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N. 63 - Marzo 2013 (XCIV)

L’ITALIA AL BIVIO
RIFLESSIONI SULLA CRISI POLITICA

di Massimo Manzo

 

Le recenti elezioni politiche hanno dimostrato in modo lampante la profonda crisi in cui versa l’Italia. Dopo un anno di governo tecnico “lacrime e sangue”, dotato di una credibilità internazionale infinitamente maggiore rispetto al precedente, ma incapace di imprimere al paese una svolta orientata alla crescita, siamo di nuovo sull’orlo del baratro.

 

Il sostanziale pareggio ottenuto dalle tre principali forze in campo, dovuto a una legge elettorale che non garantisce la governabilità al Senato, ha inaugurato un pericoloso periodo di incertezza nella formazione del nuovo governo, il quale, già prima di nascere, sembra destinato a breve vita. Tutto ciò in un momento storico di transizione, nel quale i paesi europei sono chiamati a fare scelte cruciali per il futuro dell’Unione. Il mondo guarda con preoccupazione profonda gli sviluppi dello scenario italiano, sapendo che il collasso del nostro sistema porterebbe allo sfascio l’intera Europa.

 

In questi giorni i media italiani e stranieri sono affetti da una strana schizofrenia, che li porta a ipotizzare ogn’ora scenari diversi, soprattutto riguardo alla natura futuro esecutivo. Si susseguono così ipotesi di un governo tecnico, di un governo politico sorretto dai voti dei due partiti maggiori (Partito Democratico e Movimento 5 stelle), e perfino teorie inedite, come quella di una prorogatio di qualche mese dell’esecutivo in carica per gli affari correnti, che dovrebbe a quel punto ratificare le decisioni di un Parlamento completamente rinnovato preparando il terreno a imminenti elezioni.

 

Inutile propendere per l’una o l’altra teoria prima di aver sperimentato la fase delle consultazioni. Solo in quel momento cruciale, in cui tutto sarà nelle mani del Presidente della Repubblica, potremo decifrare i reali intendimenti delle varie forze politiche. I proclami e le dichiarazioni di questi giorni possono infatti mutare repentinamente di fronte alle scelte del Capo dello Stato. Un’unica previsione sembra plausibile: qualunque sia la maggioranza parlamentare a sostegno del nuovo governo, si tratterà di un esecutivo debole e incapace di durare per l’intera legislatura. Difficilmente potrà mettere mano alle questioni economiche strutturali italiane, anche se non è escluso che possa dare dei segnali importanti (eliminando per esempio alcuni degli sprechi della cosiddetta casta).

 

Osservando il panorama da un’altra prospettiva, non possiamo esimerci dall’evidenziare alcune similitudini con altri eventi della storia recente italiana. A ben vedere, la caotica situazione che stiamo vivendo assomiglia molto a quella che il nostro paese attraversò nel biennio 1992-93. Quel frangente fu infatti caratterizzato dalla morte dei partiti politici tradizionali, spazzati via a suon di scandali e corruzione, oltre che per l’incapacità di adattarsi al nuovo assetto mondiale post guerra fredda. Allora, come oggi, il suicidio dei partiti diede spazio a forze politiche nuove, caratterizzate da un marcato populismo, che tuttavia si presentavano in discontinuità con il passato. Il resto è tristemente noto: la classe dirigente dell’ultimo ventennio ha dimostrato la sua totale inadeguatezza, facendo rimpiangere agli italiani la cosiddetta “prima Repubblica”.

 

Non è detto però che la storia si ripeta. Oggi ci sono infatti due importanti differenze: il paese è di gran lunga più povero e la stessa economia occidentale versa in una condizione talmente grave da porre in dubbio gli stessi fondamenti del capitalismo moderno. Proprio questi due fattori potrebbero influire in modo dirompente sulle nostre capacità di ripresa, condannandoci a un lento inesorabile declino o aprendo al contrario una stagione di riforme radicali che rimettano l’Italia in carreggiata.

 

La sfida dei periodi di crisi sta proprio nell’imboccare la strada giusta di fronte a un bivio che porta in direzioni opposte. Per non sbagliare però, occorre scegliere con criterio, evitando di cedere alle paure. In questo senso bisogna assumersi le proprie responsabilità a livello internazionale, premendo per delle riforme profonde a livello europeo, ma rifuggendo dall’idea, tanto facile quanto pericolosa, di uscire dall’unione monetaria. E dal punto di vista interno bisogna avere la forza di “rifondare” i partiti politici, la cui esistenza è indispensabile in qualsiasi democrazia moderna.

 

Insomma, è necessario trasformare la legittima rabbia della società civile in uno spirito costruttivo, che sappia ripartire dagli errori del passato per guardare con fiducia al futuro.



 

 

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