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FILOSOFIA, RELIGIONE


N. 1 - Gennaio 2008 (XXXII)

ISLAM e CRISTIANESIMO

Una speranza di dialogo

di Francesco Arduini

 

Il giornale “The Times” del 6 giugno scorso riportava la seguente notizia: “In Gran Bretagna, il nome più diffuso per i neonati entro fine anno potrebbe essere Mohammad”. Nel Regno Unito i musulmani rappresentano il 3 per cento della popolazione complessiva, ma sono in aumento e, soprattutto, hanno un tasso di natalità triplo rispetto alla media delle comunità di religione non islamica. “Al ritmo di diffusione attuale, pari al 12% su base annua, Mohammad si avvia a conquistare il vertice della classifica”.

 

Questa non è l’unica situazione che ci induce a pensare che un dialogo fra la realtà musulmana e quella cristiana è divenuto oramai indispensabile. Lo scopo di ogni dialogo è quello di sradicare il fanatismo religioso, i pregiudizi, le incomprensioni fra le parti e per far questo bisogna che ognuno si sforzi di conoscere le radici e le ragioni dell’altro.

 

“Non v’è altro dio che Iddio, l’Unico, il Soggiogatore” (sura 36,65b)

 

Il primo e più importante aspetto del credo, per i mussulmani, è l’assoluta unicità di Dio. I musulmani sono fieri di presentarsi come gli unici veri seguaci dell’unicità di Dio; rifiutano anche solo l’idea dell’esistenza di una molteplicità divina e reagiscono fermamente nel momento in cui qualcosa o qualcuno diverso da Dio viene venerato come divino. Non c’è altro essere divino all’infuori di Allah. Ne deriva che, secondo l’islam, il peccato più grave che Dio non intende perdonare è l’idolatria (il tentativo cioè di associare a Dio un’altra divinità). A tal proposito il Corano afferma: “In verità Iddio non sopporta che altri venga associato a Lui: tutto il resto Egli perdona a chi vuole, ma chi associa altri a Dio erra d’errore lontano”.

 

Il Corano considera la Bibbia come testo sacro; quasi tutti i profeti dell'Islam sono già personaggi biblici ma la tradizione afferma che il testo biblico viene contorto al fine di corrompere la vera rivelazione che i profeti biblici hanno ricevuto da Allah: “…ci sono poi alcuni di loro che contorcono il testo del Libro, per farvi credere che quel che dicono, ‘questo è da Dio’, mentre non è da Dio e così mentiscono contro Dio, coscientemente”.

 

Il Corano viene preso alla lettera ed è trattato con il massimo rispetto: posato con cura sopra tutti gli altri libri, mai in terra e trasportato solo se protetto da un involucro. Ogni recitazione deve essere preceduta da un’abluzione, etc…

 

Tutti i profeti precedenti, inviati ai singoli popoli, portavano sempre lo stesso messaggio che li caratterizzava in quanto profeti: l’unicità di Dio.

 

Dio, tramite Muhammad, portò a compimento l’ufficio dei profeti precedenti in quanto Muhammad ripropose gli insegnamenti dell’islam nella loro forma originaria, restituendo all’umanità la retta via divina che era andata in gran parte perduta. Nel Corano il titolo nabiyy (profeta), viene attribuito a molti personaggi: Yusuf (Giuseppe), Sulayman (Salomone), Yahya (Giovanni), etc...

 

Quei profeti a cui Dio ha rivelato un libro, sono caratterizzati dal titolo onorifico “rasul”: Musa (Mosè), Dawud (Davide), Isa (Gesù) e naturalmente Muhammad.

 

Mala’ika (gli angeli) secondo il Corano sono esseri creati che possono anche peccare, come ha fatto iblis (il diavolo). L’arcangelo Djibril (Gabriele) gode di grande considerazione in quanto, secondo la sura 2,97, è colui che ha trasmesso la rivelazione a Muhammad. I musulmani sono fermamente convinti che, l’ultimo giorno, tutti i morti risorgeranno fisicamente, ritorneranno a Dio e da Lui saranno giudicati secondo i loro peccati e la loro conversione. Pensare che Muhammad abbia acquisito la sua convinzione religiosa da fonti ebraiche e cristiane è, agli occhi di un musulmano, il massimo sacrilegio. Per loro, la rivelazione del Corano trasmessa a Muhammad, è la trascrizione di un “originale” celeste.

 

Secondo la comprensione islamica, i libri rivelati non si occupano della natura divina o di una qualsiasi storia della salvezza, bensì del volere di Dio riguardo agli uomini. Da ciò si comprende perché l’islam viene definito come “fede e unicità di Dio trasformata in vita pratica”. Per l’islam non vi è differenza fra sfera spirituale e terrena. Ogni bambino che nasce è per natura musulmano perché l’islam è considerato la religione naturale primordiale.

 

Secondo la convinzione musulmana, l’islam dota i musulmani della capacità di distinguere fra un comportamento buono e uno cattivo. Ciò che contraddistingue l’islam è l’uguaglianza di principio di tutti gli uomini. Poiché la comunità musulmana si considera la migliore di tutte, cerca con ogni mezzo (djihad) di far partecipare anche gli altri a questa benedizione. Colui che diviene musulmano, ottiene il diritto di esigere aiuto nel mondo musulmano.

 

Shahada - Salah - Zakah - Sawm - Hadjdj

 

I doveri minimi a cui un musulmano non può sottrarsi sono: la professione di fede (shahada), la  preghiera rituale (salah), l’elemosina rituale (zakah), il  digiuno rituale (sawm) e il pellegrinaggio rituale (hadjdj):

 

1 - “la ilaha illa Allah: Muhammadun rasulu Allah” – “Non c’è altro dio se non Dio: Muhammad è l’inviato di Allah”. E’ musulmano colui che dichiara la sua intenzione di pronunciare questa professione di fede islamica e la mette in atto.

 

2 - Ai musulmani si impone la preghiera rituale da compiersi cinque volte al giorno: prima dell’alba, a mezzogiorno, nel tardo pomeriggio, dopo il tramonto, prima di addormentarsi (entro mezzanotte). Lo scopo della preghiera obbligatoria è ricordare continuamente che la vita intera appartiene a Dio. Le preghiere volontarie libere hanno minore importanza.

 

3 - A partire da un reddito minimo, proprietà e redditi vengono gravati da una rata (elemosina rituale) obbligatoria minima di almeno 2,5%. Secondo la sura 9,60, queste entrate sono devolute esclusivamente in favore dei musulmani poveri o in genere per sostenere l’islam. In questo modo i più poveri vengono inseriti nelle comunità religiose senza farli sentire dei mendicanti. Il senso di reciproca appartenenza alla comunità, ne risulta rafforzato.

 

4 - La “notte del destino” e l’intero mese di Ramadan rappresentano una grande festa collettiva, in quanto nelle ore comprese tra l’alba e il tramonto è obbligatorio per tutti astenersi da cibi, bevande, fumo e rapporti sessuali. Tale periodo deve essere un momento di meditazione e di purificazione interiore.

 

5 - Il pellegrinaggio alla Mecca è previsto il dodicesimo mese del calendario musulmano. Ogni musulmano, sia uomo che donna, deve compiere il pellegrinaggio almeno una volta nella vita, purché sia possibile. Il pellegrinaggio inizia il settimo giorno del mese e finisce il decimo, nel giorno della “festa del sacrificio”, che culmina con il sacrificio di un animale. Il pellegrinaggio rappresenta un rinnovamento della dedizione all’unico Dio.

 

La Sharìa

 

La sharìa è un diritto ideale che riguarda tutta la vita; non esiste come codice ma solo come tradizione di una scuola. Ogni musulmano deve riconoscere la sharìa nella sua globalità come diritto divino, ma è impensabile che possa rispettare davvero tutte le disposizioni.

La sharìa in primo luogo si richiamo al Corano, ma poiché il Corano contiene solo poche disposizioni giuridiche, l’esempio e i comportamenti di Muhammad vengono considerati normativi ed innalzati al valore di fonte legislativa.

Riguardo alla componente umana nell’accertamento del diritto, si sono formate cinque scuole diverse:

 

- quattro dell’islam sunnita (hanifita, malikita, shafiita, hanbalita)

- una dell’islam sciita (gli imamiti)

 

I principi normativi della sharìa regolano tre settori:

 

- il diritto commerciale/patrimoniale (l’obbligo della elemosina, imposte di successione, tassa speciale per ebrei e cristiani, la terra non appartiene a nessuno ma al massimo ci può essere il diritto d’uso del singolo, il divieto di usura, etc…)

- il diritto penale (la morte per chi rinnega la religione, il diritto di indennizzo, la legge del taglione, il divieto di bevande alcoliche, etc…)

- il diritto di famiglia (un musulmano può sposare anche una ebrea o cristiana, mentre una musulmana non può farlo, una donna musulmana ha l’obbligo di fedeltà assoluta e di sottomissione al marito, le donne hanno meno valore in fase di testimonianza, di un uomo, le case dei non musulmani non possono essere più alte di quelle dei musulmani, etc...)

 

Bisogna però sottolineare che, in pratica, la sharìa non è una realtà giuridica in nessun paese; l’islam è molto meno monolitico di quanto credano spesso i cristiani e sostengano volentieri i musulmani stessi. Tipico esempio è l’Indonesia: pur avendo il 90% della popolazione musulmana, solo circa il 10% prende sul serio i propri doveri religiosi.

 

“Non vi sia costrizione nella Fede: la retta via ben si distingue dall’errore”  (sura 2,256)

 

Il cammino lungo la strada del dialogo è da definirsi, nella migliore delle ipotesi, non facile. I punti di disaccordo sono innumerevoli e apparentemente inconciliabili. Quando si tenta di dialogare, i musulmani accusano i cristiani di proselitismo e di favorire intenzionalmente l’occidentalizzazione e la secolarizzazione; d’altra parte i musulmani stessi credono che un dialogo davvero aperto possa solo condurre a una conversione all’islam. Si tratta di una logica circolare dalla quale difficilmente se ne esce.

 

Il contrasto più profondo sta nel fatto che Cristo nel Corano è ridotto a semplice profeta, mentre per i Cristiani Dio ha parlato attraverso Gesù e non Muhammad. Ancor meno conciliabile sono le differenze teologiche relative a Dio. I musulmani sostengono un monoteismo assoluto che è inconciliabile con la figura di Cristo quale Figlio di Dio. Per i musulmani, i cristiani avrebbero falsificato le scritture per sostenere le loro dottrine. La redenzione del genere umano per mezzo della morte di Cristo resta assolutamente inaccettabile per un musulmano. Considerando che l’immagine divina è in stretta relazione con l’identità di entrambe le religioni, il dialogo ha fino ad ora portato onestamente a pochi sviluppi. “Oggi le due religioni non riescono proprio ad ascoltarsi a vicenda”.

 

Negli ultimi 25 anni il dialogo ha preferito dedicare maggiore intenzione a problemi più concreti e considerati più urgenti di quelli teologici, come per esempio gli interventi di soccorso. Coloro che vivono negli slums e nelle bidonvilles non sanno che farsene dei valori religiosi e morali; le questioni pratiche devono essere preferite a quelle teologiche. L’agire comune avrebbe potuto rappresentare un motivo fondato e legittimo di dialogo: l’azione comune a favore delle persone è sicuramente motore e fulcro del dialogo islamo-cristiano.

 

Ma la critica musulmana, con le sue accuse di proselitismo, ha limitato di molto anche questa possibilità. Essi sospettano sempre che i cristiani intendano fare proselitismo a causa della loro impostazione di fondo indirizzata alla diaconia. In considerazione della particolare impostazione dei problemi, è già un successo che queste due religioni riescano a continuare gli incontri per sondare la natura delle questioni.

 

L’islam ha indubbiamente molti valori religiosi degni di essere sottolineati. Si pensi ad esempio all’importanza di rivolgersi a Dio in momenti precisi della giornata (persino i ristoranti o i bar nei paesi musulmani hanno uno spazio per la preghiera), l’enorme rispetto per le figure bibliche e anche per lo stesso Gesù di cui si parla in modo del tutto particolare (nato da una vergine, rapito in cielo alla presenza di Dio, l’unico profeta di cui si dice che tornerà una seconda volta), etc…

Ma è anche vero che i musulmani, come dice lo stesso Corano, dovrebbero informarsi maggiormente su Cristo e sul cristianesimo.

 

Come scrive Mohammad Talibi, “Il dialogo richiede una pazienza lunga, ci fa continuamente accostare l’uno all’altro, ci fa godere l’amicizia invece della negligenza e dell’inimicizia … Il dialogo non comporta l’arrivo a delle soluzioni comuni, e non richiede d’imporre l’accordo tra i due interlocutori, ma il suo scopo è di fornire la discussione di elementi di chiarificazioni dei problemi”.

 

Nonostante gli sforzi passati, ad oggi possiamo dire che l’unico aspetto veramente importante in comune fra l’Islam e la religione cristiana è “la fede”. Certo, guardando a tutti gli sforzi compiuti potrebbe sembrare un po’ poco, ma senza dubbio è il migliore dei fondamenti sul quale poggiare le speranze future.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Cristianesimo e Islam in Dialogo, J. Sperber, 2004 Ed. Claudiana

Il Corano, 1994 Ed. Al Hikma

L. Vischer, Cristen un Muslimen im Gesprach, EK 2 (1969), p.273.

Mohammad Talibi: "L’Islam: Libertà e Dialogo", casa editrie Annahar, Beirut, Libano, 1999, pag. 19-23



 

 

 

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