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N. 69 - Settembre 2013 (C)

LO SPREAD AI TEMPI DEI BORBONI
l'unificazione italiana dal punto di vista del debito pubblico

di Luca Bastianelli

 

In un periodo piuttosto difficile come quello che stiamo vivendo ora, dove la questione del debito viene dibattuta in molteplici sedi, sia mediatiche sia politiche, è interessante dare uno sguardo di carattere storico alle peculiarità dei titoli di Stato preunitari.

 

Prima dell'Unità d'Italia la geografia economica del Belpaese era piuttosto diversa rispetto a quella odierna.

 

Il Regno delle Due Sicilie godeva di fondamentali solidi: l'economia, protetta, era produttiva, e basata sulla manifattura, sull'agricoltura e sugli scambi commerciali marittimi con l'Oriente.

 

L'indice di industrializzazione della provincia napoletana nel 1871 segnava l'1,44%, contro l'1,41% di Torino, mentre il tessuto del settore secondario siciliano non aveva nulla da invidiare a quello del Veneto.

 

La bilancia commerciale del Regno delle Due Sicilie risultava in attivo verso tutti gli Stati pre-unitari eccetto il Granducato di Toscana. Le ricche riserve auree delle banche ex-borboniche, Banco di Napoli e Banco di Sicilia, formeranno una consistente parte del tesoro della Banca d'Italia, fondata nel 1893.

 

Non sorprende, dunque, che la realtà economica borbonica alimentasse la fiducia degli investitori.

 

Il ducato, la moneta nazionale, era garantito dall'oro nel rapporto di uno a uno con la lira d'oro. La stabilità della moneta e il basso rapporto debito/PIL al 16,5% erano due delle cause del contenuto tasso d'interesse, intorno al 4,3%, offerto dal bond napoletano.

 

Ad Anversa continuavano a circolare i titoli, ormai "regionali", non convertiti: i bond emessi dai Borboni si distingueranno dalle altre obbligazioni italiane per un'altra decina di anni, divenendo così il benchmark del mercato.

 

L'Italy-Neapolitan Bond rappresentava per gli investitori ciò che oggi è il Bund tedesco: lo spread tra i rendimenti dei titoli italiani veniva misurato proprio su quello che veniva considerato lo strumento finanziario statale più affidabile.

 

Lo stato spendaccione e dal debito assai "tricolore" era invece il Regno di Sardegna. Le grandi opere di modernizzazione volute da Cavour e le ingenti spese militari di unificazione sostenute dal Regno di Vittorio Emanuele II avevano portato il debito pubblico piemontese a 1292 milioni di lire nel 1861 (corrispondenti a circa 5.800 miliardi di euro).

 

Questa pesante e onerosa situazione si ripercuoteva decisamente sul rendimento dei bond sardi, che era del 5,7%. Il rapporto debito/PIL al 1859 aveva raggiunto il 73,8%.

 

L'esposizione finanziaria era soprattutto verso l'Inghilterra (oltre ai Rothschild), che aveva prestato il denaro necessario (ben 1 milione di sterline) a Cavour per sostenere le imprese belliche della Guerra di Crimea e le riforme dello Stato necessarie per avviare quel percorso di avvicinamento dell'economia al livello francese e inglese.

 

Lo Stato della Chiesa, annesso al Regno d'Italia solamente nel 1870, pesava, nell'ottica del debito pubblico totale, per il 29%.

 

Il titolo di debito, convertito in lire dall'originale unità monetaria pontificia, il soldo (1 soldo=5,375 lire), fruttava annualmente una rendita del 5,7%.

 

Il Rome Bond, scambiato anch'esso nei mercati di Parigi ed Anversa, offriva tassi d'interesse simili a quelli pagati dai titoli del Regno Lombardo-Veneto (5,9%). Questi erano denominati dopo l'unificazione in Italy-Venetian Bonds e Italy-Lombard Bonds, ed erano stati emessi originariamente in fiorini (1 fiorino=2,469 lire).   

 

Analizzando la dinamica degli interessi delle emissioni pre-unitarie, nel decennio 1861-1871 si è registrata una convergenza dei tassi verso l'alto.

 

L'Italy-Neapolitan Bond, il più sicuro, ha pagato l'aumentato scetticismo degli investitori verso il processo di unificazione del Belpaese, livellandosi con gli altri titoli. Alla fine del 1862 il rendimento dei singoli bond viaggiava intorno al 6,9%, per poi esplodere, in coincidenza con la Terza Guerra d'Indipendenza, fino al 14%, eccetto Roma.

 

Il mercato, fino al completamento dell'Unità con la Presa di Porta Pia nel 1970, non credeva alla tenuta complessiva dello stato savoiardo, e chiedeva un premio di rischio sempre crescente anche per quei titoli che una volta erano considerati sicuri, come quelli emessi dal Regno borbonico.
  
Sebbene il neonato Regno d'Italia avesse la facoltà di non riconoscere i debiti degli stati annessi, i cui vincoli giuridici si erano estinti sul piano del diritto internazionale, il governo decise di convertire in un unico, consolidato, debito nazionale (le cui cedole erano state fissate al 3% e 5%) gli impegni finanziari precedenti con la Legge n° 174/1861.

 

La ristrutturazione o il non riconoscimento del debito precedente avrebbe creato grossi problemi con il principale patrocinatore e creditore internazionale del neonato Regno d'Italia, l'Inghilterra.

 

L'Italia, in questo modo, iniziò la sua attività contabile con un pesante onere di 3.131 milioni di lire, pari al 48% del PIL. Nel giro di soli 10 anni, per le spese militari legate alla Terza Guerra d'Indipendenza e alla Presa di Roma, il debito raddoppierà fino al 95%.

 

Un'eredità unitaria che a varie riprese ha pesato, e tuttora grava, sull'economia italiana.

 

La Germania, con gli eventuali (e improbabili) eurobond, sarà disposta a replicare il sacrificio del vecchio Regno delle Due Sicilie per il bene dell'Europa unita? 

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Ciccarelli C., Fenoaltea S., Attraverso la lente d'ingrandimento: aspetti provinciali della crescita industriale nell'Italia post-unitaria in 

http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/pubsto/quastoeco/quadsto_04/Quaderno_storia_economica_4.pdf.
Collet S., L'Italia Unita: Debito Sovrano e lo scetticismo degli investitori, 2012, in http://www.ilmioliceo.org/sito/media/2012/documenti/Italia-unita-debito-sovrano.pdf.

Repaci F. A., La finanza pubblica italiana nel secolo 1861-1960, Bologna, 1962.

Savarese G., Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860, Napoli, 1862.  



 

 

 

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