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N. 93 - Settembre 2015 (CXXIV)

JEREMY CORBYN
IL NUOVO CHE AVANZA?

di Filippo Petrocelli

 

È già scoppiata la Corbyn-mania. Il nuovo leader del Labour, trionfatore all’ultimo congresso del partito con quasi il 60% dei consensi, è rapidamente diventato un nuovo guru della sinistra europea. Una sinistra che sarebbe corretto definire “riformista” – tutt’altro che impegnata a stravolgere il presente – ma che a suo modo sembra impegnata in una ridefinizione ideologica dopo i fallimenti e le sconfitte dell’ultimo ventennio.

 

E così nell’ordine dopo Zapatero, Holland, Tsipras e Papa Francesco, il brand del momento sembra essere quello del nuovo presidente dei laburisti inglesi.

 

Non possiede una macchina, gira in bicicletta e nel deserto politico di questi anni, è già diventato una specie di fenomeno da social network con aneddoti, video virali e alto gradimento.

 

Protagonista di una curiosa polemica a metà degli anni Ottanta sul codice d’abbigliamento da usare nella Camera dei comuni, quando un deputato conservatore considerava il suo dress-code inadatto alla solennità del luogo, si è anche dimostrato uno dei politici più onesti del paese.

 

Nel 2009 in relazione a illeciti sui rimborsi parlamentari, vengono pubblicati una serie di dati sulle spese dei politici e Corbyn risulta essere il più attento alle spese dei contribuenti di tutta la storia parlamentare britannica.

 

Come sempre emergono molte notizie di costume sul “personaggio”, con pettegolezzi che lo dipingono come un politico stralunato, lontano dalla casta, nient’altro che un brav’uomo che ispira simpatia mentre invece miete consensi.

 

Questa veloce popolarità ha determinato però una sovraesposizione mediatica che ha infastidito qualcuno. Corbyn è diventato una sorta di nuovo messia rivoluzionario, al punto da scatena reazioni scomposte da parte dei poteri forti britannici: dai giornali controllati dal gruppo Murdoch, ai gruppi industriali, passando per i militari e l’apparato di sicurezza, in un clima macchartista da caccia alle streghe.

 

Un generale inglese, forte dell’anonimato, in una recente intervista al The Independent ha espresso preoccupazioni relative al leader laburista e alla sua visione della politica estera, al punto da far trapelare profonde ostilità da parte dell’esercito, tradizionalmente lontano da manovre politiche e bastione di neutralità in tandem con la Regina.

 

Nei fatti Corbyn è stato dipinto come un moderno Spartaco, solo per aver fatto affermazioni di massima contro l’austerity, la guerra, la Nato e per aver espresso critiche rispetto alla politica estera israeliana. Ma lui è figlio di una cultura  politica tutt’altro che radicale.

 

Sicuramente rispetto ai fratelli Milliband, a Gordon Brown e a Tony Blair – in ordine i leader più recenti del New labour party – Corbyn appare veramente come un pericoloso “massimalista” d’inizio secolo, soprattutto per la notoria moderazione dei suoi predecessori, non proprio dei bolscevichi di primo pelo, ma l'averlo dipinto come un pericoloso rivoluzionario non rende giustizia al personaggio.

 

Semplicemente se Blair, Brown e Milliband avevano mirato al centro dello schieramento per racimolare voti, cercando di fare del New Labour il “partito della nazione”, questo nuovo corso intende intercettare l’insoddisfazione di una fetta più tradizionale di elettorato popolare, forte dell’appoggio dei sindacati, le potenti Trade Union, che hanno prima guardato con sospetto ma poi appoggiato questo spostamento a sinistra del partito.

 

Jeremy Corbyn non è proprio un outsider: membro del parlamento nel 1983, è un politico di vecchio corso, esperto di istituzioni, navigato e abituato alle stanze del potere, insomma non un alieno della politica.

 

La sua nomina ha reso palese una profonda volontà di cambiamento da parte dell’elettorato laburista, desideroso di un ritorno alle origini ma ha anche diviso l’establishment del partito dalla base. Il neo-leader infatti ha spesso votato in disaccordo con il partito e con la sua classe dirigente, distinguendosi spesso dalla linea ufficiale su questioni come la guerra, le alleanze militari e lo stato sociale.

 

Il suo programma politico per ora è minimale: attacco alle politiche di austerità dell’Unione Europea, politiche keynesiane di redistribuzione e ritorno ad un ruolo centrale dello stato nell’economia.

 

Uno dei suoi cavalli di battaglia è la ri-nazionalizzazione delle ferrovie e di un’altra ampia fetta di servizi pubblici che secondo il nuovo capo dell’opposizione, andrebbero restituiti alla collettività e non sottoposti a speculazione, nella più classica tradizione welfarista della sinistra britannica.

 

Per ora ha fatto scalpore il silenzio di Cobyn, conosciuto per le sue posizioni antimonarchiche, durante l’inno nazionale cantato a squarciagola dagli altri esponenti politici durante un evento pubblico. Ma ha ricevuto molte critiche anche l’aver intonato senza problemi, dopo la vittoria alle primarie laburiste, una canzone patriottica irlandese intitolata The Red Flag, inno informale dei laburisti scritto da Jim Connell nel 1889. È anche così che oggi si rastrellano voti.



 

 

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