N. 19 - Dicembre 2006
L'ITALIA DEI
REFERENDUM
Dalla Repubblica al
federalismo mancato
di
Stefano De Luca
Uno
strumento attraverso il quale il corpo elettorale
viene consultato direttamente su temi specifici: il
referendum è, cioè, uno strumento di democrazia
diretta in cui l'elettore fornisce personalmente il
suo parere sul tema in questione, senza intermediari.
I
referendum si possono distinguere in base al tipo di
azione: propositivi (consultivi) o abrogativi, a
seconda se lo scopo sia di proporre una nuova legge o
di abrogarla.
Riguardo poi al tipo di leggi a cui riferisce il
referendum, esso può essere ordinario se attiene alla
legislazione ordinaria, o costituzionale se riguarda
la Costituzione.
La
Costituzione italiana prevede numerosi tipi di
referendum: quello abrogativo di leggi e atti aventi
forza di legge (art. 75), quello sulle leggi
costituzionali e di revisione costituzionale (art.
138), quello riguardante la fusione di Regioni
esistenti o la creazione di nuove Regioni (art. 132),
quello riguardante il passaggio da una Regione ad
un'altra di Province o Comuni (art. 132).
Inoltre prevede, all'art. 123, che gli statuti
regionali regolino l'esercizio del referendum su leggi
e provvedimenti amministrativi della Regione. Nel 1989
una legge costituzionale ha consentito che, in
occasione delle elezioni del Parlamento europeo, si
votasse anche per un referendum consultivo sul
rafforzamento politico delle istituzioni comunitarie.
Altri referendum a livello comunale e provinciale sono
poi previsti da fonti sub-costituzionali.
2
Giugno 1946 - Monarchia-Repubblica - Gli aventi diritto al voto risultavano essere 28.005.449. I
votanti furono 24.947.187 corrispondenti al 89,1%. I
risultati ufficiali del referendum istituzionale
furono: repubblica voti 12.717.923 pari al 54,3%,
monarchia voti 10.719.284 pari al 45,7%; voti nulli
1.498.136. Analizzando i dati regione per regione,
si nota come l'Italia si fosse praticamente divisa
in due: il nord dove la repubblica aveva vinto con
il 66,2% ed il sud dove la monarchia aveva vinto con
il 63,8%.
12 Maggio 1974 - Divorzio
- Referendum abrogativo. Gli italiani furono
chiamati a decidere se abrogare o meno la legge
Fortuna-Baslini del 1970, con la quale era stato
introdotto in Italia il divorzio. Il no vinse con il
59,30%, con la vittoria dei "divorzisti".
9
Giugno 1991 - Uninominale
- Nel 1990, su iniziativa di Mario Segni, Augusto
Barbera, Marco Pannella, Antonio Baslini ed altri,
fu fondato un comitato promotore di tre referendum
in materia elettorale, per: modificare in senso
uninominale maggioritario la legge elettorale per il
Senato; abolire la possibilità di esprimere piú di
una preferenza per i candidati di lista per
l'elezione della Camera dei Deputati; estendere a
tutti i Comuni il sistema elettorale vigente per
quelli minori, dove il sindaco era scelto in modo
indiretto dagli elettori.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 47/1991,
dichiarò inammissibili i due quesiti su Senato e
Comuni, ammettendo soltanto il quesito sulla
preferenza unica. Il 9 giugno 1991, il referendum
sopravvissuto sulla preferenza unica fu approvato
dal 98% dei votanti, con una partecipazione al voto
del 62,5% degli aventi diritto, nonostante gli
inviti all'astensione lanciati da molti esponenti
della classe politica di allora.
18-19 Aprile 1993 - Riforma elettorale
- Gli italiani furono chiamati a votare per otto
referendum. Il più importante fu il sesto quesito,
riguardante la modifica al sistema elettorale per
l'assegnazione dei seggi al Senato della Repubblica.
La vecchia Legge venne abrogata dall' l'82,70 % dei
votanti, cosicchè si passo, al momento solo per il
Senato, ad un sistema maggioritario a turno unico. A
seguito del referendum, vennero quindi approvate le
leggi n. 276 e n. 277 del 4 agosto 1993, di riforma
elettorale del Senato (la n. 276) e della Camera (la
n. 277) che estesero anche alla Camera il medesimo
sistema che il referendum aveva determinato per il
Senato.
25-26 Giugno 2006 - Riforma costituzionale
- Referendum costituzionale. La maggioranza dei
votanti ha espresso parere contrario alla riforma
costituzionale varata nella XIV legislatura inerente
cambiamenti nell'assetto istituzionale nazionale
della seconda parte della Costituzione italiana.
I
punti portati a modifica furono: devoluzione alle
regioni, fine del bicameralismo perfetto, riduzione
del numero di deputati (da 630 a 518) e senatori (da
315 a 252), aumento dei poteri del Primo Ministro
con il cosiddetto "Premierato", clausola contro i
cambi parlamentari di maggioranza, clausola di
Interesse nazionale, clausola di supremazia, il
Presidente della Repubblica sarebbe divenuto garante
dell'unità federale della Repubblica, la Corte
Costituzionale avrebbe visto aumentare i giudici di
nomina parlamentare da 5 a 7 mentre sarebbero
diminuiti i giudici nominati dal Capo dello Stato e
eletti dalla Cassazione dal Consiglio di Stato e
dalla Corte dei Conti e, l'ultima modifica
riguardava l'autonomia della città di Roma.
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