N. 64 - Aprile 2013
(XCV)
SUL BIPOLARISMO IN ITALIA
Qualche utile riflessione
di Giovanna D’Arbitrio
Scampati
per
ora a
meteoriti,
asteroidi,
terremoti,
dimissioni
papali,
molteplici profezie
apocalittiche
e
quant’altro,
pur
essendo
contenti
di
essere
ancora
vivi,
ci
siamo
poi
recati
alle
urne
con
crescente
preoccupazione
per
il
destino
dell’Italia.
Ci
siamo
chiesti,
e
ancora
ci
chiediamo
infatti,
cosa
accadrà
costatando
il
circolare
di
rabbia,
sfiducia,
contestazioni
e
soprattutto
“frammentazioni”
dello
scenario
politico
in
partiti,
correnti
varie
e
partitini.
Insomma
qui
in
Italia
chiunque
voglia,
un
bel
mattino
si
può
svegliare
e
pensare
“sai
che
ti
dico,
ora
lo
fondo
io
un
nuovo
partito!”.
Altro
che
bipolarismo
nel
nostro
paese!
Il
sistema
bipartitico
di
stampo
anglosassone
o
quello
bipolare
degli
opposti
schieramenti,
hanno
alle
spalle
una
lunga
e
consolidata
tradizione
in
alcuni
paesi
e
quindi
oggi
funzionano
ancora
perché
ben
radicati
in
essi.
In
Italia,
invece,
la
situazione
è
molto
diversa
e il
bipolarismo
sta
fallendo
soprattutto
a
causa
di
un
background
storico-politico
molto
più
complesso
e
tortuoso.
Come
al
solito,
manca
una
razionale
e
distaccata
visione
d’insieme.
Oggi,
dopo
150
anni,
l’Unità
d’Italia
stessa
è
ancora
messa
in
discussione
e il
pericolo
del
separatismo
aumenta
col
crescente
divario
Nord-Sud,
alimentato
sia
dall’egoismo
della
Padania,
sia
dal
potere
della
criminalità,
divenuto
“sistema”
all’interno
di
quello
politico-economico.
Il
Meridione
rimane
terra
di
conquista.
La
nostra
Repubblica,
dunque,
costruita
sulle
ceneri
di
una
sanguinosa
guerra
mondiale
e di
un
distruttivo
regime
dittatoriale,
è
ancora
molto
giovane
e
troppo
lacerata
dalle
lotte
intestine
di
innumerevoli
partiti.
Se
il
pluralismo
è da
un
lato
garanzia
di
democrazia,
dall’altro
i
suoi
eccessi
spesso
hanno
reso
ingovernabile
il
nostro
paese.
L’instabilità
politica
purtroppo
è
ormai
una
caratteristica
dell’Italia.
Nel
paese
di
Machiavelli,
inoltre,
a
quanto
pare
lo
slogan
“il
fine
giustifica
i
mezzi”
è
sempre
molto
attuale
con
la
differenza
che
mentre
il
Principe
rinascimentale
almeno
perseguiva
l’obiettivo
del
bene
dell’Italia,
oggi
invece
privilegi
e
interessi
individualistici
legati
alle
poltrone
sembrano
prevalere,
contribuendo
allo
sfascio
del
paese.
Si
scatena
poi,
di
tanto
in
tanto,
una
violenta
battaglia
“di
palle
di
fango”
che
volano
da
una
parte
all’altra,
tanto
più
deleteria
quanto
più
essa
distoglie
l’attenzione
dai
reali
problemi
e
ancor
più
pericolosa
se
si
considera
il
crescente
peso
dell’antipolitica.
E
certamente
tutto
ciò
lascia
sgomenti
e
disorientati
i
comuni,
cittadini,
incrementando
il
qualunquismo.
La
frase
che
spesso
si
sente
in
giro
è la
seguente:
“Basta!
Non
parliamo
più
di
politici,
tanto
sono
tutti
uguali!”.
Ci
si
chiede
perché
il
positivo,
democratico
esempio
delle
“primarie”
non
sia
stato
seguito
da
tutti
i
partiti,
almeno
gli
elettori
avrebbero
potuto
esprimere
le
proprie
preferenze
sui
leader
dei
vari
schieramenti,
considerando
che
siamo
andati
a
votare
senza
una
riforma
elettorale.
E
ora
il
quadro
politico
scaturito
dalle
recenti
elezioni
è
davvero
preoccupante.
In
un
mondo
globalizzato
in
cui
spesso
subdoli
interessi
internazionali
economico-finanziari
manipolano
e
scavalcano
i
governi
nazionali,
solo
i
paesi
politicamente
più
stabili
e
coesi
potranno
sopravvivere.
Vogliamo
fare
la
fine
della
Grecia
o di
Cipro?
Certamente
non
ci
potrà
essere
una
significativa
svolta
se
la
politica
italiana”,
non
sarà
in
grado
di
rinnovarsi
abbandonando
corruzione,
demagogia,
populismo,
sterili
protagonismi
ed
egoistici
interessi
e
proponendo
invece
seri
programmi
politici
centrati
sui
problemi
reali
del
paese
(soprattutto
sul
futuro
dei
giovani).
E se
ciò
non
avverrà,
chi
penserà
allora
a
proteggerci
dalle
speculazioni
finanziarie
internazionali,
chi
salverà
l’Italia?
La
Chiesa
ha
compreso
il
bisogno
di
rinnovamento
e
con
l’elezione
di
Papa
Francesco
evidenzia
per
il
momento
un
positivo
ritorno
ai
principi
predicati
da
Gesù
Cristo
di
cui
S.
Francesco
seguì
l’esempio
con
umiltà.
Speriamo
che
anche
la
politica
si
renda
conto
della
necessità
di
un
cambiamento.