N. 137 - Maggio 2019
(CLXVIII)
JAN III SOBIESKI
IL RE “CROCIATO” CHE SALVÒ LA CRISTIANITÀ
di Francesco Biscardi
Nell’estate
del
1683
Vienna,
capitale
del
Sacro
Romano
Impero,
venne
cinta
d’assedio
da
una
grande
armata
turca
che
annoverava
almeno
200.000
combattenti.
In
quel
delicato
frangente,
mentre
la
Cristianità
occidentale
appariva
paralizzata,
incapace
di
agire
o,
come
nel
caso
della
Francia
di
Luigi
XIV,
in
trepidante
attesa
della
capitolazione
del
nemico
Asburgo,
la
salvezza
venne
da
Est:
alla
testa
di
un
valoroso
esercito
austro-polacco-lituano,
il
re
Jan
III
Sobieski
sbaragliò
i
Turchi
nei
pressi
delle
alture
che
si
ergono
attorno
alla
città,
guadagnandosi
l’epiteto
di
“salvatore
di
Vienna”,
di
cui
potrà
fregiarsi
sino
alla
morte
(†1696).
Questa
grande
impresa
avvenne
a
compimento
di
un
intrigato
gioco
diplomatico
che
aveva
visto
coinvolti
tre
interlocutori
principali:
il
pontefice,
Innocenzo
XI,
l’imperatore
asburgico,
Leopoldo
I, e
lo
stesso
Jan
III,
sovrano
della
Confederazione
polacco-lituana
(Rzeczpospolita
in
polacco).
Cerchiamo
di
ripercorrere
brevemente
quanto
avvenne
nei
convulsi
anni
antecedenti
il
grande
assedio.
L’Impero
ottomano,
la
“Sublime
Porta”,
approfittando
delle
discordie
del
mondo
cristiano,
aveva
continuato
a
espandersi:
nel
1669
i
Turchi
erano
riusciti
a
sottrarre
Candia
ai
Veneziani
e
nel
1672
la
città-fortezza
di
Kameniek
ai
Polacchi.
L’avanzata
islamica
nel
cuore
dell’Europa
era
sempre
più
minacciosa.
Il
compito
di
difendere
l’Europa
spettava
innanzitutto
al
Sacro
Romano
Impero
di
Leopoldo
d’Asburgo
la
cui
autorità,
nella
non
semplice
congiuntura
seguita
alla
Guerra
dei
Trent’anni,
era
contestata
nella
regione
ungherese
e
transilvana
sotto
il
suo
dominio,
dove
un
potente
gruppo
di
nobili,
capeggiati
dai
ribelli
Imre
Thököly
e
Michele
Apafy,
invocavano
il
sostegno
della
Porta
contro
lo
stesso
sovrano
tedesco.
Del
pericolo
turco
era
cosciente
il
pontefice,
Innocenzo
XI
Odescalchi,
salito
al
soglio
di
San
Pietro
nel
1676,
il
quale
maturò
sin
dai
primi
mesi
del
suo
pontificato
l’ideale
di
unire
ogni
principe
cristiano,
cattolico,
protestante,
finanche
scismatico
(lo
zar
di
Mosca),
in
una
crociata
contro
il
comune
nemico.
Questo
progetto
divenne
un
obiettivo
ancora
più
preponderante
nella
politica
estera
pontificia
a
partire
dal
1679,
quando
fu
recapitata
al
papa
la
relazione
del
frate
cappuccino
Paul
de
Lagny,
il
quale,
presente
da
diversi
anni
nelle
terre
ottomane,
aveva
avuto
modo
di
scrutarne
le
intrinseche
debolezze
e di
constatare
l’indebolimento
politico-militare
di
quell’impero
che
tanto
timore
aveva
incusso
nei
popoli
europei.
Per
il
religioso
un
attacco
concentrico
contro
i
punti
nevralgici
della
Porta
non
avrebbe
lasciato
ai
Turchi
via
di
scampo.
L’idea
era
quella
di
una
crociata
in
cui
i
singoli
i
principi
cristiani
si
fossero
impegnati
nei
pressi
dei
loro
territori
nazionali:
i
Polacchi
in
Podolia
e in
Ucraina,
i
Veneziani
in
Dalmazia,
gli
imperiali
in
Ungheria,
gli
Spagnoli
contro
i
Barbareschi
nel
Mediterraneo,
mentre
Portoghesi,
Cavalieri
di
Malta
e
stati
italiani,
con
il
fondamentale
supporto
della
Francia,
avrebbero
stroncato
il
collegamento
fra
la
sponda
europea
e
quella
asiatica
dell’Impero
ottomano.
Tuttavia,
il
mirabolante
progetto
pontificio
era
destinato
a
infrangersi:
la
terribile
situazione
economico-finanziaria
della
Spagna,
degli
stati
italiani
e
del
Portogallo
(sul
cui
trono
sedeva
fra
l’altro
un
reggente,
don
Pietro)
non
consentì
alle
medesime
potenze
di
appoggiare
l’intento
papale
se
non
con
qualche
sostegno
pecuniario
e
“morale”,
mentre
i
Veneziani
non
poterono
avallare
più
di
tanto
l’ipotetica
impresa
in
quanto
già
impegnati
contro
gli
Ottomani
lungo
le
coste
dell’Adriatico.
Ancora
più
grave
fu
la
defezione
di
Luigi
XIV,
il
cui
paese
intratteneva
ottime
relazioni
con
i
Turchi
sin
dal
secolo
precedente:
la
Francia
aveva
tutto
da
guadagnare
da
un
eventuale
indebolimento
di
Leopoldo,
suo
acerrimo
nemico.
Così,
il
Re
Sole,
sostenne
la
rivolta
di
Imre
Thököly
in
Ungheria,
cercando
nella
circostanza
di
trovare
persino
l’appoggio
di
Sobieski.
Gli
unici
veri
interessati
a
un’alleanza
antiturca
risultarono
essere
i
due
sovrani
più
direttamente
minacciati
dal
trend
espansivo
della
Porta:
l’Impero
e la
Confederazione polacco-lituana.
In
quest’ultima,
Jan
III
era
salito
al
trono
nel
1674
dopo
una
encomiabile
carriera
militare
durante
la
quale
aveva
più
volte
sconfitto
gli
Ottomani
e i
loro
alleati
nella
tentata
espansione
oltre
il
Mar
Nero.
Fu
proprio
la
grande
vittoria
riportata
nel
1673
a
Chotin,
in
Podolia,
contro
il
visir
turco
Ahmed
Köprülü
a
indurre
la
Dieta
a
eleggerlo
re
(la
Rzeczpospolita
era
una
monarchia
elettiva).
Nel
1683,
con
il
fondamentale
contributo
diplomatico
ed
economico
della
Santa
Sede
(Innocenzo
XI
si
dichiarò
da
subito
disposto
a
sborsare
ingenti
somme
per
la
guerra
contro
gli
“infedeli”),
Leopoldo
e
Jan
III,
appianata
ogni
divergenza,
addivennero
il
31
marzo
a un
trattato
di
mutua
assicurazione
in
funzione
antiturca;
una
duplice,
“Santa”,
alleanza
che
rappresentò
un
successo
della
diplomazia
pontificia
e
uno
scacco
alla
politica
estera
del
re
francese.
Tuttavia
le
cose
precipitarono
in
breve
tempo:
l’armata
turca,
guidata
dal
Gran
visir
“Kara”
(“il
Nero”)
Mustafâ
Pachâ
Köprülü
e
appoggiata
dai
ribelli
magiari,
iniziò
la
grande
marcia
verso
il
cuore
dell’Europa.
Nel
maggio
1683
vennero
espugnate
varie
fortezze
fra
Budapest
e
l’Austria,
mentre
Leopoldo,
insieme
con
la
famiglia
e il
suo
entourage,
abbandonò
precipitosamente
la
capitale
alla
volta
di
Linz.
Fra
il 4
e il
7
luglio
l’esercito
ottomano
circondò
Vienna
e
iniziò
i
bombardamenti.
La
città
riuscì
eroicamente
a
resistere:
fortunatamente
i
Turchi
non
disponevano
di
un’artiglieria
pesante
adeguata
alla
difesa
della
città
che
dal
1529,
anno
in
cui
aveva
vissuto
un
primo
assedio
degli
“infedeli”,
si
era
dotata
di
mura
progettate
per
resistere
ai
cannoni
e di
un
ampio
spazio
vuoto
attorno
ai
suoi
bastioni
(fondamentale
nel
rallentare
il
lavoro
dei
genieri
cui
spettava
il
compito
di
aprire
una
breccia
nell’interno).
Nel
frattempo
in
Rzeczpospolita
la
Dieta,
nonostante
l’alleanza
stretta
con
Leopoldo,
faticava
a
prendere
una
decisione
in
merito
all’intervento
(in
base
alle
leggi
del
regno
spettava
a
questo
organo
parlamentare
la
parola
ultima
sull’ingresso
in
guerra).
Alla
fine,
dopo
varie
discussioni,
grazie
ai
fondi
messi
a
disposizione
dal
re
(attinti
dal
suo
personale
patrimonio)
e
dalla
Santa
Sede,
la
campagna
bellica
fu
avallata.
Un
esercito
di
quasi
40000
uomini
con
in
testa
il
sovrano
iniziò
la
marcia
alla
volta
di
Vienna.
Il
31
agosto
Sobieski
si
congiunse
nei
pressi
di
Hollabrunn
con
le
armate
imperiali
(che
ammontavano
a
circa
60.000
effettivi)
guidate
dal
duca
di
Lorena.
Jan
III,
secondo
il
trattato
sottoscritto
a
marzo,
assunse
il
comando
supremo
e
convocò
una
riunione
congiunta
di
tutti
i
capi
militari,
dove
apprese
che
Kara
Mustafâ
aveva
commesso
un
errore
tattico:
aveva
trascurato
l’importanza
strategica
delle
alture
circostanti
la
città,
cosa
che
metteva
gli
alleati
in
condizione
di
attaccare
gli
assedianti
alle
spalle.
Prima
di
muovere
guerra,
Jan
III,
fedele
e
valoroso
come
i
più
celebri
crociati
medievali,
invitò
il
frate
Marco
D’Aviano,
missionario
apostolico
presso
le
armate
cristiane,
a
celebrare
la
messa,
a
chiusa
della
quale
le
truppe
furono
incitate
a
combattere
nel
nome
del
Signore:
Deus
Vult!
(“Dio
lo
vuole”)
fu
la
parola
d’ordine.
Studiato
il
piano
militare
con
cura
certosina,
nella
mattinata
del
12
settembre
venne
lanciato
l’attacco:
gli
esiti
dello
scontro
rimasero
a
lungo
incerti,
ma,
alla
fine,
la
vittoria
arrise
agli
alleati
quando,
nelle
prime
ore
pomeridiane,
la
formidabile
cavalleria
polacca
calò
impetuosa
dalle
alture
del
monte
Kahlenberg,
travolgendo
il
grosso
dell’armata
turca.
Gli
Ottomani
dovettero
abbandonare
il
campo,
lasciando
sul
terreno
decine
di
migliaia
di
morti,
oltre
a un
accampamento
colmo
di
ingenti
ricchezze.
Messa
in
ginocchio
l’armata,
Kara
Mustafâ
(che
di
li a
poco
si
sarebbe
ucciso)
fu
costretto
a
ordinare
la
ritirata
anche
ai
restanti
uomini
rimasti
ad
assediare
Vienna.
La
notizia
del
quasi
insperato
successo
iniziò
a
correre
per
l’Europa
già
dal
14
settembre
e
giunse
nel
giro
di
pochi
giorni
nelle
stanze
pontificie
dove
fu
accolta
in
un’atmosfera
di
grande
giubilo,
mentre
la
gloria
dell’impresa
arrise
interamente
al
Sobieski,
ribattezzato
“salvatore
di
Vienna”.
La
guerra
entrò
in
una
nuova
fase:
il
24
maggio
1684
venne
confermata
la
“Lega
Santa”
fra
Austria
e
Polonia
ora
estesa,
ancora
una
volta
grazie
alla
mediazione
pontificia,
a
Venezia
e
nel
1686
anche
a
Mosca
(dopo
la
stipulazione
della
Pace
eterna
con
la
Rzeczpospolita).
Per
paradossale
che
possa
sembrare
le
fortune
militari
di
Jan
III
erano
destinate
ad
avere
vita
breve:
nelle
successive
campagne
condotte
dal
Sobieski
al
di
là
dei
Carpazi
e
del
Danubio
contro
Moldavi,
Tartari
e
Valacchi,
fedeli
alla
Porta,
non
riuscì
a
rinnovare
il
clamoroso
successo
viennese.
Anzi,
a
causa
degli
enormi
costi
sostenuti,
degli
scarsi
vantaggi
ottenuti
e
per
il
rafforzamento
delle
due
potenze
confinanti,
Austria
e
Moscovia/Russia,
che
capitalizzarono
ogni
vantaggio
dal
declino
progressivo
dell’Impero
ottomano,
vari
storiografi
hanno
riconosciuto
in
queste
imprese
l’inizio
della
grande
crisi
polacca
che
maturerà
compiutamente
nel
secolo
successivo,
quando
la
Polonia
“scomparirà”
dalla
carta
geopolitica
europea,
spartita
fra
le
potenze
rivali
(Austria,
Prussia
e
Russia).
Ciononostante
l’immagine
che
trapelerà
sempre
di
Jan
III,
almeno
in
Occidente,
sarà
quella
dell’eroico
salvatore
di
Vienna,
ma,
possiamo
anche
dire,
dell’intera
Europa
cristiana.
È
arduo
immaginare
quale
sarebbe
stata
la
successiva
storia
dell’Occidente
senza
questo
valoroso
sovrano.
Riferimenti
bibliografici:
De
Caprio
F.,
Il
tramonto
di
un
regno.
Il
declino
di
Jan
Sobieski
dopo
il
trionfo
di
Vienna,
Sette
Città,
Viterbo
2014.
Cardini
F.,
Il
Turco
a
Vienna.
Storia
del
grande
assedio
del
1683,
Laterza,
Roma-Bari
2011.
Platania
G.,
Rzeczpospolita,
Europa
e
Santa
Sede
fra
intese
e
ostilità.
Saggi
sulla
Polonia
del
Seicento,
Sette
Città,
Viterbo
2000.
Platania
G.,
Santa
Sede
e
sussidi
per
la
guerra
contro
il
Turco
nella
seconda
metà
del
XVII
secolo
(Opizio
Pallavicini
nunzio
a
Varsavia
e la
liberazione
di
Vienna),
in
Il
Buon
senso
e la
Ragione.
Miscellanea
di
studi
in
onore
di
Giovanni
Crapulli,
a
cura
di
Boccara
N. e
Platania
G.,
Sette
Città,
Viterbo
1997,
pp.
103-137.
Platania
G.,
Un
acerrimo
nemico
dell’infedele
Turco:
il
beato
Innocenzo
XI
Odescalchi,
in
Innocenzo
XI
Odescalchi.
Papa,
politico,
committente,
a
cura
di
Richard
Bösel,
Antonio
Menniti
Ippolito,
Andrea
Spiriti,
Claudio
Strinati
e
Maria
Antonietta
Visceglia,
Viella,
Roma
2014,
pp.
222-243.