N. 105 - Settembre 2016
(CXXXVI)
Le
isole
Tremiti
Storia
e
mito
di
un
parco
naturale
-
Parte
I
di
Vincenzo
La
Salandra
Le
isole
Tremiti
si
possono
considerare
i
gioielli
della
regione
Puglia:
isole
bellissime
ricche
di
una
natura
che
fiorisce
e
domina
il
territorio
in
modo
incontrastato,
piccole
piattaforme
marine
dove
aggirarsi
in
mezzo
a
boschi
e
giù
per
cale
e
calette
e
grotte
lambite
dal
mare
dove
la
fauna
marina
alberga
e
brilla
nella
sua
vitale
e
rigogliosa
forza.
Isole
circondate
dall'alone
della
mitologia.
Ricche
di
storia
e
leggenda
le
isole
Tremiti
sono
delle
piccole
pietre
angolari
della
Puglia:
simili
nella
conformazione
geologica
al
promontorio
del
Gargano
le
isole
ne
hanno
rappresentato
le
propaggini
e
assieme
le
boe
verso
l'Adriatico
e i
mari
della
Grecia,
tese
e
distese
nel
blu
delle
profondità
di
un
mare
ancora
incontaminato,
nonostante
le
minacce
di
trivellazioni
ed
estrazioni
sottomarine
di
recente
paventate.
Come
tante
altre
isole
della
Grecia
anche
le
Tremiti
sono
avvolte
da
un
antichissimo
alone
leggendario
che
le
lega
indissolubilmente
a
Diomede,
l'eroe
fondatore
di
tante
città
delle
Puglie
e
d'Italia,
tanto
da
prendere
il
nome
di
Diomedee.
Il
piccolo
arcipelago
è
composto
da
cinque
isole:
le
tre
maggiori
sono
San
Domino,
San
Nicola
e
Capraia
o
Capperaia,
più
piccolo
l'isolotto
argilloso
del
Cretaccio
e
circa
venti
chilometri
a
nord-est
di
Capraia,
Pianosa,
quasi
l'ultima
lontana
piazzetta
marina
della
Capitanata.
L'intero
arcipelago
conta
oltre
venti
chilometri
di
estensione
e
sviluppo
costiero,
e,
considerando
le
tre
isole
maggiori,
circa
9700
metri
di
coste
per
San
Domino,
4700
per
Caprara
e
3700
per
San
Nicola.
Tra
San
Domio
e
San
Nicola
si
erge
l'imponente
scoglio
argilloso
del
Cretaccio
che
sale
dall'acqua
nel
suo
colore
giallo
che
sfuma
dal
chiaro
abbagliante
delle
mattine
al
giallo
scuro
e
screziato
dei
tramonti
e
delle
notti;
e
con
lo
scoglio
più
scuro
detto
della
Vecchia
entriamo
nella
sfera
della
leggenda:
si
dice
che
nelle
notti
di
plenilunio
sia
facile
scorgere
una
vecchietta
intenta
a
filare
nella
notte.
Solo
a
San
Domino
dominano
gli
alberi
di
alto
fusto,
nelle
altre
isole
regnano
bassi
arbusti
e
varie
piante
erbacee.
La
fauna
delle
isole
comprende
il
coniglio
selvatico
e
alcuni
rettili
(lucertola,
biacco
e
saettone),
per
l'avifauna
uccelli
di
passo
(tortora
e
quaglia)
e
uccelli
marini
nidificanti
come
i
gabbiani
(Larus
cachinnans
e
Larus
ridibundus)
e le
berte:
Puffinus
puffinus
e
Calonectris
diomedea,
per
tornare
nella
leggenda
e
nella
mitologia
classica,
le
famose
diomedee
in
cui
Afrodite
trasformò
i
compagni
di
Diomede.
Presenti
sulle
pareti
rocciose
anche
il
falco
pellegrino
e il
rondone
pallido.
La
ricchezza
dei
fondali
comprende
un
meraviglioso
ed
incontaminato
patrimonio
ittico
e
finanche
tesori
archeologici
solo
parzialmente
esplorati
e
finora
appena
localizzati:
a
sud
di
San
Domino
è
stata
identificata
una
nave
romana
del
I
secolo
a.C.,
larga
cinque
metri
e
lunga
oltre
venti
metri
con
un
carico
di
anfore
di
vino
e
vasi
di
frumento.
Le
isole
sono
abitate
fin
dalla
preistoria:
a
San
Domino
si
segnala
la
presenza
di
una
necropoli
eneolitica;
a
San
Nicola,
assieme
a
molte
tombe
a
grotticelle
scavate
nella
roccia
e di
età
protostorica,
è
importante
il
sito
della
necropoli
greca
dei
secoli
V-III
a.C.,
esiste
una
tomba
a
tholos,
il
famoso
Sepolcro
di
Diomede,
ed
una
tomba
ad
arcosolio
dove
sarebbe
sepolta
Giulia,
la
nipote
di
Augusto.
Alle
Diomedeae
Insule
o
Trimerium
secondo
la
lezione
di
Tacito,
o
anche
Tremetis,
il
nome
latino
di
San
Domino,
la
storia
lega
un
destino
di
deportazioni:
prima
Giulia,
nipote
di
Augusto,
per
presunte
dissolutezze,
e ne
parlano
gli
storici
romani.
In
epoca
medievale
Carlo
Magno
vi
avrebbe
esiliato
Paolo
Diacono
nel
786,
secondo
lo
storico
Leone
Ostiense.
Poi
la
miracolosa
cristianizzazione
con
un
eremita
a
San
Nicola
che,
graziato
da
diverse
apparizioni
della
Madonna,
rinviene
un
tesoro
nascosto
ed
edifica
sui
resti
di
una
villa
romana
un
piccolo
santuario
in
onore
della
Vergine,
che
diventa
presto
una
piccola
meta
di
pellegrinaggi.
Nel
secolo
XI
il
pontefice
affida
le
isole
e il
santuario
ai
benedettini
di
Montecassino:
l'abate
Alberico
ricostruì
la
chiesa
nel
1045.
Nel
XII
secolo
e
sino
alla
prima
metà
del
XIII
l'abbazia
aveva
diffuso
una
fitta
rete
territoriale
di
interessi
e
controllo
feudale
estesa
in
Puglia,
Molise
e
Abruzzo
grazie
a
donazioni
e
concessioni:
a
causa
delle
ricchezze
i
monaci
furono
accusati
di
malversazione
e
dissolutezze,
risale
forse
a
questo
periodo
l'aneddoto
secondo
il
quale
i
monaci
avevano
piantato
un
albero
a
San
Domino
per
ogni
peccato
commesso
rinverdendo
l'intera
isola,
e il
Papa
Gregorio
IX
tolse
la
gestione
del
santuario
ai
benedettini
per
affidarlo
ai
cistercensi.