il
fallimento
del
caso
“Plessy”
rappresentò
la
nascita
a
tutti
gli
effetti
di
due
società.
Furono
costruiti
ospedali
separati,
prigioni
separate,
scuole
pubbliche
e
private
separate,
chiese
e
cimiteri
separati,
bagni
pubblici
e
mezzi
di
trasporto
separati.
Nella
maggior
parte
dei
casi
i
servizi
riservati
agli
afroamericani
erano
di
qualità
inferiore,
di
solito
più
vecchi
e
mal
tenuti
rispetto
agli
altri;
talvolta
erano
del
tutto
inesistenti:
nessun
bagno
pubblico,
nessuna
spiaggia
a
loro
riservata,
alcun
posto
dove
mangiare
o
riposare,
col
divieto
ovvio
di
utilizzare
quelli
riservati
ai
bianchi.
I
“Jim
Crow
States”
lavorarono
con
impegno
per
creare
uno
statuto
che
chiudesse
ogni
porta
ad
una
integrazione
tra
le
due
etnie
o
per
creare
una
situazione
di
tensione
che
spingesse
gli
afroamericani
a
migrare
verso
altre
destinazioni.
Dalla
disperazione
degli
anni
a
cavallo
del
1890
emersero
con
frequenza
sempre
maggiore
figure
chiave
nel
panorama
culturale
nero.
Il
Movimento
per
i
diritti
civili
degli
afroamericani
prese
forza
e si
diffuse
con
entusiasmo
in
tutto
il
territorio
nazionale,
servendosi
dei
tribunali
federali
per
attaccare
gli
statuti
e le
leggi
di
Jim
Crow.
Vennero
create
nuove
organizzazioni
per
contrastare
la
prepotenza
dei
governi
degli
stati
del
Sud
che
rispondevano
approvando
forme
alternative
per
applicare
la
segregazione.
Tra
le
figure
di
rilievo
in
questo
periodo
emerse
quella
di
Booker
T.
Washington.
Nato
in
schiavitù
nel
1856
circa,
era
un
uomo
di
indubbie
doti
che,
a
partire
dal
1895,
dopo
aver
pronunciato
il
celebre
Discorso
di
Atlanta,
divenne
il
portavoce
più
popolare
degli
afroamericani.
Ebbe
un
crescente
numero
di
sostenitori
in
tutto
il
paese,
tra
cui
insegnanti,
ministri
di
culto,
editori
e
uomini
d’affari
euroamericani,
specialmente
quelli
di
orientamento
liberale.
Washington
decise
di
concentrare
i
propri
sforzi
sul
potenziamento
di
quei
tratti
che
i
bianchi
onesti
e
rispettabili
erano
propensi
e
preparati
a
permettere
agli
afroamericani
di
acquisire.
Sottolineò
l’importanza
della
parsimonia,
del
lavoro
duro,
del
fare
da
sé,
e
dell’educazione
al
lavoro
e
sminuì
l’importanza
dei
diritti
politici
e
sociali.
Grazie
a
questo
atteggiamento
apparentemente
accomodante
nei
confronti
delle
politiche
razziali
della
società
dominante,
Washington
riuscì
ad
entrare
in
contatto
con
i
principali
leader
politici
e
con
i
grandi
filantropi
bianchi
e
ricevette
diverse
lauree
honoris
causa
dalle
più
prestigiose
università.
Dal
sua
quartier
generale
del
Tuskegee
Institute,
dove
lavorava
come
dirigente,
Washington
cercò
di
orientare
il
popolo
nero
d’America,
diventando
il
canale
attraverso
il
quale
fluivano
verso
la
comunità
nera
il
supporto
finanziario
e le
nomine
federali.
Washington
sembrava
convinto
che
se
il
suo
popolo
fosse
riuscito
ad
accumulare
abbastanza
ricchezze
e
cultura
avrebbe
potuto
aspirare
all’accettazione
da
parte
della
società
bianca.
Ma
ciò
di
cui
non
sembrò
tenere
conto
era
che
non
tutti
gli
afroamericani
vivevano
nella
stessa
situazione.
I
neri
della
campagna
avrebbero
volentieri
fatto
parsimonia
se
avessero
avuto
qualcosa
da
mettere
da
parte.
Washington
in
realtà
non
venne
mai
in
contatto
con
il
Sud
rurale,
poiché
era
decisamente
più
interessato
ad
organizzare
la
classe
media,
per
la
quale
fondò,
con
l’aiuto
economico
di
Andrew
Carnegie,
un
ricco
imprenditore
britannico
naturalizzato
statunitense,
la
National
Negro
Business
League,
il
cui
scopo
principale
era
quello
di
promuovere
lo
sviluppo
commerciale
e
finanziario
degli
afroamericani.
Malgrado
l’apparente
atteggiamento
conciliante,
in
privato
Washington
fu
molto
attivo
nel
tentare
di
ridurre
le
discriminazioni
contro
i
neri.
Dietro
le
quinte
spese
tempo
e
ingenti
somme
di
denaro
per
ostacolare
la
privazione
dei
diritti
civili
e la
segregazione
del
popolo
afroamericano.
A
partire
dal
1903,
un’altra
figura
di
rilievo
si
impose
nel
panorama
nero
statunitense
come
il
più
grande
antagonista
di
B.T.
Washington.
Era
il
brillante
ed
energico
William
Edward
Burghardt
DuBois,
il
primo
afroamericano
a
ricevere
un
Ph.D.
ad
Harvard.
Malgrado
avesse
in
precedenza
lavorato
con
Washington
a
diversi
progetti,
Du
Bois
cercò
di
mantenere
una
linea
più
dura
e
intransigente
per
l’attivismo
nero
nell’intento
di
ottenere
i
diritti
civili
negati.
Du
Bois
definì
Washington
"Il
Grande
Accomodatore"
e la
risposta
del
grande
oratore
di
Tuskegee
non
si
fece
attendere.
Washington
dichiarò
che
lo
scontro
poteva
solo
portare
al
disastro
per
i
neri
e
che
con
la
sua
politica
aspirava
ad
un
futuro
migliore
per
gli
afroamericani,
convinto
altresì
che
la
collaborazione
con
i
bianchi
che
appoggiavano
la
loro
causa
fosse,
a
lungo
andare,
l’unico
modo
di
vincere
il
razzismo
diffuso.
Pensava,
infatti,
di
poter
ottenere
di
più
per
mezzo
di
abili
compromessi
con
le
realtà
sociali
dell’epoca
che
con
lo
scontro
diretto.
Sapeva
per
esperienza
personale
che
una
buona
istruzione
era
un
potente
strumento
per
ciascun
individuo
e
che
questo
avrebbe
consentito
nel
tempo
a
tutta
la
collettività
di
ambire
a un
futuro
migliore.
Nel
1905,
mentre
insegnava
all’università
di
Atlanta,
Du
Bois
inviò
una
lettera
ai
leader
nazionali
neri
convocandoli
a
una
conferenza
organizzata
in
una
sede
ai
confini
con
il
Canada,
vicino
alle
cascate
del
Niagara.
La
convocazione
aveva
il
duplice
obiettivo
di
aggregare
e
riorganizzare
i
partecipanti
verso
la
protesta
contro
la
crescente
discriminazione
e di
costruire
un’opposizione
solida
a
quella
che
venne
definita
la
“Tuskegee
Machine”
di
B.T.Washington.
Da
quest’incontro
nacque
il
“Niagara
Movement”
che
si
mise
subito
all’opera
per
il
ripristino
del
diritto
di
voto
per
gli
afroamericani
e
l’eliminazione
delle
distinzioni
per
colore
o
razza
ovunque
occorressero.
Per
sottolineare
gli
obiettivi
del
Niagara
Movement,
DuBois
fondò
una
rivista
mensile,
The
Moon,
pubblicata
solo
tra
dicembre
1905
e
luglio
1906.
L’anno
seguente
diventò
editore
di
The
Horizon.
The
Journal
of
the
Color
Line
che
aveva
come
obiettivo
quello
di
dare
voce
al
movimento
e di
contrastare
il
predominio
di
Washington
all’interno
della
stampa
nera.
Washington
si
oppose
fortemente
al
Movimento
del
Niagara
e
usò
ogni
mezzo
a
sua
disposizione
per
intralciarne
lo
sviluppo.
Cercò
di
corrompere
i
redattori
dei
quotidiani
perché
ignorassero
o
attaccassero
il
movimento
e i
suoi
leader,
piazzò
agenti
segreti
tra
i
membri
del
movimento
per
avvisarlo
dei
programmi
imminenti,
impedì
ai
membri
del
gruppo
di
ricevere
incarichi
politici,
e
riuscì
a
fare
tagliare
i
fondi
alle
scuole
in
cui
i
leader
del
movimento
insegnavano.
Non
stupisce
apprendere
che
questa
opposizione
fu
seriamente
dannosa
alla
crescita
del
movimento.
Mentre
il
Movimento
del
Niagara
iniziava
a
perdere
forza,
una
nuova
organizzazione
stava
nascendo
per
volere
di
alcuni
assistenti
sociali
e
filantropi
bianchi
del
Nord
con
l’intento
di
offrire
un’alternativa
al
programma
di
Washington.
Alcuni
degli
attivisti
avevano
in
precedenza
appoggiato
Washington,
ma
poi
si
erano
ricreduti,
ritenendo
che
il
monopolio
nel
campo
delle
relazioni
fra
razze
non
era
la
cosa
migliore
per
il
popolo
afroamericano.
Nel
1909,
venne
convocata
un’altra
conferenza
nazionale
per
i
neri
d’America
con
sede
nella
città
di
New
York.
Parteciparono
molti
membri
del
Niagara
Movement
insieme
a
diversi
bianchi
liberali
politicamente
progressisti.
L’anno
successivo
venne
fondata
la
NAACP
con
lo
scopo
di
portare
avanti
il
programma
formulato
durante
la
conferenza.
DuBois
fu
l’unico
dirigente
nero
dell’organizzazione.
E
malgrado
avesse
di
gran
lunga
preferito
un
movimento
costituito
interamente
da
afroamericani,
sapeva
bene
che
il
supporto
finanziario
era
necessario
al
neonato
gruppo
per
contrastare
i
potenti
mezzi
di
Washington.
La
NAACP
si
mise
subito
al
lavoro
per
abolire
le
leggi
di
Jim
Crow
contrastandole
sul
piano
costituzionale.
L’NAACP
Legal
Defense
Committee
(un
gruppo
diventato
poi
indipendente
dalla
NAACP)
nel
1917
portò
di
fronte
alla
Corte
Suprema
il
caso
Buchanan
v.
Warley
in
cui
si
stabilì
che
non
si
poteva
imporre
la
segregazione
su
base
residenziale,
costringendo
le
persone
a
vivere
in
zone
separate.
Nel
1946
la
sentenza
Irene
Morgan
v.
Virginia
dichiarò
incostituzionale
la
segregazione
sui
mezzi
di
trasporto
che
collegavano
stati
diversi.
La
sentenza
Shelley
v.
Kraemer
del
1948
affermò
che
le
"clausole
restrittive"
che
impedivano
la
cessione
di
case
a
neri
o
ebrei
o
asiatici
erano
incostituzionali,
impedendo
di
fatto
ad
aziende,
associazioni
private,
partiti
politici
e
quant’altro
di
applicare
i
regolamenti
interni
che
avevano
ideato
per
impedire
agli
afroamericani
di
acquistare
case
in
determinati
quartieri,
di
lavorare
o
fare
acquisti
in
certi
negozi
o di
svolgere
determinate
occupazioni.
Il
celebre
caso
Brown
v.
Board
of
Education
del
1951
rese
incostituzionale
la
segregazione
razziale
nelle
scuole.
I
fatti
in
breve.
Linda
Brown,
un’alunna
nera
residente
a
Topeka
nel
Kansas,
si
vide
rifiutare
l’iscrizione
in
una
scuola
bianca
in
prossimità
del
suo
domicilio
e si
dovette
iscrivere
a
una
scuola
nera
distante
più
di
un
chilometro.
Il
padre
di
Linda,
Oliver,
e
altri
tredici
genitori
che
subirono
lo
stesso
trattamento,
intentarono
una
class
action.
Thurgood
Marshall,
il
principale
avvocato
della
NAACP,
e
che
fu,
nel
1967,
il
primo
giudice
nero
nominato
alla
Corte
suprema,
sostenne
il
caso.
La
Corte
nel
1954
ribaltò
di
fatto
la
decisione
presa
nel
1895
con
il
caso
Plessy
v.
Ferguson,
sentenziando
che
mantenere
per
legge
il
principio
della
segregazione
razziale
nelle
scuole
pubbliche
era
incostituzionale.
Il
gesto
di
disobbedienza
civile
di
Rosa
Parks,
infine,
innescò
l’inizio
di
una
serie
di
dimostrazioni
pubbliche
che
non
passarono
inosservate
e
influirono
nelle
decisioni
dei
legislatori
e
dei
tribunali
che
contribuirono
a
indebolire
ulteriormente
il
sistema
delle
leggi
di
Jim
Crow.
Era
il
1°
dicembre
del
1955
quando
Rosa
Parks,
di
rientro
nella
sua
casa
a
Montgomery,
salì
su
un
autobus
di
linea.
Non
trovando
altro
posto
a
sedere
si
accomodò
nella
parte
anteriore
del
mezzo,
quella
riservata
ai
bianchi.
Poco
dopo
salirono
sull’autobus
alcuni
passeggeri
euroamericani
e il
conducente,
James
Blake,
le
intimò
di
alzarsi
per
cedere
il
posto
e
andare
nella
parte
riservata
ai
neri.
Rosa
però
si
rifiutò,
stanca
di
essere
trattata
come
una
cittadina
di
seconda
classe
e
rimase
al
suo
posto.
Il
conducente
fermò
l’automezzo
e
chiamò
due
poliziotti.
Rosa
Parks
fu
arrestata
e
incarcerata
per
condotta
impropria
e
per
aver
violato
le
norme
cittadine.
Quella
notte,
cinquanta
leader
della
comunità
afroamericana,
guidati
dall’allora
sconosciuto
pastore
protestante
Martin
Luther
King
si
riunirono
per
decidere
le
azioni
da
intraprendere.
Il
giorno
successivo
incominciò
il
boicottaggio
dei
mezzi
pubblici
di
Montgomery,
una
protesta
che
durò
per
381
giorni;
dozzine
di
pullman
rimasero
fermi
per
mesi
finché
non
fu
rimossa
la
legge
che
legalizzava
la
segregazione.
Il
boicottaggio
degli
autobus
di
Montgomery
non
fu
tuttavia
il
primo
di
quel
tipo.
Per
tutti
gli
anni
trenta
e
quaranta
si
verificarono
episodi
simili.
Nel
gennaio
1964
il
presidente
Lyndon
B.
Johnson
incontrò
i
capi
del
movimento
per
i
diritti
civili
e il
2
luglio
dello
stesso
anno
firmò
lo
storico
decreto
del
Civil
Rights
Act,
col
quale
vennero
dichiarate
illegali
le
disparità
di
registrazione
nelle
elezioni
e la
segregazione
razziale
nelle
scuole,
sul
posto
di
lavoro
e
nelle
strutture
pubbliche
in
generale.
Dopo
una
serie
di
scontri
e di
atti
di
violenza
il
Presidente
e il
Congresso
decisero
di
superare
la
resistenza
opposta
dai
legislatori
del
Sud
e a
far
effettivamente
applicare
la
legge
sul
diritto
di
voto.
Il
presidente
Johnson
richiese
che
venisse
emanata
una
nuova
legge
che
si
concretizzò
nel
Voting
Rights
Act.
Il
Voting
Rights
Act
del
1965
pose
fine
alle
barriere
legali
erette
per
limitare
il
diritto
di
voto
in
tutte
le
elezioni,
federali,
statali
e
locali.
Stabilì
anche
una
forma
di
controllo
federale
sulle
contee
in
cui
storicamente
la
partecipazione
al
voto
era
stata
particolarmente
bassa,
segno
evidente
della
presenza
di
discriminazioni.
Si
sanciva
la
fine
della
segregazione
razziale
per
legge.
Dal
momento
dell’approvazione
delle
nuove
leggi
e
dei
nuovi
regolamenti
dovette
trascorrere
diverso
tempo
perché
anche
la
mentalità
e le
credenze
della
popolazione
statunitense
bianca
cambiassero.
Passo
dopo
passo
si
andò
incontro
all’integrazione
di
fatto,
prima
nel
mondo
della
cultura
e
dell’arte
in
cui
musicisti
e i
letterati
afroamericani
agli
inizi
del
20°
secolo
riuscirono
in
qualche
modo
a
farsi
accettare,
poi
nel
mondo
dello
sport
fino
ad
allora
dominato
dai
bianchi
e
nel
quale
gli
atleti
neri
continuarono
a
trovare
numerosi
ostacoli
per
lungo
tempo.
Tuttavia
il
loro
valore
e le
loro
capacità
in
tutte
le
discipline
sportive
non
potevano
essere
negati
e
grazie
a
figure
come
quella
di
Jackie
Robinson,
che
nel
1947
per
primo
riuscì
ad
entrare
in
una
squadra
professionistica
di
baseball
interamente
composta
da
bianchi
(anche
se
iniziò
a
giocare
dapprima
in
Canada)
aiutarono
ad
abbattere
le
barriere
razziali
(baseball
color
line)
e
spianò
la
strada
a
tutti
quei
pugili,
corridori
e
giocatori
di
pallacanestro
che
fino
a
quel
momento
erano
stati
tenuti
ai
margini
e di
cui
la
cinematografia
ci
ha
raccontato
le
storie
e le
lotte.
L’esordio
di
Robinson
con
la
maglia
dei
Dodgers
mise
fine
a
quasi
sessanta
anni
di
segregazione
razziale
in
ambito
sportivo.
A
partire
dagli
anni
cinquanta
e
sessanta
la
presenza
degli
afroamericani
in
tutti
gli
sport
principali
iniziò
a
crescere
rapidamente
e
oggi
essi
rappresentano
la
maggioranza
degli
atleti
di
primo
piano
negli
Stati
Uniti,
anche
se
alcuni
recenti
episodi
di
cronaca
ci
dicono
che
la
strada
da
percorrere
resta
ancora
tanta.
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