N. 12 - Dicembre 2008
(XLIII)
LA COLLABORAZIONE
ROMENA ALLA GUERRA
IN ITALIA
UNA PAGINA DI
STORIA DEL 1918
di Marco Baratto
Il 4 novembre ricorre il
90° l'anniversario della fine della Grande Guerra
dell'Italia, una data importante e che vorremmo anche
condividere con coloro che oramai risiedono nel nostro
Paese. In particolar modo con la numerosa comunità
romena che celebra, tra l’altro, il prossimo 1 Dicembre
il 90° anniversario della proclamazione del moderno
Stato di Romania. Per fare questo percorso condiviso
della memoria con i nostri “fratelli latini” romeni
ripercorriamo le vicende della Legione Romena d’Italia
formatasi nell’Giugno del 1918.
Il massiccio afflusso di prigionieri dell’Imperiale
Regio Esercio Austro-Ungarico nel corso di tutto il
primo conflitto mondiale pose il problema della
individuazione di campi di prigionia che fossero
sufficientemente distanti dalle zone di operazioni
militari.
Durante la prima parte del
conflitto su precisa indicazione del ministero
dell’Interno i prigionieri non furono assolutamente
utilizzati per alcun tipo di lavoro manuale all’esterno
dei campi per paura forse che l’immissione sul mercato
del lavoro di una numerosa manodopera, generalmente a
basso costo, potesse provocare qualche tensione sociale
certamente non auspicabile. Inoltre, il celebre “colpo
di Zurigo” aveva dimostrato la presenza in Italia di una
rete ben sviluppata di spie – la maggioranza è bene
notare reclutata tra isospettabili cittadini italiani –
che aveva messo a dura prova la marina e l’esercito.
Tuttavia la mancanza di
manodopera (dovuta ai continui richiami delle classi di
leva) costrinse anche l’Italia ad applicare
nell’articolo 6 del Regolamento dell’Aja che ammetteva
l’impiego di prigionieri in lavori esterni Nel 1916 la
percentuale di prigionieri austro-ungarici di
nazionalità romena presenti in Italia era assai
rilevante e concentrata soprattutto nei campi del Nord
Italia. Secondo le stime del Ministero della Guerra
erano cosi suddivisi ben 3.600 nel campo di Mantova,
2.000 a Cavarzere, 800 rispettivamente a Ostiglia e
Caravalle.
Le pressanti domande per
l’utilizzo di prigionieri di guerra provennero da tutta
l’Italia e in particolare richieste dai proprietari
terrieri dell’intera penisola – i soldati prigionieri
furono utilizzati con continuità nei lavori agricoli e
in misura ridotta, anche nell’industria. Un forte
necessità emerse nel territorio della provincia
dell’Aquila dalla cittadina di Avezzano dove si dovette
fare fronte ad una serie di necessità che richiedeva un
ingente quantità di mano d’opera sia per le urgenti
necessità agricole dei campi posti nel Fucino sia per la
ricostruzione delle strutture viarie e civili andate
distrutte dal grave sisma del 13 gennaio 1915.
La risposta a questi
problemi fu l’istituzione nella città Marsicana di un
campo di prigionia destinato ad accogliere fino a 15.000
prigionieri e i circa 1.000 tra soldati semplici,
sottufficiali e ufficiali del Regio Esercito destinati
alla sorveglianza dei soldati reclusi. I prigionieri
presenti ad Avezzano Avezzano appartenevano a tutte le
principali nazionalità inserite nei confini della
monarchia asburgica tra loro anche romeni nativi della
Transilvania, del Banato e della Bucovina.
Nel corso dei mesi però la
componente romena nel campo di Avezzano si distinse non
solo in termini quantitativi ma anche sotto il profilo
dell’immagine che questi soldati avevano tra la
popolazione civile. Infatti, il grande spirito di
sacrificio, la maggior facilità di comunicazione
rispetto a ungheresi e tedeschi unita alla dimostrazione
di essere “buoni lavoratori” ingenerano una buona fama e
rispetto dei romeni tra gli abitanti di Avezzano a tal
punto che spontaneamente vennero creati da parte dei
cittadini del centro marsicano comitati di solidarietà e
assistenza riservati ai cittadini romeni e ai loro
familiari rimasti in Patria.
Una svolta importante per
il futuro dei prigionieri romeni di Avezzano venne a
seguito dallo svolgimento nella sala del Campidoglio di
Roma del “Congresso delle Nazionalità Oppresse nella
monarchia austro-ungarica” (27 marzo–10 aprile 1918) nel
quale i delegati romeni Draghicesco, Lupu, Deluca,
Màndrescu e Mironescu riuscirono, assieme agli altri
rappresentanti a ottenere dal ministero della guerra
italiano la possibilità di formare unità armate autonome
su base nazionale, poste sotto la giurisdizione dei
diversi comitati nazionali, offrendo ai soldati di
queste nuove unità lo status giuridico di
alleati. Tra questi i delegati romeni - il professor
Mândrescu e l’ex ministro romeno in Italia, il principe
Dimitrie Ghica - riuscirono a fondare, il 6 giugno del
1918, con l’appoggio dei militari italiani e romeni a
Cittàducale il “Comitato d’Azione dei Romeni di
Transilvania, Banato e Bucovina” e, grazie al diretto
interessamento del Ministro della guerra italiano,
Vittorio Zuppelli, una “Legione Romeni d’Italia “posta
sotto i comandi del generale di brigata Luciano Ferigo e
avente come sede del comando il campo di Avezzano.
Dalla cittadina abruzzese
il meccanismo messo a punto da Ferigo era semplice: da
tutti i campi di prigionia i soldati romeni venivano
radunati nel centro abruzzese venivano inquadrati
militarmente e forniti di tutto il necessario
equipaggiamento bellico, quindi iniziava un periodo di
addestramento. Non mancarono neppure momenti di svago
marcati da qualche gita realizzata in località del
circondario o di banchetti offerti in loro onore da
municipalità locali, come non mancarono casi di
matrimoni tra romeni e donne del posto.
Il 28 giugno 1918 la prima
delle tre compagni romene inquadrate nella VIII,V IV
armata italiana ricevette la “bandiera di guerra” a
Ponte di Brenta (Padova).
Da quel momento la Legione
Romena d’Italia poteva dirsi operativa e avrebbe
combattuto distinguendosi in quella che sarebbe passata
alla storia come la “la terza battaglia del Grappa”, del
24 ottobre del 1918, e nella offensiva di Vittorio
Veneto che portò al collasso dell’esercito
austro–ungarico e in seguito la fine della guerra sul
fronte italiano.
Si è voluto ricordare, brevemente, la storia della
Legione Romena d’Italia, anche per onorare, a 90 anni
dalla fine della Grande Guerra, quei tanti giovani
romeni che hanno contribuito, anche con la loro
presenza, a portare l’Italia vittoriosa alla fine della
IV guerra d’indipendenza.
Ma anche per sottolineare
una sorta di “memoria condivisa” che unisce italiani e
romeni da sempre. Oggi i tanti romeni che vivono e
lavorano onestamente in Italia contribuiscono, come i
loro nonni, a far crescere il nostro Paese.
Nel 1918 dei romeni
morirono nelle fila della “Legione Romena” per l’Italia
e magari in occasione del prossimo 4 Novembre sarebbe
bello coinvolgere anche la comunità romena in segno di
omaggi verso i caduti di quel conflitto. |