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N. 58 - Ottobre 2012 (LXXXIX)

jim Crow

da giullare a oppressore  – PARTE II
di Elisabetta Soro

 

I seguenti stralci sono tratti dalla cronistoria di un inviato del The Crisis a Waco, Texas, per investigare il linciaggio di un giovane afroamericano accusato di stupro e omicidio. Il raccapricciante resoconto apparve sul supplemento del periodico della NAACP nel luglio 1916 col titolo The Waco Horror.

 

Dopo un breve descrizione della città di Waco, continua: Vicino alla cittadina di campagna di Robinson, circa sei miglia da Waco, vivevano i Fryar, una famigliola bianca composta da quattro persone, che possedevano una piccola fattoria. Se ne occupavano loro stessi con l’aiuto di un ragazzo di colore di diciassette anni, chiamato Jesse Washington.

 

Jesse era un ragazzone ben sviluppato, ma ignorante, non sapendo egli né leggere né scrivere. Si dice fosse intrattabile, e forse mentalmente instabile, ma con un temperamento forte, e perfino audace. Si dice che sabato notte prima del delitto avesse avuto una discussione con un vicino bianco e l’uomo avesse minacciato di ucciderlo.

 

Lunedì, 8 maggio, mentre il sig. Fryar, suo figlio di quattordici anni, e sua figlia di ventitré, stavano zappando nel campo di cotone, il ragazzo, Jesse, stava arando con i suoi muli e piantando i semi di cotone vicino alla casa, dove la sig.ra Fryar era sola. Si recò da lei per chiedere più semi di cotone. Mentre la Sig.ra Fryar li metteva nella borsa che lui teneva, l’ha rimproverato perché aveva picchiato i muli. Lui l’ha buttata a terra con un martello da fabbro ferraio, e, secondo la sua confessione, l’ha vergognosamente stuprata; infine l’ha uccisa con il martello. Il ragazzo poi è tornato al campo, ha finito il suo lavoro ed è rientrato a casa sua, una capanna dove viveva con suo padre, sua madre e diversi fratelli e sorelle.

 

Quando il corpo della donna è stato scoperto i sospetti sono ricaduti su Jesse Washington, che è stati trovato seduto nel suo cortile che intagliava un pezzo di legno. È stato arrestato e immediatamente portato al carcere di Waco. Martedì una folla si è recata alla prigione. Sono entrati con circa trenta automobili, ciascuna trasportando quante più persone poteva. Non hanno fatto rumore, nessun suono di clacson, le luci basse, e alcuni nemmeno le avevano accese. Era tutta gente di Robinson. Cercavano il ragazzo, ma non l’hanno trovato, poiché era stato portato in una contea vicina dove lo sceriffo era riuscito a ottenere una confessione. Un altro gruppo è andato in questo capoluogo di contea per farsi consegnare il ragazzo, ma era stato nuovamente spostato a Dallas. Alla fine, la gente di Robinson ha preso l’impegno di non linciare il ragazzo se le autorità avessero agito prontamente, e se il ragazzo avesse rinunciato ai suoi diritti legali.

 

Nella prigione di Dallas durante una seconda confessione il ragazzo ha rinunciato a tutti i suoi diritti legali. La Giuria dell’udienza preliminare lo ha incriminato giovedì, e il caso è stato messo a processo per il lunedì, 15 maggio.

 

Domenica notte, a mezzanotte, Jesse Washington è stato portato da Dallas a Waco, e nascosto nell’ufficio del giudice. Non c’era il minimo dubbio che sarebbe stato giudicato e impiccato il giorno seguente, se la legge avesse fatto il suo corso.

 

C’erano alcuni, ma non molti dubbi sulla sua colpevolezza. Le confessioni erano state estorte ed erano, forse, sospettosamente palesi, e non completamente nelle parole del ragazzo. Sembra, comunque, probabile che il ragazzo fosse colpevole di omicidio, e probabilmente di violenza carnale premeditata.

 

Nel frattempo, si dice che la politica di Waco esigesse un linciaggio…Hanno riportato il ragazzo a Waco perché un linciaggio aveva un valore politico per i funzionari della contea candidati alle elezioni. Ogni persona con cui ho parlato ha detto che dietro tutta questa faccenda c’è la politica. Tutti coloro che hanno preso parte al linciaggio voteranno per lo Sceriffo…Il Giudice distrettuale della Corte penale è R.I. Munroe, uomo di dubbia moralità, nominato dal governatore Campbell… Lo Sceriffo della contea, S.S. Fleming, si è un ricandidato per le elezioni e ha fatto del suo sostegno alla pratica del linciaggio il suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale...

 

Nel frattempo… La folla ha iniziato a riversarsi in città già dal giorno prima e ha continuato la mattina presto di lunedì. L’aula del tribunale era piena zeppa e una folla di 2.000 persone stava all’esterno. I giurati a mala pena riuscivano a muoversi dai loro posti. Ho chiesto al Giudice se non avesse potuto sgomberare l’aula e ha risposto che io non conoscevo il Sud. Ho detto, “Se una persona è abbastanza importante, può alzarsi in piedi e fermare la più grande delle folle.” Ha chiesto, “E lei vuole versare del sangue innocente per un Negro?”

 

Qualcuno aveva organizzato tutto in modo che fosse facile fare uscire il ragazzo dall’aula…

 

Al ragazzo, Jesse Washington, è stato chiesto cosa ne pensava della folla che lo seguiva. Lui ha detto, “Hanno promesso che non lo faranno se racconto tutto.” Sembrava non preoccuparsene, ma questo non cambiava le cose.

 

Il processo è stato fatto in tutta fretta. Il Semi-Weekly Tribune di Waco, del 17 maggio, riporta: La giuria è rientrata in tribunale alle 11:22, e ha presentato il suo verdetto: “Noi, la giuria, dichiariamo l’imputato colpevole di omicidio come da atto d’accusa e stabiliamo come giusta punizione la morte.” La decisione è stata firmata da W.B. Brazelton, capo dei giurati.

 

“È questo il Vostro verdetto, signori?” Ha chiesto il giudice Munroe.

 

Hanno risposto “sì.” 

 

Il giudice Munroe ha cominciato a scrivere nel suo registro. Aveva scritto: ‘15 maggio 1916: verdetto della giuria colpevole,’ e mentre scriveva era sceso il silenzio sull’intera aula del tribunale. C’è stato un momento d’esitazione, ma soltanto un momento. Quindi…Fred H. Kingsbury, che si trovava di fianco al giudice Munroe, ha detto, “Lo stanno seguendo,” e quando il Giudice ha alzato lo sguardo, un fiume di gente si è riversato in massa. L’aula del tribunale poteva contenere 500 persone, ma il Giudice aveva permesso l’ingresso a 1.500 individui…

 

Lo stenografo mi ha detto che ci è stata una pausa di un minuto intero. Ha detto che la gente gli si era affollata intorno e lui sapeva cosa stava per accadere, allora è scivolato fuori dalla porta che si trovava dietro lo Sceriffo, portando con sé la documentazione; e anche lo sceriffo Fleming è sgattaiolato fuori.

 

Fleming afferma che tutto ciò che gli era stato chiesto di fare per proteggere il ragazzo riguardava l’arrivo in tribunale.

 

Un omone in fondo all’aula del tribunale ha urlato, “Prendete il Negro!”

Barney Goldberg, uno dei vicesceriffi, mi ha detto che lui non sapeva che Fleming aveva preso ordini perché lasciasse prendere il Negro, e ha tirato fuori la sua rivoltella. In seguito ha fatto giurare ai suoi amici, mediante dichiarazione scritta, che lui non si trovava là in quel momento…Il giudice non ha fatto niente per fermare la folla, sebbene avesse l’arma da fuoco sulla sua scrivania.

 

Hanno trascinato il ragazzo giù dai gradini, gli hanno messo una catena intorno al corpo e l’hanno legata a un’automobile. La catena si è rotta. Quindi l’omone ha sfilato la catena dal Negro al riparo dalla folla e l’ha avvolta al suo polso, in modo che quando la folla strattonava la catena strattonava il polso dell’uomo ed era lui a tenere il ragazzo. Il ragazzo strillava e si dimenava.

 

La folla gli ha strappato via i vestiti, li ha stracciati in pezzettini e ha ferito il ragazzo con delle armi da taglio. Qualcuno gli ha tagliato l’orecchio, qualcun altro i genitali. Una ragazzina che lavora per la ditta di Goldstein e Mingle mi ha detto che l’ha visto fare con i suoi occhi.

 

Ho ripercorso l’itinerario nel quale il ragazzo è stato portato e ho appurato che è stato trascinato per un quarto e mezzo di miglio dal Palazzo di giustizia al ponte e poi per due isolati e un altro ancora fino al Municipio. Una volta giunti al ponte, qualcuno ha detto che il fuoco era già stato acceso al Municipio, così hanno girato e sono tornati indietro. Parecchie persone negano che ci fosse un fuoco acceso, ma la fotografia non lascia dubbi. Hanno incaricato un ragazzino di accenderlo.

 

Mentre veniva preparato il fuoco con delle scatole, il ragazzo nudo veniva pugnalato e la catena fatta passare sopra l’albero. Ha provato a fuggire, ma non c’è riuscito. Ha steso le braccia verso l’alto per afferrare la catena e gli hanno tagliato le dita. L’omone l’ha colpito alla nuca con un coltello mentre lo issavano sull’albero. Il sig. Lester ha pensato che questo fosse il colpo mortale. È stato abbassato nel fuoco parecchie volte con la catena intorno al collo. Qualcuno ha detto che il ragazzo aveva circa venticinque ferite da taglio, nessuna ne causò la morte.

 

Verso l’una e un quarto una persona perfida ha preso il torso al lazo, ha attaccato la corda sopra il pomo della sella, e lo ha trascinato per le vie di Waco…L’albero dove è avvenuto il linciaggio si trovava appena sotto la finestra del sindaco. Il sindaco Dollins si trovava là, non preoccupato di quello che facevano al ragazzo, ma che l’albero sarebbe stato distrutto. Anche il Capo della Polizia è stato testimone del linciaggio…

 

Donne e bambini hanno assistito al linciaggio. Un uomo ha sollevato il suo figlioletto sopra le teste della folla in modo che potesse vedere, e un ragazzino si trovava sulla cima dell’albero a cui il ragazzo di colore è stato appeso, e vi è rimasto finché il fuoco non è diventato troppo caldo...Sulla strada per il rogo la gente assiepata per le strade dava sfogo ai propri sentimenti colpendo il Negro con qualunque cosa: l’hanno colpito con dei badili, dei mattoni, dei bastoni e altri l’hanno pugnalato e l’hanno tagliato fino a che il suo corpo non si è tinto di rosso. Il sangue delle numerose ferite inflitte l’ha coperto da capo a piedi.

 

Scatole di tessuti e tutti i generi di materiale infiammabile sono stati messi insieme, e ci sono voluti pochi istanti perché si sprigionassero delle fiamme bollenti. Quando il Negro è stato per la prima volta issato nell’aria la lingua gli è uscita dalla bocca e la faccia si è macchiata di sangue.

 

Il Negro non era ancora morto, sebbene quasi lo fosse, quando gli è stata messa al collo un’altra catena ed è stato lasciato penzolare dal ramo dell’albero, mentre tutti provavano ad arrivare a lui per partecipare alla sua uccisione. La folla furente poi ha appoggiato il Negro, che era per metà vivo e per metà morto, contro l’albero, e lui aveva appena la forza necessaria per sostenersi. È stato quindi tirato in aria con uno strattone improvviso accompagnato da un grido della folla e le scatole di tessuti, i trucioli da imballaggio, il legno e ogni altro oggetto infiammabile è stato reso visibile, comparendo come per magia. È stata procurata allora un’enorme scatola di tessuti riempita fino alla cima con tutto il materiale che era stato portato. Il corpo del Negro oscillava nell’aria e per tutto il tempo si è udito un forte brusio come di migliaia di persone, e il corpo del Negro è stato abbassato dentro la scatola.

 

Non appena il suo corpo ha toccato la scatola la gente si è affollata davanti, ciascuno desideroso di essere il primo ad accendere il fuoco. Appena i fiammiferi sono venuti in contatto con il materiale infiammabile, il fumo è salito rapidamente nell’aria. Non si è mai avuta una simile dimostrazione di come la gente possa perdere la ragione. Tutti si sono affollati più vicino per poter prendere un ricordo dell’evento. Quando hanno finito con il Negro il suo corpo è stato mutilato.

 

Dita, orecchie, pezzi d’abbigliamento, dita dei piedi e altre parti del corpo del Negro sono state tagliate da alcune persone della folla…Alcuni spettatori si sono sporti dalle finestre del Municipio e da ogni altro edificio che si affacciava sulla piazza del rogo, e quando il corpo del Negro ha cominciato a bruciare, le grida di gioia sono fluite dalle migliaia di gole che evidentemente hanno dimostrato in un certo senso la loro soddisfazione per il castigo che veniva inflitto all’autore di tale orribile delitto, il peggiore negli annali della storia della contea di McLennan.

 

Il corpo del Negro carbonizzato è stato lasciato per un po’ tra i resti fumanti del fuoco. Le donne e i bambini che desideravano vedere la scena hanno avuto la possibilità di farlo, poiché la folla si è allontanata per permetterle di accostarsi. Dopo un po’ di tempo il corpo del Negro è stato tirato in aria con uno strattone e tutti hanno potuto vedere i suoi resti e un forte grido si è levato. Il fotografo Gildersleeve ha scattato diverse istantanee del corpo così come della grande folla che circondava la scena. Il fotografo sapeva dove avrebbe avuto luogo il linciaggio e aveva la sua macchina fotografica e l’armamentario in Municipio. È stato chiamato per telefono al momento giusto…

        

Il corpo del ragazzo venne infine smembrato: il torso trascinato da un cavallo per le vie della città, i denti strappati e venduti da dei ragazzini per cinque dollari ciascuno, la catena per venticinque centesimi ad anello. La descrizione delle torture inflitte al giovane fu corredata sul giornale dalle fotografie scattate e vendute come cartoline postali per celebrare l’evento. Una di queste fu inviata con le seguenti parole: Questo è il barbecue che abbiamo fatto la notte scorsa. Io sono quello sulla sinistra con una croce sopra. Tuo figlio Joe.

 

Se le organizzazioni e gli enti preposti allo studio del fenomeno non potevano negare la ferocia con la quale si manifestavano i linciaggi, c’erano alcune discrepanze sulla frequenza con cui venivano compiuti. Il Tuskegee Institute (Alabama) nel 1914, ad esempio, contò 52 linciaggi per quell’anno; il Chicago Tribune ne riportò 54, mentre il The Crisis ne calcolò ben 74. Tutti concordavano però che nell’arco di quarant’anni i linciaggi avessero superato i 4.000, se si contavano anche il migliaio a danno dei bianchi.  

 

Non era raro anche tra gli euroamericani che aborrivano il linciaggio, la convinzione che questo fosse altresì l’unico strumento utile per difendersi dagli africani, a detta loro, inclini alla violenza e allo stupro. Secondo Arthur Raper, che investigò oltre un secolo di linciaggi, un terzo circa delle vittime erano accusate ingiustamente, oggetto di risentimento e pregiudizio. E fino al 1918 nessun meridionale bianco venne mai condannato per aver partecipato a un linciaggio. La maggior parte delle volte chi praticava il linciaggio restava impunito, raramente veniva arrestato e se arrestato quasi mai condannato. Tutto il sistema giudiziario era in mano agli euroamericani che non attendevano altro che una resa dei conti.

 

Al contrario, spesso la legge serviva per intimare agli afroamericani l’osservanza di alcune regole create durante il regime di “Jim Crow”, che riguardavano ogni aspetto della vita quotidiana. Per esempio, nel 1935, l’Oklahoma proibì agli afroamericani di andare in barca insieme agli euroamericani, poiché ciò avrebbe implicato un’uguaglianza sociale che non poteva essere tollerata. Nel 1905, la Georgia decretò che fossero creati parchi separati per neri e bianchi. Nel 1930, a Birmingham (Alabama) venne reso illegale il gioco di dama e domino tra membri dei due gruppi. Spesso queste imposizioni svelavano tutta la loro assurdità e il loro aspetto paradossale, come, ad esempio il fatto che un afroamericano nero non potesse porgere la mano a un bianco per il consueto saluto poiché ciò implicava parità tra le razze. Ovviamente questo era impensabile nei confronti di una donna perché il rischio era di essere addirittura accusato di stupro.

 

Le leggi di Jim Crow stabilivano anche che neri e bianchi non potessero mangiare insieme. Se ciò accadeva i bianchi dovevano essere serviti per primi e una sorta di parete divisoria veniva sistemata tra loro. Per nessuna ragione al mondo un nero poteva offrirsi di accendere la sigaretta a una donna bianca, un gesto simile implicava intimità. Ancora, i neri non erano autorizzati a scambiarsi effusioni o gesti di affetto in pubblico, specialmente baci, poiché tali gesti potevano offendere la sensibilità dei bianchi. Il protocollo di Jim Crow stabiliva inoltre che i neri venissero presentati ai bianchi, e mai il contrario. Infine, gli euroamericani non erano tenuti ad usare titoli di cortesia, per esempio “signore”, “signorina”, e così via, nel rivolgersi agli afroamericani. Al contrario ci si doveva loro rivolgere con il nome proprio oppure con l’appellativo “ragazzo o ragazza,” malgrado adulti d’età. I neri, al contrario, dovevano utilizzare i titoli di cortesia se si rivolgevano ai bianchi, e non erano autorizzati ad utilizzare il nome proprio di questi ultimi.

 

In concomitanza con le leggi di Jim Crow operava il cosiddetto “galateo di Jim Crow”, che Stetson Kennedy, autore e attivista per i diritti umani, ha documentato e raccolto nel suo libro “La Guida di Jim Crow”:

 

1. Mai asserire o anche solamente lasciare intendere che un bianco stia mentendo.

2. Mai attribuire intenzioni disonorevoli a un bianco.

3. Mai insinuare che un bianco appartiene a una classe sociale inferiore.

4. Mai rivendicare, o ostentare, maggiori conoscenze o intelligenza superiore a quelle di un bianco.

5. Mai imprecare contro un bianco.

6. Mai deridere un bianco.

7. Mai commentare l’aspetto di una donna bianca.

 

Man mano tutti gli stati del Sud si uniformarono nel progetto di segregazione. Nel 1890 lo stato della Louisiana approvò un nuovo disegno di legge chiamato “Separate Car Law,” il quale pretendeva di agevolare i passeggeri creando dei vagoni uguali ma separati per neri e bianchi, sostenendo che “la separazione razziale non significava necessariamente l’eliminazione dell’eguaglianza.” Invece nessuna struttura pubblica, inclusi i treni e ogni mezzo di trasporto, forniva agli afroamericani servizi uguali a quelli degli euroamericani. Un gruppo di afroamericani protestò contro il nuovo ordinamento e sfidò la legge. Tra questi c’era Homer A. Plessy, un carpentiere caucasico per sette-ottavi e africano per un-ottavo. Il 7 Giugno 1892 Plessy salì su un treno e si sedette in un posto riservato agli euroamericani. All’invito del controllore a spostarsi immediatamente, Plessy rifiutò spiegando la sua conformazione razziale. Venne arrestato. Il giudice assegnato al caso, tale John Howard Ferguson, si pronunciò a sfavore di Plessy e nel 1896 la Corte Suprema confermò il verdetto del giudice legittimizzando in tal modo le “leggi di Jim Crow.” Con la convalida della Corte Suprema, la decisione sul caso Plessy, infatti, spianò ulteriormente la strada alla segregazione razziale, codificandone gli assunti a tutti gli effetti. La Corte sentenziò che i mezzi di trasporto “separati ma uguali” erano tollerabili e che gli stati potevano utilizzare la polizia per far rispettare la legge.

 

Sfortunatamente l’impopolare caso di Plessy v. Ferguson contribuì a indebolire la protezione costituzionale degli afroamericani e la situazione peggiorò inesorabilmente.

Cartelli con la scritta "Solo bianchi" e "Neri" comparvero in prossimità di fontane, luoghi pubblici e servizi. Il fallimento del caso “Plessy” rappresentò la nascita a tutti gli effetti di due società. Furono costruiti ospedali separati, prigioni separate, scuole pubbliche e private separate, chiese e cimiteri separati, bagni pubblici e mezzi di trasporto separati. Nella maggior parte dei casi i servizi riservati agli afroamericani erano di qualità inferiore, di solito più vecchi e mal tenuti rispetto agli altri; talvolta erano del tutto inesistenti: nessun bagno pubblico, nessuna spiaggia a loro riservata, alcun posto dove mangiare o riposare, col divieto ovvio di utilizzare quelli riservati ai bianchi.

I “Jim Crow States” lavorarono con impegno per creare uno statuto che chiudesse ogni porta ad una integrazione tra le due etnie o per creare una situazione di tensione che spingesse gli afroamericani a migrare verso altre destinazioni.

 

 

Dalla disperazione degli anni a cavallo del 1890 emersero con frequenza sempre maggiore figure chiave nel panorama culturale nero. Il Movimento per i diritti civili degli afroamericani prese forza e si diffuse con entusiasmo in tutto il territorio nazionale, servendosi dei tribunali federali per attaccare gli statuti e le leggi di Jim Crow. Vennero create nuove organizzazioni per contrastare la prepotenza dei governi degli stati del Sud che rispondevano approvando forme alternative per applicare la segregazione.

 

Tra le figure di rilievo in questo periodo emerse quella di Booker T. Washington.

Nato in schiavitù nel 1856 circa, era un uomo di indubbie doti che, a partire dal 1895, dopo aver pronunciato il celebre Discorso di Atlanta, divenne il portavoce più popolare degli afroamericani. Ebbe un crescente numero di sostenitori in tutto il paese, tra cui insegnanti, ministri di culto, editori e uomini d’affari euroamericani, specialmente quelli di orientamento liberale.

Washington decise di concentrare i propri sforzi sul potenziamento di quei tratti che i bianchi onesti e rispettabili erano propensi e preparati a permettere agli afroamericani di acquisire. Sottolineò l’importanza della parsimonia, del lavoro duro, del fare da sé, e dell’educazione al lavoro e sminuì l’importanza dei diritti politici e sociali. Grazie a questo atteggiamento apparentemente accomodante nei confronti delle politiche razziali della società dominante, Washington riuscì ad entrare in contatto con i principali leader politici e con i grandi filantropi bianchi e ricevette diverse lauree honoris causa dalle più prestigiose università. Dal sua quartier generale del Tuskegee Institute, dove lavorava come dirigente, Washington cercò di orientare il popolo nero d’America, diventando il canale attraverso il quale fluivano verso la comunità nera il supporto finanziario e le nomine federali.

 

Washington sembrava convinto che se il suo popolo fosse riuscito ad accumulare abbastanza ricchezze e cultura avrebbe potuto aspirare all’accettazione da parte della società bianca. Ma ciò di cui non sembrò tenere conto era che non tutti gli afroamericani vivevano nella stessa situazione. I neri della campagna avrebbero volentieri fatto parsimonia se avessero avuto qualcosa da mettere da parte. Washington in realtà non venne mai in contatto con il Sud rurale, poiché era decisamente più interessato ad organizzare la classe media, per la quale fondò, con l’aiuto economico di Andrew Carnegie, un ricco imprenditore britannico naturalizzato statunitense, la National Negro Business League, il cui scopo principale era quello di promuovere lo sviluppo commerciale e finanziario degli afroamericani. Malgrado l’apparente atteggiamento conciliante, in privato Washington fu molto attivo nel tentare di ridurre le discriminazioni contro i neri. Dietro le quinte spese tempo e ingenti somme di denaro per ostacolare la privazione dei diritti civili e la segregazione del popolo afroamericano.

        

A partire dal 1903, un’altra figura di rilievo si impose nel panorama nero statunitense come il più grande antagonista di B.T. Washington. Era il brillante ed energico William Edward Burghardt DuBois, il primo afroamericano a ricevere un Ph.D. ad Harvard.

Malgrado avesse in precedenza lavorato con Washington a diversi progetti, Du Bois cercò di mantenere una linea più dura e intransigente per l’attivismo nero nell’intento di ottenere i diritti civili negati. Du Bois definì Washington "Il Grande Accomodatore" e la risposta del grande oratore di Tuskegee non si fece attendere. Washington dichiarò che lo scontro poteva solo portare al disastro per i neri e che con la sua politica aspirava ad un futuro migliore per gli afroamericani, convinto altresì che la collaborazione con i bianchi che appoggiavano la loro causa fosse, a lungo andare, l’unico modo di vincere il razzismo diffuso. Pensava, infatti, di poter ottenere di più per mezzo di abili compromessi con le realtà sociali dell’epoca che con lo scontro diretto. Sapeva per esperienza personale che una buona istruzione era un potente strumento per ciascun individuo e che questo avrebbe consentito nel tempo a tutta la collettività di ambire a un futuro migliore.

 

Nel 1905, mentre insegnava all’università di Atlanta, Du Bois inviò una lettera ai leader nazionali neri convocandoli a una conferenza organizzata in una sede ai confini con il Canada, vicino alle cascate del Niagara. La convocazione aveva il duplice obiettivo di aggregare e riorganizzare i partecipanti verso la protesta contro la crescente discriminazione e di costruire un’opposizione solida a quella che venne definita la “Tuskegee Machine” di B.T.Washington. Da quest’incontro nacque il “Niagara Movement” che si mise subito all’opera per il ripristino del diritto di voto per gli afroamericani e l’eliminazione delle distinzioni per colore o razza ovunque occorressero.

Per sottolineare gli obiettivi del Niagara Movement, DuBois fondò una rivista mensile, The Moon, pubblicata solo tra dicembre 1905 e luglio 1906. L’anno seguente diventò editore di The Horizon. The Journal of the Color Line che aveva come obiettivo quello di dare voce al movimento e di contrastare il predominio di Washington all’interno della stampa nera.

 

Washington si oppose fortemente al Movimento del Niagara e usò ogni mezzo a sua disposizione per intralciarne lo sviluppo. Cercò di corrompere i redattori dei quotidiani perché ignorassero o attaccassero il movimento e i suoi leader, piazzò agenti segreti tra i membri del movimento per avvisarlo dei programmi imminenti, impedì ai membri del gruppo di ricevere incarichi politici, e riuscì a fare tagliare i fondi alle scuole in cui i leader del movimento insegnavano. Non stupisce apprendere che questa opposizione fu seriamente dannosa alla crescita del movimento.

 

Mentre il Movimento del Niagara iniziava a perdere forza, una nuova organizzazione stava nascendo per volere di alcuni assistenti sociali e filantropi bianchi del Nord con l’intento di offrire un’alternativa al programma di Washington. Alcuni degli attivisti avevano in precedenza appoggiato Washington, ma poi si erano ricreduti, ritenendo che il monopolio nel campo delle relazioni fra razze non era la cosa migliore per il popolo afroamericano. Nel 1909, venne convocata un’altra conferenza nazionale per i neri d’America con sede nella città di New York. Parteciparono molti membri del Niagara Movement insieme a diversi bianchi liberali politicamente progressisti. L’anno successivo venne fondata la NAACP con lo scopo di portare avanti il programma formulato durante la conferenza. DuBois fu l’unico dirigente nero dell’organizzazione. E malgrado avesse di gran lunga preferito un movimento costituito interamente da afroamericani, sapeva bene che il supporto finanziario era necessario al neonato gruppo per contrastare i potenti mezzi di Washington.

La NAACP si mise subito al lavoro per abolire le leggi di Jim Crow contrastandole sul piano costituzionale.

 

L’NAACP Legal Defense Committee (un gruppo diventato poi indipendente dalla NAACP) nel 1917 portò di fronte alla Corte Suprema il caso Buchanan v. Warley in cui si stabilì che non si poteva imporre la segregazione su base residenziale, costringendo le persone a vivere in zone separate. Nel 1946 la sentenza Irene Morgan v. Virginia dichiarò incostituzionale la segregazione sui mezzi di trasporto che collegavano stati diversi. La sentenza Shelley v. Kraemer del 1948 affermò che le "clausole restrittive" che impedivano la cessione di case a neri o ebrei o asiatici erano incostituzionali, impedendo di fatto ad aziende, associazioni private, partiti politici e quant’altro di applicare i regolamenti interni che avevano ideato per impedire agli afroamericani di acquistare case in determinati quartieri, di lavorare o fare acquisti in certi negozi o di svolgere determinate occupazioni. Il celebre caso Brown v. Board of Education del 1951 rese incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole. I fatti in breve. Linda Brown, un’alunna nera residente a Topeka nel Kansas, si vide rifiutare l’iscrizione in una scuola bianca in prossimità del suo domicilio e si dovette iscrivere a una scuola nera distante più di un chilometro. Il padre di Linda, Oliver, e altri tredici genitori che subirono lo stesso trattamento, intentarono una class action. Thurgood Marshall, il principale avvocato della NAACP, e che fu, nel 1967, il primo giudice nero nominato alla Corte suprema, sostenne il caso. La Corte nel 1954 ribaltò di fatto la decisione presa nel 1895 con il caso Plessy v. Ferguson, sentenziando che mantenere per legge il principio della segregazione razziale nelle scuole pubbliche era incostituzionale.

 

Il gesto di disobbedienza civile di Rosa Parks, infine, innescò l’inizio di una serie di dimostrazioni pubbliche che non passarono inosservate e influirono nelle decisioni dei legislatori e dei tribunali che contribuirono a indebolire ulteriormente il sistema delle leggi di Jim Crow. Era il 1° dicembre del 1955 quando Rosa Parks, di rientro nella sua casa a Montgomery, salì su un autobus di linea. Non trovando altro posto a sedere si accomodò nella parte anteriore del mezzo, quella riservata ai bianchi. Poco dopo salirono sull’autobus alcuni passeggeri euroamericani e il conducente, James Blake, le intimò di alzarsi per cedere il posto e andare nella parte riservata ai neri. Rosa però si rifiutò, stanca di essere trattata come una cittadina di seconda classe e rimase al suo posto. Il conducente fermò l’automezzo e chiamò due poliziotti. Rosa Parks fu arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine. Quella notte, cinquanta leader della comunità afroamericana, guidati dall’allora sconosciuto pastore protestante Martin Luther King si riunirono per decidere le azioni da intraprendere. Il giorno successivo incominciò il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery, una protesta che durò per 381 giorni; dozzine di pullman rimasero fermi per mesi finché non fu rimossa la legge che legalizzava la segregazione. Il boicottaggio degli autobus di Montgomery non fu tuttavia il primo di quel tipo. Per tutti gli anni trenta e quaranta si verificarono episodi simili.

 

Nel gennaio 1964 il presidente Lyndon B. Johnson incontrò i capi del movimento per i diritti civili e il 2 luglio dello stesso anno firmò lo storico decreto del Civil Rights Act, col quale vennero dichiarate illegali le disparità di registrazione nelle elezioni e la segregazione razziale nelle scuole, sul posto di lavoro e nelle strutture pubbliche in generale.

 

Dopo una serie di scontri e di atti di violenza il Presidente e il Congresso decisero di superare la resistenza opposta dai legislatori del Sud e a far effettivamente applicare la legge sul diritto di voto. Il presidente Johnson richiese che venisse emanata una nuova legge che si concretizzò nel Voting Rights Act. Il Voting Rights Act del 1965 pose fine alle barriere legali erette per limitare il diritto di voto in tutte le elezioni, federali, statali e locali. Stabilì anche una forma di controllo federale sulle contee in cui storicamente la partecipazione al voto era stata particolarmente bassa, segno evidente della presenza di discriminazioni. Si sanciva la fine della segregazione razziale per legge.

 

 

Dal momento dell’approvazione delle nuove leggi e dei nuovi regolamenti dovette trascorrere diverso tempo perché anche la mentalità e le credenze della popolazione statunitense bianca cambiassero. Passo dopo passo si andò incontro all’integrazione di fatto, prima nel mondo della cultura e dell’arte in cui musicisti e i letterati afroamericani agli inizi del 20° secolo riuscirono in qualche modo a farsi accettare, poi nel mondo dello sport fino ad allora dominato dai bianchi e nel quale gli atleti neri continuarono a trovare numerosi ostacoli per lungo tempo.

 

Tuttavia il loro valore e le loro capacità in tutte le discipline sportive non potevano essere negati e grazie a figure come quella di Jackie Robinson, che nel 1947 per primo riuscì ad entrare in una squadra professionistica di baseball interamente composta da bianchi (anche se iniziò a giocare dapprima in Canada) aiutarono ad abbattere le barriere razziali (baseball color line) e spianò la strada a tutti quei pugili, corridori e giocatori di pallacanestro che fino a quel momento erano stati tenuti ai margini e di cui la cinematografia ci ha raccontato le storie e le lotte. L’esordio di Robinson con la maglia dei Dodgers mise fine a quasi sessanta anni di segregazione razziale in ambito sportivo.

 

A partire dagli anni cinquanta e sessanta la presenza degli afroamericani in tutti gli sport principali iniziò a crescere rapidamente e oggi essi rappresentano la maggioranza degli atleti di primo piano negli Stati Uniti, anche se alcuni recenti episodi di cronaca ci dicono che la strada da percorrere resta ancora tanta.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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