[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

189 / SETTEMBRE 2023 (CCXX)


storia & sport

L’esempio di Jackie Robinson
L’America tra baseball e segregazione razziale

di Emanuele Molisso

 

Durante i secoli dal XIV al XX, gli Stati Uniti d’America hanno vissuto la separazione e la restrizione dei diritti civili su base razziale. Una vera e propria segregazione. Quest’ultima, precludeva l’accesso a strutture e servizi come alloggi, cure mediche, istruzione, lavoro e trasporti. Il termine veniva usato soprattutto per riferirsi alla discriminazione generale contro le persone nere da parte delle comunità bianche. Non è un caso, che furono proprio le comunità afroamericane a essere le più colpite, soprattutto dopo l’entrata in vigore della dottrina legale nella legge costituzionale degli Stati Uniti d’America, con la dicitura “separati ma uguali” (separate butequal).

 

Una legge che di fatto, rese legale la segregazione razziale, reputandola conforme alle linee dettate dal quattordicesimo emendamento della Costituzione americana. Un emendamento che garantiva uguale tutela dei diritti a tutti i cittadini e a tutte le altre leggi federali sui diritti civili. Un pensiero che si basava su un’altra frase emblematica ovvero “uguali ma separati” (equalbut separate). Tutta questa serie di norme permetteva al governo statunitense, di fornire servizi, strutture pubbliche o private, abitazioni, cure mediche, istruzione, lavoro e trasporti separati, soprattutto con una divisione fra bianchi e afroamericani, ma allargata anche ad altre minoranze.

 

Uno dei campi dove la segregazione razziale divenne una grande questione nazionale fu lo sport. La segregazione sportiva iniziò nel 1900, a partire dalle corse dei cavalli, dal ciclismo e dall’automobilismo. La pallacanestro, il football americano e il baseball ebbero la stessa sorte e soltanto a partire dal 1940, per tutte e tre le discipline sportive, ci fu un abbattimento delle barriere razziali. Il baseball fu lo sport che maggiormente vide l’unione tra campo e società, tra giocatori e diritti civili. Un traguardo raggiunto grazie al fondamentale lavoro compiuto, dentro e fuori dal diamante, dal seconda base Jack Roosevelt Robinson (conosciuto come Jackie Robinson).

 

Egli è stato il primo giocatore afroamericano a militare nella Major League Baseball in epoca moderna. Una novità importantissima visto che i giocatori afroamericani erano costretti a giocare nelle “Negro League” ovvero nelle leghe sportive statunitensi di baseball professionistico, ove le squadre erano composte per la maggior parte da giocatori afroamericani. Queste leghe furono attive dalla fine dell’Ottocento fino al 1966, ovvero quando si esaurirono per via dell’integrazione dei giocatori afroamericani nella Major League Baseball. Risultato ottenuto grazie proprio al lavoro da spartiacque compiuto da Jackie Robinson.

 

Recentemente, per l’esattezza nel 2013, la storia di Jackie Robinson è stata riportata sotto i riflettori dall’uscita sul grande schermo del film 42, la vera storia di una leggenda americana (con il compianto Chadwick Boseman nei panni di Jackie Robinson). Sia il film, che altri media, veicolano un’immagine troppo legata al “primo giocatore afroamericano della MLB” oppure al “colui che ha rotto le barriere di colore nel baseball professionistico”. Sono fatti inconfutabili e che nessuno può mettere in discussione. Come nessuno mette in discussione il suo talento nel baseball e il suo essere stato uno dei migliori nel suo ruolo (media battute di .311 con 137 fuoricampo in carriera, una World Series vinta con i Brooklyn Dodgers e un titolo di Miglior Giocatore della Stagione) tanto che nel 1997, la MLB decise di istituire il Jackie Robinson Day, ogni 15 aprile, e inoltre fu presa la decisione di ritirare il numero 42 per ogni squadra; un gesto che è risaputo, essere la massima onorificenza nello sport a stelle strisce.

 

Il problema di quando si parla di Jackie Robinson riguarda il dimenticarsi della sua importanza come leader del movimento per la difesa dei diritti civili, focalizzandosi solo sul campo e mai su quello che era il fuori. Questo lo si nota, soprattutto se si analizza la sua vita, il cui filo conduttore è stata la coscienza politica e sociale accompagnata da un senso di responsabilità nel riuscire a migliorare le condizioni degli afroamericani. Obiettivi sia per l’atleta, che per l’attivista.

 

Un esempio della sua importanza nello smuovere coscienze è stato dato da un’intervista che il regista Spike Lee fece a Pee Wee Reese, membro dei Brooklyn Dodgers e compagno di squadra dello stesso Jackie Robinson. Il background di Reese era fortemente legato a quella cultura suprematista bianca degli stati del sud dell’America e quindi, appare molto sorprendente quando in questa intervista, Reese affermò di non essere stato lui ad aiutare Robinson, ma che in realtà è stato tutto il contrario: Jackie aiutò Reese a superare il suo bigottismo. Ecco perché non bisogna mai dimenticare la sua importanza fuori dal campo e l’impronta fondamentale che egli ha lasciato in eredità al movimento dei diritti civili.

 

Un’impronta che egli iniziò a lasciare fin da subito nella sua vita. Motivato da episodi di razzismo che egli subì una volta trasferitosi a Pasadena, dove visse tutta una serie di esperienze che fecero nascere in lui un forte animo da combattente per la sua gente. Spirito di cui ebbero prova i suoi commilitoni nella base militare in Kansas, dove Jackie si recò per completare il suo addestramento, per poi far richiesta alla Scuola Candidati Ufficiali.

 

Una candidatura, quella di Jackie, che fu rifiutata e questo portò a una serie di proteste all’interno del campo militare, guidate dallo stesso Robinson, che portarono la questione all’attenzione del Dipartimento di Guerra. Quest’ultimo avviò delle investigazioni e alla fine Jackie fu accettato alla Scuola Candidati Ufficiali. Ma egli riuscì a ottenere una vittoria anche per i suoi compagni afroamericani, le cui condizioni nel campo militare in Kansas, iniziarono a cambiare e a migliorare. Un cambiamento che però, Jackie non riuscì a portare alla base di Fort Hood in Texas, dove egli venne trasferito dopo il Kansas. A Fort Hood, ben undici anni prima di Rosa Parks, egli decise di non sedersi nei posti riservati agli afroamericani in fondo al bus del campo militare e questo portò a un processo della corte marziale, in cui però Jackie venne assolto dalle accuse ma allo stesso tempo, fu sollevato dal servizio attivo.

Questo suo spirito, ovviamente, Jackie lo portò anche all’interno del mondo del baseball come dimostrò la sua denuncia pubblica contro i New York Yankees, rei di essere prevenuti nei confronti degli afroamericani visto che fino a quel momento, nel 1952, non avevano ancora schierato un giocatore nero in campo. Oppure, un’altra sua denuncia pubblica contro la stessa Major League Baseball, per il non concedere l’uguaglianza non solo tra i giocatori, ma anche nelle posizioni manageriali e nel front office.

 

Non solo questi episodi, ma possiamo ricordare anche quello del Chase Hotel di Saint Louis, nel 1954. Durante un ritiro al Chase, i giocatori afroamericani potevano pernottare per la notte ma non potevano condividere gli spazi aperti al pubblico come, ad esempio, la sala del ristorante, e quindi erano costretti a essere confinati all’interno delle loro stanze. Per questo motivo, Jackie, esortò i suoi compagni a non andarsene a soggiornare negli hotel riservati agli afroamericani, ma di rimanere e mangiare insieme a tutti gli altri compagni. Episodi che mettono in luce come sia importante sottolineare la sua importanza come pioniere dei diritti civili.

 

L’immagine di Jackie Robinson come pioniere dei diritti civili è stata dimenticata per due motivi. Il primo riguarda il suo scontro con l’attore Paul Roberson, un altro importante attivista che era molto amato e apprezzato dalla comunità afroamericana. Il loro scontro nacque in seguito ad alcune dichiarazioni dello stesso Roberson, in cui affermava che gli afroamericani non sarebbero scesi mai in guerra contro l’Unione Sovietica e per questo motivo, essi non tenevano al bene e al destino della patria. Un’affermazione che scatenò le ire del “soldato” Jackie, il quale nel luglio 1949, si presentò davanti alla Camera delle Attività Antiamericane e si lasciò andare a commenti violenti contro Roberson. Subito dopo, arrivarono le scuse di Jackie, affermando che Roberson era un “fratello che combatteva la sua stessa causa, per la quale, aveva sacrificato la sua vita”.

 

Il secondo motivo invece, va ricercato nel suo sostegno a Richard Nixon, durante le elezioni del 1960. Robinson condivideva la visione economica del partito repubblicano. C’era un motivo più profondo però, dietro alla sua adesione alla campagna elettorale nixoniana. Robinson aveva lavorato a stretto contatto con Hubert Humprey, uno strenuo sostenitore dei diritti civili per la comunità afroamericana, il quale non ottenne la candidatura per il partito democratico, ma non solo, egli si sentì dire da John F. Kennedy, che essendo del New England, non poteva capire i problemi degli afroamericani. Per questo Jackie, diede il suo voto a Nixon. Davvero troppo poco per oscurare il suo spirito e la sua importanza. Basti pensare che il Journal of Sport History, nella primavera del 1985, affermò che grazie a Jackie Robinson, l’integrazione razziale nel baseball, fu l’episodio più commentato nei topic dei rapporti tra razze in America. Un dato che ci fa capire che Jackie Robinson ha fatto tanto anche e soprattutto, per l’America bianca.

 

Egli è riuscito ad appellarsi alla coscienza nazionale e costrinse gli americani bianchi a confrontarsi con la realtà del pregiudizio nazionale e a ridefinire i loro valori. Tanta strada c’è ancora da fare, nessuno lo può negare. Per questo, bisogna mantenere vivi la memoria e l’esempio di Jackie Robinson, del suo spirito e della sua voglia di cambiare il mondo. Per sé stesso, per la sua gente, per gli altri.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

T. Curry, Preface: the cultural significance of Jackie Robinson in Sociological focus, vol. 30, no. 4, (Ottobre 1997), pp. 307-309.

P. Henry, Jackie Robinson: athlete and american par excellence in The Virginia Quarterly Review vol. 73, no. 2, (Primavera 1997), pp. 189-203.

R. Kahn, The Jackie Robinson I remember in The Journal of Blacks in higher educacation, no. 14, (Inverno 1996-1997), pp. 88-93.

W. Simons, Jackie Robinson and the American mind: journalistic perceptions of the reintegration of baseball in Journal of Sport History, vol. 12, no.1, (Primavera 1985), pp. 39-64.

J. Vernon, Beyond the box score: Jackie Robinson civil rights crusader in Negro History Bulletin, vol. 58, no. 3-4 (Ottobre-Dicembre 1995), pp. 15-22. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]