N. 39 - Marzo 2011
(LXX)
ISLAMIZZAZIONE DELLA TUNISIA
Dai Romani agli Ottomani
di Sebastiano Garofalo
Nell’epoca
precedente
a
quella
della
penetrazione
araba
nel
Nordafrica,
la
Tunisia
fu
uno
dei
centri
più
importanti
di
tutto
il
mondo
antico.
Prima
con
Cartagine
che,
a
partire
dal
IV
secolo
a.C.,
nel
momento
di
massima
espansione
e
potenza,
controllò
il
commercio
marittimo
del
Mediterraneo
occidentale
e
seppe
tenere
testa
ad
uno
dei
più
grandi
imperi
dell’antichità,
quello
romano.
Successivamente,
fu
trasformata
dagli
stessi
Romani
nel
granaio
dell’impero
e
come
terminal
portuale
per
la
tratta
degli
schiavi
neri.
Con
il
declino
di
Roma
e
l’avanzata
del
Cristianesimo
in
tutto
l’impero,
la
Tunisia
fu
terra
di
scontro
tra
le
popolazioni
cristiane
autoctone,
di
rito
cattolico,
e le
comunità
dei
nuovi
cristiani
ariani.
Questo
stato
di
perenne
scontro
si
protrasse
fino
alla
metà
del
VII
secolo
d.C.,
fino
a
quando,
cioè,
gli
Arabi,
provenienti
da
Est,
iniziarono
le
loro
incursioni
in
Nordafrica.
Nonostante
gli
inevitabili
cambi
di
potere,
la
Tunisia
mantenne,
per
buona
parte
del
medioevo,
un
ruolo
centralissimo
nella
storia
del
Mediterraneo
occidentale.
La
prima
incursione
araba
in
terra
tunisina
avvenne
nel
647
d.C.,
ma
furono
necessarie
altre
quattro
spedizioni
affinché
gli
Arabi,
spezzata
la
resistenza
berbera,
potessero
porre
sotto
il
loro
saldo
controllo
la
Tunisia
e il
resto
del
Maghreb.
La
conquista
dell’Ifriqiya
(nome
che
gli
Arabi
dettero
alla
Provincia
Africa
istituita
dai
Romani,
corrispondente
all’attuale
Tunisia,
più
alcune
zone
dell’Algeria
e
della
Libia)
fu
sancita
dalla
fondazione,
nel
670,
della
città
di
Qayrawan,
considerata
dai
musulmani
particolarmente
venerabile
per
la
presenza
di
due
delle
più
antiche
moschee
di
tutto
il
mondo
islamico:
la
Moschea
del
Barbiere
del
Profeta
Muhammad
e
quella
eretta
dal
conquistatore
arabo
Uqba
ibn
Nafi.
Nonostante
la
popolazione
berbera
si
fosse
convertita
all’Islam,
essi
non
accettarono
mai
una
completa
sottomissione
ai
nuovi
dominatori
Arabi.
Per
questo
motivo
i
Berberi
aderirono
in
massa
al
Kharigismo
(setta
sciita
eterodossa),
dottrina
che
utilizzarono
come
strumento
teologico-politico
di
resistenza
alla
dominazione
araba,
innescando
una
serie
di
rivolte
popolari
che
continuarono
fino
all’annessione
dell’Ifriqiya
all’Impero
della
Sublime
Porta.
A
causa
delle
continue
insurrezioni
dei
berberi
kharigiti,
in
Tunisia
nacque,
all’inizio
del
IX
secolo
d.C.,
la
prima
dinastia
musulmana
autonoma
all’interno
del
califfato
abbaside.
La
dinastia
aghlabide
governò,
infatti,
la
regione
d’Ifriqiya
per
più
di
un
secolo.
Nel
760
il
califfo
abbaside
al-Mansur
inviò,
in
Ifriqiya,
il
condottiero
Muhammad
ibn
al-Ash’ath,
al
cui
seguito
vi
era
colui
che
fu
l’eponimo
della
dinastia
aghlabide,
il
turco
al-Aghlab
ibn
Salim.
Quest’ultimo
fu
investito
del
titolo
di
wali3
d’Ifriqiya
e
tra
il
765
e il
768
portò
avanti
una
serie
di
operazione
militari,
molto
sanguinose,
contro
gli
insorti
kharigiti,
i
quali
tentarono,
in
tutti
i
modi,
di
destabilizzare
la
regione
e
distaccarsi
dall’orbita
di
Baghdad.
Che
il
Califfato
Abbaside
fosse
ormai
eccessivamente
dilatato
e,
nelle
sue
parti
periferiche,
tendenzialmente
fuori
controllo
lo
dimostrò
proprio
il
caso
tunisino.
Infatti,
nell’800,
Baghdad
concesse
l’emirato
ereditario
d’Ifriqiya
a
Ibrahim,
colto
governatore
dello
Zab
e
figlio
di
al-Aghlab
ibn
Salim.
Oltre
le
continue
rivolte
kharigite
da
parte
delle
tribù
berbere,
le
truppe
stanziate
nel
territorio
tunisino
manifestarono
un’irrequietezza,
a
causa
del
ruolo
sempre
minore
riservato
all’elemento
arabo
che
aveva
partecipato
alle
prime
conquiste,
che
sfociò
in
aperta
rivolta,
nel
797,
del
governatore
abbaside
Muhammad
ibn
Muqatil
al-’Akki.
Mentre
Ibn
Muqatil
lasciava
incolume
il
paese,
Ibrahim
ibn
al-Aghlab
piombò
in
Ifriqiya
col
dichiarato
intento
di
riportarla
alla
legalità,
rifiutandosi
successivamente
di
restituire
il
potere
al
deposto
wali(governatore).
In
cambio
della
piena
disponibilità
delle
rendite
fiscali
e
dell’organizzazione
delle
forze
militari,
Ibrahim
ibn
al-Aghlab
s’impegnò
con
Harun
al-Rashid
(quinto
Califfo
abbaside)
a
combattere
l’endemico
kharigismo
e ad
inviare
a
Baghdad
un
tributo
annuo.
Il
califfo,
inoltre,
rimase
titolare
della
sovranità
dell’Ifriqiya.
Incuneato
com’era
fra
l’Egitto
abbaside
a
Est
e le
poco
sicure
aree
kharigite
e
sciite
a
Ovest,
e
bloccato
a
Sud
dal
deserto,
all’emiro
aghlabide
non
restava
altro
sbocco
se
non
quello
del
mare.
Fu
per
questo
che
la
cantieristica
fu
rafforzata,
finalizzandola
al "jihad
marittimo"
che,
nel
827,
portò
alla
conquista
della
Sicilia
e
nell’868
a
quella
di
Malta.
Si
afferma
giustamente
che
le
prime
operazioni
aghlabide
contro
la
Sicilia
bizantina
fossero
dettate
dall’esigenza
dell’emiro
aghlabide
Ziyadat
Allah
I
d’impegnare
altrove
forze
berbere
e
parte
delle
sue
forze
armate,
sì
che
alla
vantaggiosa
attenuazione
delle
tensioni
interne
si
accompagnasse
la
salvezza
eterna
per
i
caduti
in
battaglia,
il
bottino
per
i
sopravvissuti
e
l’immediato
utile
dell’eventuale
conquista
di
terre
e
dei
tributi
da
imporre
alle
popolazioni
sottomesse.
Tuttavia,
anche
se
il
pericolo
kharigita
fu
tenuto
sotto
controllo,
grazie
alle
diverse
spedizioni
jihadiste,
che
si
sono
succedute
per
oltre
mezzo
secolo,
il
pericolo
maggiore
fu,
per
lungo
tempo,
ignorato
o
sottostimato.
Gli
ismailiti
Fatimidi,
indisturbati,
ebbero
la
possibilità
di
fare
proseliti
e di
lanciare
operazioni
di
destabilizzazione
che
portarono
alla
rovina
il
regime
emirale
sunnita
degli
Aghlabidi.
I
Fatimidi
sono
stati
la
più
importante
dinastia
sciita
ismailita
della
storia
dell’Islam.
Tale
setta,
parte
del
più
ampio
movimento
carmata
(gruppo
ismailita
millenarista),
si
affacciò
alla
storia
nella
città
siriana
di
Salamiyya,
dove
‘Ubayd
Allah
al-Mahdi
si
presentò,
agli
inizi
del
X
secolo
d.C.,
come
l’Imam
al-Qa’im,
colui
che
riporterà
l’Islam
alla
sua
purezza
originaria.
Ciò
provocò
un’insanabile
frattura
con
il
resto
della
comunità
carmata.
Al-Mahdi
ormai
braccato
dall’esercito
abbaside,
che
lo
classificò
come
sobillatore
di
masse
contro
il
potere
califfale,
e
perseguitato
dai
carmati,
che
lo
consideravano
un
eretico,
abbandonò,
nel
903,
Salamiyya
per
rifugiarsi
in
Egitto.
Ed è
proprio
lì
che
al-Mahdi
ebbe
l’opportunità
di
"convertire"
alcuni
Berberi
Kutama
che
si
recavano
al
hajj
(quinto
pilastro
dell’islam,
ossia
il
pellegrinaggio
alla
Mecca)
Il
successo
degli
insegnamenti
fatimidi
fra
i
Kutama
era
stato
favorito
dall’accesa
ostilità
nei
confronti
del
potere
arabo-sunnita
rappresentato
in
Ifriqiya
dagli
Aghlabidi.
Travestendosi
da
mercante,
al-Mahdi
si
unì
nel
905
a
una
carovana
berbera
che
giunse
nei
territori
aghlabidi.
Mescolatosi
ai
Kutama,
l’Imam
mantenne
per
quattro
anni
la
sua
copertura,
dando
modo
ai
suoi
seguaci
di
insediarsi
profondamente
in
quella
regione.
Ben
presto
la
paziente
opera
di
diffusione
del
movimento
fatimide
in
tutta
l’Ifriqiya
diede
i
suoi
frutti.
Lo
stato
di
belligeranza
iniziò
con
l’insurrezione
dei
Kutama
nella
Piccola
Cabilia
e
proseguita
nel
906,
tra
l’entusiasmo
crescente
delle
popolazioni
rurali
avverse
all’opprimente
potere
aghlabide,
con
l’importante
successo
di
Dar
Mallul.
La
vittoria
si
rafforzo
con
la
presa
di
Dar
Madyan,
cui
seguì
la
rapida
fuga
in
Egitto
dell’ultimo
emiro
aghlabide
Ziyadat
Allah
III,
decretando
la
fine
della
dinastia.
Con
questa
fuga
al-Mahdi
poté
ufficialmente
inaugurare,
il 6
gennaio
del
910
a
Raqqada,
un
imamato
che
si
presentava
come
unico
legittimo
Califfato
della
Comunità
dei
Credenti,
proponendosi
di
abbattere
quello
di
Baghdad.
Nonostante
la
sfavillante
vittoria
sulle
truppe
aghlabide,
meno
di
due
anni
dopo
l’ascesa
al
potere
di
al-Mahdi,
l’insoddisfazione
dei
Kutama
per
la
loro
progressiva
estromissione
dal
potere
sfociò
in
insurrezione,
prontamente
repressa
dall’Imam
che
stroncò
con
decisione
la
rivolta
della
confederazione
berbera
del
Maghreb
centrale,
sobillata
dagli
Omayyadi
di
al-Andalus.
Senza
più
antagonisti,
al-Mahdi
poté
dedicarsi
al
conseguimento
degli
obiettivi
che
la
sua
famiglia
si
proponeva
da
tempo,
rifiutando
con
sdegno
l’offerta
abbaside
di
subentrare
agli
Aghlabidi
nella
gestione
dei
territori
d’Ifriqiya.
Edificata
nel
912
la
nuova
capitale,
al-Mahdiyya,
l’Imam
impresse
alla
sua
politica
un
forte
dinamismo
per
estendere
la
sua
autorità
al
Maghreb
occidentale,
così
come,
verso
i
domini
bizantini
e
abbasidi.
Conquistare
l’Egitto
ikhshidide,
vassalli
degli
Abbasidi,
divenne
il
suo
impegno
prioritario
per
poter
aggredire
gli
usurpatori
abbasidi.
Il
primo
tentativo
fu
condotto
nel
914
da
Abu
l-Qasim,
figlio
di
al-Mahdi,
che
s’impadronì
senza
molta
fatica
di
Alessandria.
Tuttavia
l’
"impresa
egiziana"
dovette
essere
sospesa
a
causa
delle
violente
rivolte,
scoppiate
tra
il
942
e il
947,
capeggiate
dal
berbero
ibadita
Abu
Yazid,
meglio
conosciuto
come
l’
"Uomo
dell’asino".
Egli
predicava
la
cacciata
dei
Fatimidi,
conquistando,
saccheggiando
e
devastando
le
città
tunisine,
e
fece
suo
lo
strumento
dell’isti’rad
con
cui
ingiungeva
ad
ogni
nuovo
adepto
l’assassinio
di
esponenti
nemici.
Ma è
con
la
salita
al
potere
del
quarto
Imam
al-Mu’izz
li-din
Allah
che
i
Fatimidi,
eliminati
gli
oppositori
interni,
tornarono
ad
occuparsi
di
politica
internazionale,
cogliendo
i
frutti
di
una
capillare
opera
di
propaganda
all’interno
dell’apparato
burocratico
ikhshidide.
Nel
febbraio
del
969
l’esercito
fatimide
mosse
da
Raqqada.
L’impresa
si
rivelò
più
semplice
del
previsto,
in
quanto
il
regno
ikhshidide
era
stremato
da
una
lunga
carestia
innescata
dagli
emissari
di
al-Mu’izz.
Dopo
alcuni
giorni
dal
loro
ingresso
nella
città
di
Fustat,
capitale
del
regno
ikhshidide,
partirono
i
lavori
per
la
costruzione
della
residenza
dell’Imam.
La
città
fortificata
fu
chiamata
"la
città
trionfante
di
Mu’izz",
Il
Cairo.
Con
la
conquista
dell’Egitto,
la
corte
fatimide
si
trasferì
da
al-Mahdiyya
a Il
Cairo,
spostando
i
loro
interessi,
politici
ed
economici
sempre
più
ad
Est,
verso
"la
terra
dei
due
fiumi".
Il
vuoto
di
potere
fu
colmato
dalla
dinastia
berbera
degli
Ziridi.
La
loro
tribù,
quella
dei
Sanhaja,
aveva
servito,
come
vassalli,
i
Fatimidi,
aiutandoli
a
reprimere
la
ribellione
di
Abu
Yazid,
sotto
il
comando
di
Ziri
ibn
Manad.
Quando
i
Fatimidi
spostarono
il
loro
centro
di
potere
in
Egitto,
Bologhine
ibn
Ziri,
il
cui
padre
aveva
già
fondato
un
governatorato
ad
Ashir
con
il
supporto
Fatimide,
fu
nominato
viceré
d’Ifriqiya.
La
partenza
della
flotta
fatimide
verso
i
porti
egiziani
permise
al
figlio
di
Bologhine,
Hammad,
di
consolidare
il
potere
della
dinastia
ziride
su
un
territorio
che
andava
dalle
coste
atlantiche
del
Marocco
fino
alle
regione
occidentali
della
Libia.
Nonostante
l’emirato
berbero
si
trovasse
in
un
stato
di
vassallaggio,
i
rapporti
con
i
Fatimidi
andarono
peggiorando.
Nel
1016
le
truppe
ziride
trucidarono
un
centinaio
di
ribelli
sciiti.
In
risposta,
i
Fatimidi
finanziarono
con
armi
e
denaro
gruppi
di
sciiti
in
Tripolitania,
allo
scopo
di
sottrarre
tale
regione
al
controllo
ziride.
Questo
stato
di
lotta
endemica
portò
al
riconoscimento,
da
parte
della
dinastia
ifriqiyana,
degli
Abbasidi
di
Baghdad
come
legittimi
Califfi.
Tale
offesa
scatenò
l’ira
della
corte
egiziana
che
inviò
le
truppe
delle
tribù
beduine
di
Banu
Hilal
e
Banu
Sulaym,
in
Ifriqiya,
per
annientare
l’esercito
ziride.
La
spedizione
fu
molto
semplice
per
i
Beduini,
soprattutto
perché
buona
parte
dell’esercito
disertò.
Conquistata
Qayrawan,
la
capitale,
il
governo
ziride
si
rifugiò
nella
città
di
Mahdiyya,
mentre
nell’entroterra
nacquero
numerosi
emirati
beduini.
Questo
stato
di
cose
si
perpetrò
fino
al
1152,
anno
in
cui
gli
ultimi
Ziridi
furono
soppiantati
da
un’altra
dinastia
berbera
proveniente
dalla
regione
di
Marrakesh,
gli
Almohadi.
La
dinastia
almohade
nacque
in
seguito
della
riforma
religiosa
di
Muhammad
ibn
Tumart.
Egli,
in
aperta
opposizione
della
scuola
giuridica
malikita
imposta
dalla
dinastia
regnante
organizzò
nella
città
di
Tinmal,
nella
zona
dell’Alto-Atlante
marocchino,
una
comunità
militare
e
religiosa.
E,
nel
1121,
si
proclamò
Mahdi.
Un
altro
berbero
d’Algeria
prese
il
comando
della
comunità
dopo
la
morte
di
Ibn
Tumart,
Abd
al-Mu’min.
Proclamatosi
califfo,
pose
le
base
per
un
regno
che,
sotto
i
suoi
successori,
includeva
l’al-Andalus,
il
Marocco,
l’Algeria
e la
Tunisia.
Ed è
proprio
dalla
Tunisia
che
partì
la
prima
di
una
lunga
serie
di
insurrezione
che
porteranno
alla
disintegrazione
del
califfato
Almohade.
Nel
1229,
infatti,
nell’antica
regione
dell’Ifriqiya,
prendeva
il
sopravvento
la
dinastia
berbera
degli
Hafsidi.
In
realtà
gli
esordi
della
dinastia
furono
piuttosto
turbolenti,
dal
momento
che
Abu
Zakariyya’
Yahya,
governatore
d’Ifriqiya
e
figlio
dell’eponimo
della
dinastia
Ibn
Abi
Hafs,
entrò
in
contrasto
con
al-Ma’mun
(ottavo
Califfo
almohade)
a
causa
dell’abbandono
da
parte
di
quest’ultimo
della
linea
dottrinaria
espressa
da
Ibn
Tumart.
Ciò
indusse
Abu
Zakariyya’
Yahya
a
rivendicare
per
sé
il
diritto
di
riscuotere
i
tributi
e il
titolo
di
emiro,
distaccandosi
de
facto
dalla
dinastia
almohade
e
facendo
di
Tunisi
il
centro
del
suo
dominio.
A
partire
dal
XIV
secolo
la
dinastia,
che
nel
frattempo
si
era
auto-eletta
al
rango
di
Califfato,
cominciò
la
sua
fase
di
declino.
Tra
il
1347
e il
1357
lo
Stato
hafside
fu
conquistato
dai
Merinidi.
Tuttavia,
costoro
non
riuscirono
ad
assoggettare
l’elemento
berbero,
tanto
che
gli
Hafsidi
riconquistarono
il
controllo
su
tutti
i
loro
territori.
Contemporaneamente
una
grave
epidemia
di
peste
causò
in
Nordafrica
numerose
vittime.
Tutto
ciò
indebolì
il
fragile
regno
hafside.
A
peggiorare
la
situazione
fu
il
continuo
acuirsi
dei
rapporti
tra
beduini
e
cittadini,
erodendo
il
controllo
statale
nelle
zone
più
interne
della
regione.
Alla
fine
del
1500
gli
Hafsidi
controllavano
le
sole
città
costiere
di
Tunisi
e
Costantina.
Nel
XVI
secolo
i
signori
di
Tunisi
cominciarono
a
vacillare
sotto
gli
attacchi
dei
corsari
spagnoli
ed
ottomani.
Alla
fine,
la
Sublime
Porta
occupò
Tunisi
nel
1574,
decretando
la
fine
del
dominio
hafside
e
l’oscuramento
della
Tunisia
dalla
scena
mediterranea
fino
alla
sua
indipendenza,
il
20
Marzo
1956.