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N. 50 - Febbraio 2012 (LXXXI)

J. edgar
vivisezione di un personaggio

di Giovanna D'Arbitrio

 

Ricordando in un rapido excursus almeno alcuni film di Clint Eastwood, come Mystic River, Million Dollar Baby, Flags of Our Fathers, Letters from Iwo Jima, Changelling, Gran Torino, Invictus, Hereafter, ci rendiamo conto del suo notevole contributo  al cinema “di qualità”.

 

Anche il suo ultimo film,”J. Edgar”, è molto interessante e diretto con grande maestria. Forse meno coinvolgente a livello emotivo, più distaccato, appare nel complesso quasi un’operazione chirurgica:  la vivisezione di un personaggio che viene esaminato con scrupolosa e cruda obiettività, senza indulgere in lodi o biasimo.

 

J. Edgar Hoover, capo dell’FBI per 50 anni sotto ben 8 presidenti americani, da Calvin Coolidge a Richard Nixon, nella realtà spesso contestato e discusso, nel film viene messo a nudo non solo come duro e spietato personaggio pubblico, ma anche come essere umano che nella vita privata evidenzia debolezze e fragilità.

 

La narrazione inizia con il vecchio Edgar (Leonardo Di Caprio) che detta appunti  per la stesura di un libro sulla sua vita. Continui flashback ci mostrano la sua infanzia e adolescenza completamente dominate da una madre (Judi Dench) ambiziosa e autoritaria che con una rigida educazione conservatrice condizionerà tutte le sue scelte future e forse perfino la sua sessualità, secondo il regista “ ambigua” per la particolare, affettuosa amicizia con il suo collaboratore Clyde Tolson (Armie Hammer).

 

Entrato nel Dipartimento di Giustizia, nel 1919 viene nominato prima capo di una nuova  divisione dell’ Investigation Bureau e subito dopo direttore dello stesso, modificando radicalmente metodi e i mezzi investigativi che con lui diventano “scientifici” ed  affidati a competenti esperti.

 

Sceglie personalmente i suoi agenti speciali controllandone grado di istruzione, aspetto e abbigliamento. Sferra una lotta senza tregua verso la criminalità organizzata catturandone ed uccidendone i capi, tra i quali in particolare viene ricordato John Dillinger, e si distingue nelle indagini per il rapimento del figlio di Charles Lindbergh. Convinto conservatore, attacca ogni forma  di eversione di sinistra, o presunta tale, vedendo comunisti ovunque e perseguitandoli con durezza. Con l’aiuto della fedele segretaria, Helen Gandy (Naomi Watts) accumula dossier segreti sui lati oscuri di personaggi importanti con l’aiuto di microspie, ricattandoli poi per ottenere maggiori finanziamenti e potere per l’FBI. Accusato di non aver mai diretto un’azione d’arresto con i suoi agenti, comincia a farlo sempre guidato da ambizione e protagonismo. Ma come tutti i mortali, inclusi coloro che si illudono di essere sempre invincibili e potenti, anche Edgar verrà raggiunto e stroncato da sofferenze, malattia e morte.

 

Certamente J. Edgar non è un personaggio facile e francamente quando in una scena del film egli oltraggia perfino M. Luther King e il suo indimenticabile discorso “I have a dream”, si prova un profondo disgusto per tutto ciò che non è democratico e che attacca i progressi dell’umanità.

 

Come madre ed insegnante, personalmente sono rimasta colpita dal rilievo che giustamente si dà nel film al rapporto madre-figlio e ai negativi condizionamenti di un’educazione repressiva ed eccessivamente conformista.

 

Un buon film che si avvale di un ottimo cast, dell’efficace sceneggiatura di D. Lance Black, del lavoro fotografico di Tom Stern che con abili tagli di luce ne esalta la narrazione.



 

 

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