N. 121 - Gennaio 2018
(CLII)
l'inizio della fine
la propaganda e le leggi razziali in italia nel 1938
di Andrea Filippini
«[Le
ideologie
razziste
sono]
negazione
aperta
o
mascherata
della
fraternità
umana
nella
paternità
divina».
(Mario
Falchi, pacifista
valdese
antifascista)
L’anno
1938,
il
XVI
dell’Era
Fascista,
fu
cruciale
nella
storia
del
Belpaese.
Il
regime
mussoliniano,
nell’attestare
«l’attualità
urgente
dei
problemi
razziali
e la
necessità
di
una
coscienza
razziale»,
decise
di
imprimere
un’accelerazione
al
«miglioramento
quantitativo
e
qualitativo
della
razza
italiana,
miglioramento
che
[avrebbe
potuto]
essere
gravemente
compromesso,
con
conseguenze
politiche
incalcolabili,
da
incroci
e
imbastardimenti»
(Dichiarazione
sulla
razza
del
Gran
Consiglio
del
Fascismo
nella
riunione
del
6-7
ottobre
1938).
Per
il
conseguimento
di
questo
duplice
obiettivo
si
operò
fortemente
sia
sul
fronte
propagandistico
che
su
quello
legislativo.
Sul
fronte
della
propaganda
va
in
primis
ricordato
il
celebre
“Manifesto
degli
scienziati
razzisti”,
pubblicato
sul
Giornale
d’Italia
il
15
luglio
1938.
«Esiste
ormai
una
pura
“razza
italiana”»
(art.
6)
ed
«è
tempo
che
gli
italiani
si
proclamino
francamente
razzisti».
La
concezione
italiana
di
razzismo
promossa
dai
firmatari
di
questo
testo
«addita[va]
agli
italiani
un
modello
fisico
e
soprattutto
psicologico
di
razza
umana
che
per
i
suoi
caratteri
puramente
europei
si
stacca[va]
completamente
da
tutte
le
razze
extra-europee»
(art.
7).
Naturalmente
«gli
ebrei
non
apparten[evano]
alla
razza
italiana»
(art.
9).
Poche
settimane
dopo
la
pubblicazione
di
questo
testo,
nacque
la
rivista
quindicinale
La
difesa
della
razza,
diretta
da
Telesio
Interlandi.
In
essa
venivano
fornite
informazioni
pseudo
scientifiche
per
avallare
la
delirante
teoria
della
superiorità
biologica
della
razza
ariana
e
per
incitare
gli
italiani
a
guardarsi
dalle
contaminazioni
con
le
razze
inferiori.
«L’obiettivo
era
di
persuadere
gli
italiani
che
il
colonialismo,
l’eugenetica,
il
divieto
dei
matrimoni
misti
e le
leggi
razziali
fossero
scelte
politiche
legittimate
dalle
Leggi
di
Natura»,
scrive
la
Pisanty.
La
scuola
e i
suoi
programmi
scolastici
furono
un
altro
importante
veicolo
della
farneticazione
fascista
sulla
primazia
dell’homo
italicus.
Per
esemplificare,
riprendiamo
alcuni
asserti
di
un
manuale
scolastico
di
indottrinamento
razzista
contenente
una
sorta
di
questionario
che
gli
allievi
dovevano
imparare
a
memoria.
Ogni
discente
doveva
ripetere
–
quasi
fosse
un
mantra
–
che
«la
razza
italiana
è
ariana»,
che
«le
più
alte
espressioni
della
civiltà
mondiale
sono
dovute
alla
razza
ariana»,
che
«i
caratteri
fisici
e
spirituali
sono
trasmessi
[…]
di
generazione
in
generazione
negli
individui
di
una
stessa
razza»,
che
«il
meticcio
è un
individuo
fisicamente
e
moralmente
inferiore»
e
che
per
questo
«la
legge
vieta
e
punisce
i
matrimoni
misti».
Pertanto
«ogni
individuo
che
procrea
un
meticcio»,
proseguiva
il
libro,
«offende
la
dignità
della
razza
e
condanna
il
proprio
figlio
a
uno
stato
di
inferiorità
fisiologico,
morale
e
sociale».
Questo
manuale,
che
dedicava
ampio
spazio
alla
questione
ebraica,
spiegava
che
«i
provvedimenti
razziali
del
Regime
[erano]
stati
presi
per
tutelare
la
purezza
del
sangue
italiano
e
dello
spirito
italiano
e
per
difendere
lo
Stato
contro
le
congiure
dell’ebraismo
internazionale».
Se
un
italiano
avesse
instaurato
una
relazione
more
uxorio
con
una
persona
di
razza
semita
o
camita,
si
fosse
messo
alle
sue
dipendenze
o
avesse
con
essa
pianificato
e/o
perpetrato
un
delitto,
avrebbe
compiuto
«un
attentato
al
prestigio
della
razza»
meritevole
d’esser
«punito
per
legge».
Sul
versante
giuridico,
un
accenno
parziale
e
sintetico
–
qui
limitato
al
1938
– al
quadro
complessivo
della
legislazione
razziale
può
giovare
alla
comprensione
di
quanto
concretamente
il
Regime
attuò
la
proprio
ideologia
razzista.
Il
primo
provvedimento
in
materia
razziale
data
al
19
aprile
1937
(R.D.L.
880/1937)
e
puniva,
tra
l’altro,
i
rapporti
«di
indole
coniugale
tra
cittadini
e
sudditi
nell’Africa
Orientale
Italiana».
La
successiva
conversione
in
legge
di
questo
decreto
(L.
2538/1937)
venne
pubblicata
nel
1938
(G.U.
del
4
marzo
1938,
n.
51).
Il 5
settembre
1938
un
nuovo
decreto
impedì
agli
individui
di
razza
ebraica
iscrizione
alle
scuole
di
ogni
ordine
e
grado
nonché
l’esercizio
della
professione
di
insegnante
(R.D.L.
1390/1938).
Solo
due
giorni
dopo,
il
Governo
impose
nuovi
stringenti
requisiti
per
il
mantenimento
della
cittadinanza
che
portarono
alla
revoca
della
medesima
a
molti
ebrei
italiani
(R.D.L.
1381/1938).
Il
17
novembre
un
ulteriore
atto
governativo
stabilì
l’illiceità
del
matrimonio
tra
un
cittadino
italiano
di
«razza
ariana»
e un
appartenente
ad
altra
razza
(R.D.L.
1728/1938).
Di
conseguenza
i
matrimoni
tra
soggetti
di
razze
differenti
vennero
dichiarati
nulli.
Questo
decreto
limitava,
tra
l’altro,
anche
la
capacità
giuridica
degli
ebrei
di
possedere
terreni
e
fabbricati
e
impediva
loro
di
tenere
alle
dipendenze
domestici
di
superiore
razza
ariana.
Negli
anni
susseguenti
il
’38
numerose
altre
statuizioni
legislative
inverarono
compiutamente
le
insensate
teorie
razziste
del
Regime.
Per
comprendere
come
i
gerarchi
fascisti
giustificassero
e
conciliassero
una
politica
razzista
e
antisemita
con
il
loro
essere
cattolici,
conviene
citare
le
parole
paradigmatiche
di
Roberto
Farinacci,
membro
del
Gran
Consiglio
del
Fascismo:
«Noi
cattolici
fascisti
consideriamo
il
problema
ebraico
strettamente
politico
e
non
religioso
[…]
Ma
diciamo
a
conforto
dell’anima
nostra
che
se,
come
cattolici
siamo
diventati
antisemiti,
lo
dobbiamo
agli
insegnamenti
che
ci
furono
dati
dalla
chiesa
durante
venti
secoli».
Elencò
poi
una
lunga
serie
–
purtroppo
corretta
– di
disposizioni
conciliari
e
pontificie
contro
gli
ebrei
e
chiosò:
«Non
possiamo
rinunciare
nel
giro
di
poche
settimane
a
quella
coscienza
antisemita
che
la
chiesa
ci
ha
formato
lungo
millenni».
Come
considerare
errata
la
sua
spiegazione
se
rileggiamo
le
parole
autorevoli
che
padre
Agostino
Gemelli,
frate
francescano
nonché
Magnifico
Rettore
dell’Università
cattolica
del
Sacro
Cuore
di
Milano,
pronunciò
poche
settimane
dopo?
«Tragica,
senza
dubbio,
e
dolorosa
la
situazione
di
coloro
che
non
possono
far
parte,
e
per
il
loro
sangue
e
per
la
loro
religione,
di
questa
magnifica
Patria;
tragica
situazione
in
cui
vediamo,
una
volta
di
più,
come
molte
altre
nei
secoli,
attuarsi
quella
terribile
sentenza
che
il
popolo
deicida
[ebraico]
ha
chiesto
su
di
sé e
per
la
quale
va
ramingo
per
il
mondo,
incapace
di
trovare
la
pace
di
una
Patria,
mentre
le
conseguenze
dell’orribile
delitto
lo
perseguitano
ovunque
e in
ogni
tempo».
Ciò
nonostante,
la
maggioranza
degli
italiani
nell’intimo
non
condivideva
le
leggi
razziali
e le
interdizioni
che
colpirono
gli
ebrei.
Scrisse
Ernestina
Bittanti,
la
vedova
di
Cesare
Battisti,
un’attenta
osservatrice
diretta
degli
accadimenti
italiani:
«La
grande
massa
è
sbalordita.
Non
comprende.
La
stampa
che
è
tutta
statale,
e
vuole
uno
spirito
antiebraico,
dà
uno
spettacolo
pietoso,
ributtante
di
incongruenze,
contraddizioni,
spropositi
storici,
nefandezze
da
sciacalli
[…]
Lo
spettacolo
di
un
pagliaccio
ubriaco.
Ma
dàlli,
dàlli,
dàlli,
il
senso
di
diffidenza
e di
odio
si
appiccicherà,
si
diffonderà
(a
nostra
vergogna)
forse.
Non
mancano
già
i
pappagalli
e i
malvagi».
La
«riviviscenza
di
ideologie
anticristiane
e
antiumane»
di
cui
era
testimone
nel
1938,
indussero
il
valdese
Mario
Falchi
a
qualificare
l’antisemitismo
e il
razzismo
quali
«negazione
aperta
o
mascherata
della
fraternità
umana
nella
paternità
divina».
Ottimisticamente
preconizzò:
«[Nel
futuro]
saranno
dallo
spirito
umano
riguardati
come
si
riguardano
nei
maggiori
musei
di
paleontologia
i
resti
fossili
dei
giganteschi
sauri
carnivori
delle
epoche
geologiche
di
un
remotissimo
passato
quasi
favoloso».
Purtroppo
si
sbagliava.
Oggi,
a
ottant’anni
di
distanza,
il
razzismo
è
vivo
e
vegeto
ed è
tutt’altro
che
un
reperto
da
museo.
Qualche
tempo
fa
ho
avuto
una
conversazione
con
un
giovane
militante
politico
che,
lamentandosi
dei
guai
dell’Italia
dovuti,
a
suo
dire,
massimamente
all’immigrazione
africana,
mi
ha
espresso
delle
convinzioni
agghiaccianti.
Mi
ha
ricordato
che
«la
razza
ariana
è
superiore
alle
altre»,
che
è
stata
una
iattura
che
«Hitler
non
sia
riuscito
a
ultimare
lo
sterminio
gli
ebrei»
e
che,
se
ci
fosse
riuscito,
«oggi
il
mondo
sarebbe
migliore».
La
realtà
è
che
il
mondo
sarà
davvero
migliore
quando
si
concretizzerà
la
visione
profetica
dell’Apocalisse
di
«una
moltitudine
immensa,
che
nessuno
poteva
contare,
di
ogni
nazione,
tribù
popolo
e
lingua»
(VII,
9),
una
grande
folla
di
persone
con
i
più
disparati
retaggi
culturali
e
con
differenti
tratti
somatici,
che
vivono
in
unità
e
senza
discriminazioni
e
pregiudizi.
Riferimenti
bibliografici:
E.
Bittanti Battisti, Israel-Antisrael! (Diario 1938-1943),
Manfrini
Editore,
Trento
1986,
pp.
62-94.
M.
Falchi, “Quello che l’umanità gli deve. Vale a dire: ‘quello
di
cui
essa,
l’umanità,
fu e
rimane
debitrice
ad
Israele!’”,
in
La
Luce,
3
agosto
1938,
cit.
in
Alberto
Cavaion
&
Gian
Paolo
Romagnani,
Le
interdizioni
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Duce.
Le
leggi
razziali
in
Italia,
Claudiana,
Torino
2002,
pp.
254-257.
R.
Farinacci, “La Chiesa e gli ebrei”, conferenza d’inaugurazione
tenuta
all’Istituto
di
Cultura
Fascista
di
Milano
il 7
novembre
1938,
cit.
in
Alberto
Cavaion
&
Gian
Paolo
Romagnani,
Le
interdizioni
del
Duce.
Le
leggi
razziali
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Italia,
Claudiana,
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2002,
pp.
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A.
Gemelli, discorso davanti alle autorità pronunciato all’Università
di
Bologna
il
10
gennaio
1939,
cit.
in
Ernesto
Rossi,
Il
manganello
e
l’aspersorio,
Editori
Laterza,
Bari
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298.
Il
secondo
libro
del
fascista,
Edizioni
del
P.N.F.,
Roma
1939,
pp.
76-91.
La
difesa
della
razza.
Scienza,
documentazione,
polemica,
Roma,
anno
I,
numero
1, 5
agosto
1938,
XVI
[E.F.].
V.
Pisanty,
La
difesa
della
razza.
Antologia
1938-1943,
Bompiani,
Milano
2016,
pp.
254-257.