N. 132 - Dicembre 2018
(CLXIII)
L’armistizio con la Francia del 1940
Le
aspirazioni
mediterranee
e i
rapporti
con
Berlino
di
Massimiliano
Rinaldi
Dopo
lo
scoppio
della
Seconda
Guerra
Mondiale,
Mussolini
attese
quasi
un
anno
prima
di
intervenire
ufficialmente
al
fianco
della
Germania
e
delle
forze
dell’Asse,
poiché
era
ben
consapevole
dell’impreparazione
bellica
dell’esercito
italiano
e
dell’economia
nazionale
nel
dovere
affrontare
un
conflitto
di
lunga
durata.
Nel
corso
dei
mesi,
il
Duce
valutò
attentamente
la
situazione
che
andava
configurandosi
sullo
scacchiere
europeo,
al
fine
di
individuare
il
momento
più
opportuno
per
unirsi
attivamente
al
conflitto,
cioè
quello
in
cui
le
forze
armate
di
Hitler
sembrassero
sul
punto
di
ottenere
una
vittoria
decisiva.
Agli
occhi
di
Mussolini
tale
situazione
iniziò
a
profilarsi
alla
fine
di
maggio
del
1940,
quando
le
formidabili
divisioni
tedesche
stavano
per
infliggere
il
colpo
definitivo
alla
Francia,
da
mesi
in
difficoltà
contro
l’invasione
germanica.
Non
potendo
rischiare
di
dare
un
contributo
irrilevante
alla
vittoria
finale
della
guerra,
poiché
ciò
non
avrebbe
permesso
all’Italia
fascista
di
sedersi
ai
tavoli
di
pace
in
cui
si
sarebbe
impostato
il
nuovo
ordine
mondiale,
il
dittatore
italiano
decise
di
compiere
il
passo
decisivo
e il
10
giugno,
dal
balcone
di
Palazzo
Venezia,
proclamò
l’entrata
in
guerra
dell’Italia.
Le
operazioni
belliche
contro
la
Francia
(“Battaglia
delle
Alpi”)
durarono
pochi
giorni,
poiché
l’esercito
francese
si
arrese
pochi
giorni
dopo,
ma
nonostante
ciò,
bastarono
per
evidenziare
tutte
le
deficienze
delle
nostre
forze
armate,
bloccate
sugli
aspri
rilievi
alpini
da
una
tenace
resistenza
francese
e
incapaci
di
penetrare
significativamente
in
territorio
nemico.
A
tali
dati
di
fatto
si
aggiunse
la
pessima
influenza
sull’opinione
pubblica
internazionale,
poiché
molti
interpretarono
l’attacco
italiano
a
un’agonizzante
Francia
come
un
atto
vile
e
indignitoso,
una
“coltellata
alla
schiena”.
In
un
primo
momento,
durante
le
trattative
per
l’armistizio
con
la
Francia,
Mussolini
pensò
concretamente
di
imporre
alla
Francia
una
pace
punitiva,
concordando
con
i
propri
collaboratori
una
serie
di
pesanti
condizioni,
tra
le
quali:
la
cessione
della
Corsica
e di
Nizza,
Tunisi
e
forse
una
parte
dell’Algeria
orientale
e
Somalia
francese.
Le
rivendicazioni
del
duce
erano
durissime
e
puntavano
tutte
a
incrementare
la
potenza
e la
presenza
italiana
nello
spazio
mediterraneo,
considerato
dall’ideologia
fascista
come
lo
spazio
vitale
designato
dalla
storia
per
il
popolo
italiano,
erede
diretto
di
quello
romano.
Nonostante
la
ferma
volontà
di
Mussolini
di
ottenere
il
maggior
numero
possibile
di
annessioni
territoriali,
il
documento
che
fu
presentato
alla
Francia
durante
le
trattative
armistiziali
presentava
richieste
molto
più
miti:
in
sostanza, l'occupazione
da
parte
italiana
di
alcuni
territori
francesi
confinanti
con
l’Italia,
la
smilitarizzazione
del
confine
franco-italiano
e
libico-tunisino
per
una
profondità
di
cinquanta
chilometri
e la
smilitarizzazione
della Somalia
francese.
Il
drastico
cambiamento
di
Mussolini
è
imputabile
all’atteggiamento
tenuto
dai
tedeschi
durante
i
colloqui
vertenti
su
che
tipo
di
pace
bisognasse
presentare
ai
plenipotenziari
francesi.
Hitler
si
dimostrò
contrario
alla
possibilità
di
un’occupazione
totale
del
territorio
francese
e a
una
richiesta
di
consegna
della
flotta,
poiché
tali
provvedimenti,
avrebbero
potuto
spingere
il
nuovo
governo
francese
a
collaborare
segretamente
con
Londra,
o
cosa
ancora
più
grave,
i
francesi
avrebbero
potuto
consegnare
le
proprie
navi
all’Inghilterra.
I
tedeschi
si
orientarono
così
in
favore
di
una
pace
non
troppo
severa,
che
permise
alla
Germania
di
non
sprecare
inutilmente
truppe
e di
mantenere
sotto
controllo
il
nuovo
governo
francese
collaborazionista
di
Vichy.
Di
particolare
interesse
è
un’ulteriore
chiave
di
lettura,
fornita
da
Renzo
de
Felice,
che
può
servire
a
comprendere
meglio
il
repentino
mutamento
di
Mussolini.
Per
lo
storico
italiano,
il
duce
vide
dietro
la
presa
di
posizione
di
Hitler
di
non
infliggere
una
pace
“cartaginese”
alla
Francia,
un
tentativo
di
riconciliazione
tra
le
due
nazioni
che,
se
avesse
avuto
esito
positivo,
avrebbe
rappresentato
un
duro
colpo
alle
aspettative
mussoliniane
riguardanti
le
assegnazioni
territoriali
previste
al
termine
del
conflitto
mondiale.
Difatti,
la
maggior
parte
delle
annessioni
sarebbero
dovute
avvenire
proprio
a
spese
della
Francia,
ma
la
possibilità
di
un
riavvicinamento
fra
Parigi
e
Berlino,
costituiva
un
enorme
problema
per
Mussolini,
il
quale
temeva
che
Hitler
avrebbe
anche
potuto
non
mantenere
fede
alla
parola
data
all’alleato
riguardo
al
riconoscimento
delle
aspirazioni
territoriali
tanto
agognate.
Fu
questo,
secondo
De
Felice,
uno
dei
motivi
più
importanti
che
spinsero
il
dittatore
italiano
ad
allinearsi
con
la
posizione
“soft”
dei
tedeschi,
in
modo
da
non
fomentare
sentimenti
di
ostilità
nei
confronti
di
Roma,
che
avrebbero
potuto
spingere
i
francesi
a
legarsi
maggiormente
alla
Germania.
L’episodio
dell’armistizio
con
la
Francia
permette
di
focalizzare
un
aspetto
particolare
dei
progetti
politici
del
duce,
il
quale
nonostante
fosse
legato
mani
e
piedi
a
Hitler,
non
solo
tramite
i
trattati
politici
come
il
Patto
d’Acciaio,
ma
anche
attraverso
manifestazioni
pubbliche
di
amicizia,
egli
temeva
il
possibile
ruolo
egemonico
che
avrebbe
assunto
la
nazione
tedesca
al
termine
del
conflitto
e
non
si
fidava
delle
promesse
fatte
riguardo
al
disinteresse
tedesco
nei
confronti
dell’area
mediterranea.
Riferimenti
bibliografici:
R.
De
Felice,
Mussolini
l’alleato.
I.
L’Italia
in
guerra
1940-1943.
1.
Dalla
guerra
“breve”
alla
guerra
lunga,
Einaudi,
Torino
1990;
G.
Rochat,
Le
guerre
italiane
1935-1943.
Dall’impero
d’Etiopia
alla
disfatta,
Einaudi,
Torino
2005.