N. 81 - Settembre 2014
(CXII)
L’ITALIA VERSO LA LIBIA
TRENT’ANNI DI PREPARAZIONE DIPLOMATICA
di Paolo Paolucci
L’interesse italiano per la Libia non risaliva ai primi
anni
post-unitari,
come
era
stato
per
la
Tunisia,
poiché
in
quegli
anni
la
Tripolitania
e la
Cirenaica
erano
due
regioni
del
tutto
sconosciute
agli
italiani,
nei
confronti
delle
quali
non
poteva
esistere
alcun
interesse
particolare:
esse
non
erano
un
approdo
commerciale
importante
e
non
costituivano
neanche
uno
sbocco
per
la
nostra
emigrazione
come
erano
state
Tunisi,
Algeri
e
l’Egitto.
Perciò nell’immaginario collettivo non erano che un punto
vago
della
costa
africana
dal
quale
giungevano,
di
tanto
in
tanto,
delle
piume
di
struzzo
e
ormai
pochissimi
italiani
ricordavano
che
in
passato
Tripoli
era
stata
la
romana
Oea.
Ciò era confermato dal fatto che la Libia non attirava neppure
l’interesse
dei
nostri
esploratori
tanto
che,
tra
il
1811
e il
1875,
solamente
quattro
italiani
la
visitarono,
ma
soltanto
uno
di
loro,
il
geografo
Guido
Cora,
per
motivi
di
studio,
mentre
il
pisano
Agostino
Cervelli
e il
ligure
Paolo
Della
Cella
vi
capitarono
per
caso,
ingaggiati
dai
Caramanli
al
seguito
di
spedizioni
militari;
infine
vi
giunse
padre
Filippo
da
Segni,
il
quale
affrontò
il
viaggio
per
motivi
religiosi,
con
gli
interessi
e
gli
scopi
del
missionario.
Quindi dall’Unità fino al Congresso di Berlino del 1878 il
problema
mediterraneo
per
l’Italia
era
identificato
con
quello
della
Tunisia.
A Tunisi l’Italia guardava per motivi strategici, per completare
la
difesa
della
penisola,
ed
anche
un
ministro
degli
Esteri
decisamente
prudente,
come
Emilio
Visconti
Venosta,
non
nascondeva
la
sua
convinzione
che
la
regione
era
destinata
prima
o
poi,
quando
le
circostanze
lo
avessero
consentito,
a
divenire
una
Colonia
italiana.
Lo stesso ministro, in un discorso alla Camera dei Deputati,
il
12
maggio
1864,
aveva
affermato
che
“nessun
avvenimento
nella
Reggenza
di
Tunisi
può
rimanere
estraneo
agli
interessi
della
politica
italiana”.
Dopo l’instaurazione del Protettorato francese sulla Tunisia,
il
12
maggio
1881,
smaltita
la
rabbia
e la
delusione
subita
ad
opera
della
Francia,
i
circoli
politici
italiani
iniziarono
a
spostare
il
loro
interesse
sulla
Tripolitania
e
sulla
Cirenaica,
di
cui
si
era
parlato
più
volte
negli
anni
precedenti,
a
livello
di
governi,
come
di
un
compenso
all’Italia
per
la
rinuncia
a
Tunisi.
Anche il governo italiano cominciò a mostrare un interesse
concreto
per
la
Libia
tanto
che,
nel
novembre
del
1884,
quando
si
era
profilata
la
possibilità
che
la
Francia
occupasse
il
Marocco,
il
governo
guidato
da
Agostino
Depretis
prese
in
seria
considerazione
l’ipotesi
di
occupare
la
Libia
in
risposta
all’azione
francese.
Una volta scomparso il pericolo, il progetto tripolino, che
si
trovava
in
uno
stato
avanzato
di
preparazione,
veniva
lasciato
cadere,
ma
ciò
non
voleva
dire
che
l’Italia
avesse
rinunciato
a
stabilire
la
sua
sovranità
su
quelle
terre.
Così quando il nuovo ministro degli Esteri italiano, il
conte
di
Robilant,
subentrato
a
Pasquale
Stanislao
Mancini
nell’ottobre
del
1885,
iniziò
a
trattare
con
gli
Imperi
Centrali
il
rinnovo
della
Triplice
Alleanza,
pose
come
condizione
indispensabile
il
mantenimento
dello
status
quo
a
Tripoli.
Grazie alla sua perseveranza, di Robilant riuscì ad ottenere
quanto
richiesto
e
così,
il
20
febbraio
1887,
fu
stipulata
la
nuova
Triplice,
composta
da
tre
accordi:
uno
generale,
che
conteneva
la
proroga
del
trattato
del
1882;
uno
italo
–
austriaco
sui
Balcani,
nel
quale
i
contraenti
si
impegnavano
a
mantenere
lo
status
quo
nella
regione
ed
infine
uno
italo
–
tedesco
che
regolava
le
questioni
mediterranee.
Di fondamentale importanza nel trattato tra Roma e Berlino
era
l’articolo
III,
che
estendeva
la
Triplice
al
Nordafrica.
Se
la
Francia
avesse
cercato
di
aumentare
la
sua
influenza
nella
regione,
occupando
Tripoli
o il
Marocco,
e
l’Italia
fosse
stata
costretta
ad
intervenire
per
difendere
i
suoi
interessi,
sarebbe
scattato
il
casus
foederis
a
carico
della
Germania
e
dell’Austria-Ungheria.
Oltre al rinnovo della Triplice, a bloccare la minaccia
francese
sulla
Libia
vi
era
anche
l’intesa
mediterranea
del
12
febbraio
1887
con
la
Gran
Bretagna,
che
consisteva
in
uno
scambio
di
note
tra
l’ambasciatore
italiano
a
Londra,
il
conte
Luigi
Corti,
e il
Primo
ministro
inglese
Lord
Salisbury.
Con essa i due governi si impegnavano a cooperare per il
mantenimento
dello
status
quo
nel
Mediterraneo
e,
cosa
ancor
più
importante,
l’Inghilterra
si
dichiarava
“disposta,
in
caso
d’invadenza
da
parte
di
una
terza
Potenza,
ad
appoggiare
l’azione
dell’Italia
in
Africa
e
particolarmente
nella
Tripolitania
e
Cirenaica”
in
cambio
dell’appoggio
italiano
in
Egitto.
Circa
un
mese
dopo,
il
24
marzo
1887,
anche
l’Austria-Ungheria
aderiva
all’accordo
mediterraneo.
Il complesso disegno diplomatico creato dal conte di Robilant
fu
completato
dall’intesa
italo
–
spagnola
del
4
maggio
1887,
che
consisteva
in
uno
scambio
di
note
tra
il
ministro
degli
Esteri
spagnolo,
Moret,
e
l’ambasciatore
italiano
a
Madrid,
il
marchese
Carlo
Alberto
Maffei;
con
questo
accordo
la
Spagna
si
impegnava
a
non
concludere
con
la
Francia
nessun
patto
riguardante
i
territori
nordafricani
a
danno
dell’Italia,
della
Germania
e
dell’Austria-Ungheria
e a
collaborare
con
Roma
per
il
mantenimento
dello
status
quo
nel
Mediterraneo.
Con la nuova Triplice e con gli accordi mediterranei di
Robilant
riuscì
ad
assicurare
all’Italia
il
mantenimento
dello
status
quo
in
Africa
settentrionale,
scongiurando
il
rischio
che
anche
la
Libia
potesse
cadere
sotto
il
controllo
della
Francia.
In
tal
modo
furono
poste
le
premesse
per
la
futura
conquista
della
Tripolitania
e
della
Cirenaica
(che
si
trovavano
ancora
sotto
il
controllo
dell’Impero
Ottomano)
da
parte
del
nostro
paese.
Nei successivi dieci anni, dal 1887 alla disfatta di Adua,
anche
se
l’attenzione
italiana
fu
rivolta
principalmente
all’Africa
orientale,
la
nostra
diplomazia
non
perse
di
vista
l’altro
grande
obiettivo
della
politica
coloniale
italiana,
ossia
la
Libia,
e
continuò
a
lavorare
con
pazienza
e
tenacia
per
conseguirlo,
sia
cercando
di
migliorare
le
alleanze,
sia
facendo
buona
guardia
sui
confini
libici,
come
se
fossero
già
suoi.
La sconfitta di Adua, il 1 marzo 1896, e la successiva firma,
il
26
ottobre
1896,
della
pace
di
Addis
Abeba
con
l’Etiopia
(con
la
quale
il
trattato
di
Uccialli
veniva
annullato
e
l’Italia
riconosceva
l’Impero
d’Abissinia
come
Stato
sovrano
e
indipendente)
spostò
le
attenzioni
del
nuovo
governo,
presieduto
dal
marchese
di
Rudinì,
sulla
Libia.
Visconti Venosta, tornato alla guida del ministero degli
Esteri,
iniziò
delle
trattative
segrete
con
l’ambasciatore
francese
a
Roma,
Camille
Barrère,
che
si
conclusero
con
uno
scambio
di
note
tra
i
due
governi
il
14 e
il
16
dicembre
del
1900.
Con
l’accordo,
che
segnava
il
riavvicinamento
tra
le
due
sorelle
latine,
l’Italia
lasciava
mano
libera
alla
Francia
sul
Marocco
e in
cambio
vedeva
riconosciute
le
sue
mire
sulla
Libia.
Ottenuto il via libera dalla Francia, l’anno seguente il
nuovo
ministro
degli
Esteri
italiano,
Giulio
Prinetti,
aprì
delle
trattative
segrete
con
Londra
per
assicurarsi
anche
l’avallo
del
governo
inglese
alle
aspirazioni
italiane
su
Tripoli.
I negoziati si conclusero l’11 marzo 1902 con uno scambio
di
note
tra
Prinetti
e il
ministro
degli
Esteri
britannico,
Lansdowne,
con
il
quale
l’Inghilterra
riconosceva
le
mire
italiane
sulla
Tripolitania
e
sulla
Cirenaica:
se
vi
fossero
stati
dei
mutamenti
dello
status
quo
nelle
due
province
ottomane,
questi
sarebbero
dovuti
avvenire
“in
conformità
agli
interessi
italiani”.
In
cambio
il
governo
di
Roma
si
impegnava
a
non
assumere
atteggiamenti
ostili
agli
interessi
inglesi
nel
Mediterraneo.
Pochi mesi dopo, il 28 giugno 1902, l’Italia firmò il rinnovo
della
Triplice
Alleanza
con
gli
Imperi
Centrali,
con
lo
stesso
testo
del
1891;
l’unica
novità
fu
uno
scambio
di
note
tra
Roma
e
Vienna,
datato
30
giugno
1902,
con
il
quale
l’Austria
–
Ungheria
approvava
l’eventuale
occupazione
italiana
della
Libia.
Lo stesso giorno Prinetti concluse, con uno scambio segreto
di
note
con
Camille
Barrère,
un
nuovo
accordo
con
la
Francia,
che
dava
all’Italia
il
via
libera
ad
occupare
la
Libia
senza
dover
attendere
l’azione
francese
in
Marocco.
Dietro quello che Gaetano Salvemini definì il “sistema Prinetti
del
1902”,
che
creò
i
presupposti
per
l’impresa
libica
e
corresse
la
politica
estera
italiana
in
senso
francofilo,
c’era
l’influenza
del
nuovo
re
d’Italia,
Vittorio
Emanuele
III,
succeduto
ad
Umberto
I
dopo
la
sua
uccisione
a
Monza,
il
29
luglio
del
1900,
per
mano
dell’anarchico
Gaetano
Bresci.
Il nuovo monarca fu il principale fautore della “svolta di
inizio
secolo”,
che
portò
l’Italia
a
destreggiarsi
abilmente
tra
gli
impegni
con
gli
alleati
della
Triplice
Alleanza
e le
aperture
alle
future
Potenze
dell’Intesa,
attraverso
una
fitta
trama
di
missioni
all’estero
e di
contatti
diplomatici
con
i
principali
capi
di
Stato
europei.
Ormai quasi tutte le Potenze europee avevano riconosciuto
le
aspirazioni
italiane
su
Tripoli;
all’appello
mancava
solo
la
Russia
che
diede
il
via
libera
all’Italia
pochi
anni
dopo,
il
24
ottobre
1909,
quando,
in
occasione
della
visita
dello
Zar
Nicola
II
al
re
d’Italia
Vittorio
Emanuele
III
nel
castello
di
Racconigi,
vi
fu
uno
scambio
di
note
tra
il
ministro
degli
Esteri
italiano,
Tommaso
Tittoni,
e il
suo
omologo
russo,
Izvolskij,
con
il
quale,
all’articolo
V,
Italia
e
Russia
s’impegnavano
a
“considerare
con
benevolenza,
l’una
gli
interessi
russi
nella
questione
degli
Stretti,
l’altra
gli
interessi
italiani
in
Tripolitania
e
Cirenaica”.
L’anno decisivo per la conquista italiana della Libia fu il
1911;
a
spingere
il
governo
di
Roma
ad
intraprendere
la
spedizione
militare
a
Tripoli
contribuirono
gli
sviluppi
della
seconda
crisi
marocchina
tra
Francia
e
Germania,
nell’estate
di
quell’anno.
La conclusione della crisi a favore della Francia, che si
vide
riconosciuto
il
diritto
di
occupare
il
Marocco
in
cambio
della
cessione
alla
Germania
di
duecentomila
kmq
di
Congo
francese,
convinse
il
ministro
degli
Esteri
italiano,
il
marchese
Antonino
Paternò
Castello
di
San
Giuliano,
a
ritenere
giunto
il
momento
di
occupare
la
Tripolitania
e la
Cirenaica,
prima
che
le
altre
Potenze
potessero
mettere
in
moto
meccanismi
dissuasivi;
in
particolare
si
temeva
che
Berlino,
per
difendere
i
suoi
interessi
economici
nel
Vicino
Oriente,
potesse
proporre
una
mediazione
tra
l’Italia
e
l’Impero
Ottomano,
vanificando
così
trent’anni
di
paziente
lavorio
diplomatico.
Anche il presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, si
era
ormai
convinto
della
necessità
di
occupare
le
due
regioni
africane:
se
l’Italia
non
avesse
occupato
Tripoli
in
quel
momento
propizio,
probabilmente
avrebbe
dovuto
rinunciarvi
per
sempre.
Una
volta
stabilito
il
Protettorato
francese
sul
Marocco,
infatti,
non
era
detto
che
Parigi
avrebbe
continuato
a
rispettare
gli
accordi
del
1900
e
del
1902.
L’invasione della Libia fu decisa durante un colloquio tra
Giolitti
e
San
Giuliano,
il
14
settembre
1911,
e
pochi
giorni
dopo,
il
17
settembre,
lo
stesso
Giolitti
ottenne
dal
re
Vittorio
Emanuele
III
il
via
libera
per
la
spedizione.
Così la notte tra il 26 e il 27 settembre del 1911 l’Italia
consegnò
all’Impero
Ottomano
un
ultimatum
nel
quale,
annunciando
l’ormai
prossima
occupazione
delle
due
regioni,
intimava
alle
autorità
turche
di
dare
gli
“ordini
occorrenti”
per
far
sì
che
il
passaggio
dei
poteri
avvenisse
senza
incontrare
alcuna
opposizione
da
parte
delle
truppe
ottomane.
Nonostante il tono intimidatorio dell’ultimatum, la
risposta
turca
fu
conciliante:
il
governo
imperiale
si
dichiarava
disposto
ad
offrire
tutte
le
garanzie
necessarie
per
assicurare
“l’espansione
economica”
italiana
in
Libia,
a
patto
che
Roma
garantisse
“la
sua
integrità
territoriale”.
Ma ormai il governo italiano non intendeva rinunciare all’occupazione
della
regione
e
così,
il
29
settembre
1911,
dichiarava
guerra
alla
Turchia.