N. 85 - Gennaio 2015
(CXVI)
NEWTON: L'UOMO CHE MISE LE BRIGLIE ALLA “FORZA MISTERIOSA”
La Legge gravitazionale come base esplicativa di ogni fenomenologia
di Carlo Ciullini
Con
i
Philosophiae
Naturalis
Principia
Mathematica
si
chiude
il
cerchio
virtuoso
che,
cronologicamente,
distingue
la
Rivoluzione
Scientifica.
Rivoluzione
che
prese
avvio
dalla
stesura
copernicana
del
De
Revolutionibus:
siamo
nel
1543,
e il
processo
evolutivo
del
fenomeno
si
compendia
in
un
secolo
e
mezzo
circa,
alimentato
da
uomini
prodigiosi
quali
lo
stesso
Copernico,
Tycho
Brahe,
Keplero,
Galileo
e
Newton.
Con
l'inglese
si
procede
a un
simbolico
passaggio
di
testimone,
essendo
l'astronomo
pisano
morto
l'anno
antecedente
la
sua
nascita.
Dalla
fisica
sperimentale
galileiana,
fatta
di
osservazioni
su
moti,
velocità
e
accelerazioni,
e
perciò
definita
cinematica,
si
passa
a
quella
dinamica.
Newton,
infatti,
unì
agli
studi
del
toscano
un
fondamentale
esame
delle
forze,
attrici
basilari
della
sua
fisica
universale:
universale
perché
relativa
a
ogni
realtà
concreta
e
applicabile,
in
via
teorica
e
sperimentale,
a
ciascun
fenomeno
si
manifesti
attorno
all'uomo.
Con
Newton
nasce
dunque
quella
fisica
classica
su
cui
poggia,
oggi,
il
nostro
rapporto
quotidiano
con
l'esistente.
Il
titolo
dell'opera-cardine
dello
scienziato
britannico
contiene
in
sé
il
fondamento
del
suo
pensiero,
cui
gli
altri
concetti
vanno
subordinatamente
ad
allacciarsi.
Il
grande
libro
della
natura
è
scritto
in
linguaggio
matematico;
in
ciò
risulta
evidente
la
liaison
con
il
convincimento
di
Galileo:
“La
filosofia
è
scritta
in
questo
grandissimo
libro
(io
dico
l'universo)
[...]
in
lingua
matematica,
e i
caratteri
son
triangoli,
cerchi
e
altre
figure
matematiche,
senza
i
quali
mezzi
è
impossibile
a
intenderne
umanamente
parola”.
La
meccanica
newtoniana
è
pertanto
di
carattere
razionale
perché
basata
su
principi
matematici:
si
osservano
dunque
i
fenomeni,
da
cui
per
induzione
si
determinano
le
leggi
della
dinamica,
e
parimenti
si
procede
dalle
leggi
alle
dimostrazioni
sperimentali
(è
il
momento
della
deduzione).
Costruendo
le
fondamenta
del
mondo
fisico
e
naturale
con
i
mattoni
impastati
di
assiomatica
matematica,
Isaac
Newton
evidenzia
come
ciò,
e
soltanto
ciò,
sia
rampa
di
lancio
per
una
successiva
discussione
teoretica
sull'ordinamento
del
sistema
dell'universo
e
sulla
filosofia
naturale
nella
sua
più
pura
accezione.
Per
filosofare,
secondo
lo
scienziato
inglese,
è
necessario
seguire
alcune
regole
ferree;
esse
sono
compiutamente
elencate
nel
terzo
libro
dei
“Principia”,
e
aderiscono
al
pensiero
induttivo:
la
natura
è
semplice:
dunque
non
si
devono
ricercare
cause
in
numero
maggiore
a
quello
necessario
a
spiegare
il
fenomeno;
a
effetti
naturali
dello
stesso
genere
vanno
attribuite
cause
di
egual
tipo;
le
qualità
dei
corpi
nella
loro
massima
e
piena
espressione,
non
aumentabili
né
diminuibili,
e
che
è
possibile
riscontrare
in
tutti
i
casi
sperimentali,
sono
da
attribuirsi
a
tutti
i
corpi
in
generale;
in
filosofia
sperimentale
le
proposizioni
ricavate
per
induzione
dai
fenomeni
vanno
considerate
vere,
e
sostenute
come
tali
sino
al
sopraggiungere
di
fenomeni
che
controvertano,
in
tutto
o in
parte,
le
relative
teorie.
Newton
assurge
perciò
al
ruolo
di
principale
ispiratore
della
metodologia
scientifica
moderna:
in
essa
si
compendiano
e si
equilibrano
esperienza
empirica
e
scienza,
posta
sempre
e
comunque
al
vaglio
della
matematica.
Il
periodo
aureo,
intellettuale
e
produttivo,
di
Newton
può
estendersi
al
1687,
anno
in
cui,
ormai
quarantacinquenne,
sublima
i
propri
studi
con
i
Principia
Mathematica.
Aveva
studiato
a
Cambridge,
al
Trinity
College,
per
poi
divenire,
ad
appena
ventisette
anni,
titolare
della
cattedra
lucasiana
di
Matematica,
sostituendo
nella
carica
Barrow,
suo
principale
insegnante
negli
anni
precedenti.
Con
i
Principia
la
sua
popolarità
accrebbe
ai
vertici
massimi:
le
funzioni
pubbliche
che
ricoprì
(direttore
della
Zecca
Reale,
presidente
della
Royal
Society
nel
1703,
e
nel
'05
baronetto
d'Inghilterra)
lo
allontanarono
via
via
da
una
vita
ritirata
e
volta
esclusivamente
allo
studio.
Nel
1727,
sepolto
a
Westminster,
entrò
nel
novero
degli
immortali
del
suo
paese.
Negli
anni
della
sua
gioventù
e
della
prima
maturità
(“Nel
fiore
dell'età
creativa...”,
come
egli
stesso
li
definì),
Newton
compì
gli
studi
più
importanti,
i
cui
risultati
maggiormente
proficui
trovarono
realizzazione
nel
periodo
1965/66,
allorquando
lo
scienziato
si
rifugiò
nella
natia
Woolsthorpe
per
evitare
la
peste,
che
imperversava
allora
in
gran
parte
dell'isola.
Fu
in
questo
biennio
che
Newton
teorizzò
le
basi
fondamentali
della
sua
legge
gravitazionale,
della
sua
matematica
e
dell'ottica.
Tralasciando
gli
aspetti
più
prettamente
legati
agli
elementi
scientifico-teorici
delle
varie
materie,
va
evidenziato
comunque
lo
scontro
che
le
scoperte
newtoniane
esercitarono
con
le
teorie
fin
lì
seguite.
In
campo
ottico,
l'esperimento
cruciale
del
“doppio-prisma”
mise
in
evidenza
la
natura
semplice
dei
colori,
che
solo
unitamente
determinano
la
luce
bianca:
ciò
portò
alla
confutazione
della
“Teoria
modificazionista”
di
Cartesio,
il
quale
sosteneva
essere
la
luce
bianca,
in
realtà,
scomponibile
nei
colori.
La
sua
idea,
presentata
alla
Royal
Society
nel
1677,
incontrò
aspre
critiche,
cui
Newton
rispose
con
il
saggio
Una
ipotesi
per
spiegare
le
proprietà
della
luce.
Si
tratta
di
un
compromesso
tra
teoria
corpuscolare
e
ondulatoria:
la
luce
è
formata
da
particelle
che,
in
azione
nell'etere
(cioè
un
fluido
elastico
onnipervasivo),
lo
fanno
vibrare.
Tale
vibrazione,
a
sua
volta,
determina
contrazioni
e
dilatazioni
dell'etere
che
trasmettono
alle
particelle
stesse
le
proprietà
periodiche.
In
campo
matematico
l'inglese,
che
aveva
attinto
a
opere
come
la
Geometria
di
Cartesio
e l'
Arithmetica
infinitorum
di
Wallis
cozzò
a
livello
teorico
con
la
formulazione
di
Leibniz
del
calcolo
infinitesimale:
il
filosofo
tedesco,
in
pratica,
giunse
più
o
meno
ai
medesimi
risultati
indipendentemente,
e
attraverso
un
proprio
tragitto,
pubblicando
tuttavia
alla
fine
del
suo
lavoro
i
risultati
dei
suoi
studi
(a
differenza
di
Newton);
li
possiamo
riassumere
nella
teoria
del
calcolo
differenziale
e
sommatorio.
La
scoperta
newtoniana
per
eccellenza,
ad
ogni
buon
conto,
è
quella
della
Gravitazione
Universale,
espressa
compiutamente
nei
Principia:
“Tutti
i
corpi
nell'universo
si
attraggono
reciprocamente
con
una
forza
che
è
direttamente
proporzionale
al
prodotto
delle
loro
masse,
e
inversamente
proporzionale
al
quadrato
della
loro
distanza”.
È
dopo
più
di
un
ventennio,
dal
periodo
del
ritiro
forzato
di
Woolsthorpe,
durante
il
quale
aveva
gettato
le
basi
teoriche,
che
lo
scienziato
annuncia
al
mondo,
con
la
sua
opera,
la
grande
Legge,
una
legge
applicabile
a un
numero
enorme
di
fenomeni
naturali
e
fisici
sia
terrestri
che
celesti.
Le
influenze
su
Newton
di
Galilei
e
Keplero
sono
palesi:
la
Legge
di
gravitazione
universale
articola
e
spiega
meccanicamente
ciò
che
in
precedenza
era
stato
intuito
con
esattezza
dai
due
astronomi,
sia
in
campo
sperimentale
che
osservativo,
attraverso
gli
studi
sui
gravi
e
sulle
orbite
spaziali.
Con
lo
scienziato
britannico,
finalmente,
trova
piena
definizione
scientifica
quella
“forza
misteriosa”
(la
gravitazione,
appunto)
che
si
riscontrava
pervadere
ogni
aspetto
della
realtà
fisica.
Fondamentale
è
tuttavia
la
distinzione
che
Newton
opera
tra
la
legge
stessa
e la
sua
causa:
la
legge
è
stata
inferita
dai
dati
empirici
e
osservativi,
e
pertanto
è
stato
sospeso
ogni
giudizio
sul
reale
motivo
della
gravità;
in
filosofia
sperimentale,
egli
ritiene
non
debba
esserci
spazio
per
le
“ipotesi”.
I
Philosophiae
Naturalis
Principia
Mathematica,
usciti
la
prima
volta
nel
1687,
grazie
anche
al
contributo
editoriale
dell'astronomo
Halley,
ebbero
due
ulteriori
edizioni:
nel
1713,
curata
da
Cotes,
matematico
e
autore
della
prefazione
all'opera
(cui
si
aggiunse,
rispetto
alla
prima
edizione,
lo
Scolio
generale,
in
cui
Newton
trattava
della
propria
teologia
naturale
e
della
causa
gravitazionale);
e
nel
1726,
curata
da
Pemberton,
con
ulteriori
aggiunte
newtoniane
circa
la
resistenza
dei
mezzi,
le
comete
e la
Luna.
L'opera,
divisa
in
tre
libri,
serba
una
struttura
assiomatica:
alle
Definizioni
meccaniche
(la
quantità
di
materia,
di
moto,
la
forza
insita
della
materia,
la
forza
impressa
e la
centripeta)
fanno
seguito
gli
Assiomi
del
moto
che
si
aprono
ai
vari
teoremi,
lemmi,
corollari.
I
tre
libri
trattano
in
modo
organico
rispettivamente
di:
Moto
dei
corpi
nel
vuoto;
Moto
dei
corpi
nei
mezzi
resistenti
come
l'aria
e
l'acqua;
Il
Sistema
del
mondo.
In
ambito
descrittivo
possiamo
dare
un
breve
sguardo
alle
tre
fondamentali
leggi
della
dinamica
newtoniana,
leggi
contenute
sempre
nei
“Principia”:
ciascun
corpo
persevera
nel
proprio
stato
di
quiete
o di
moto
rettilineo
uniforme,
a
meno
che
sia
costretto
da
forze
impresse
a
mutarlo
(Principio
d'inerzia);
il
cambiamento
di
moto
è
proporzionale
alla
forza
motrice
impressa,
e
avviene
lungo
la
linea
retta
secondo
la
quale
la
forza
è
stata
impressa
(Legge
fondamentale
della
dinamica);
a
ogni
azione
corrisponde
un'azione
uguale
e
contraria
(Principio
di
azione
e
reazione).
L'argomento
che,
da
un
punto
di
vista
storico,
ci
colpisce
maggiormente
è la
diatriba
a
distanza
tra
Newton
stesso,
sostenitore
di
una
concezione
assolutista
e
Leibniz
(ancora
lui!),
araldo
invece
di
un
approccio
relazionale
al
tempo
e
allo
spazio.
Per
l'inglese
la
realtà,
essendo
creazione
di
Dio,
non
può
che
assecondarne
l'assolutezza
(immateriale
e
immutabile)
e
pertanto
tempo
e
spazio,
massime
espressioni
dell'esistente,
non
possono
non
manifestarsi
in
modo
assoluto,
a
prescindere
cioè
da
un
soggetto
esterno
che
vi
si
ponga
in
relazione;
per
il
filosofo
tedesco,
invece,
la
realtà
esiste
concretamente
solo
perché
avvertita
come
tale
da
corpi
che
entrino
in
relazione
con
essa.
La
visione
teologica
di
Newton
al
riguardo
fu
ampiamente
sostenuta,
in
un
carteggio
di
contrapposizione
con
Leibniz,
da
eminenti
figure
come
quella
di
Clarke.
Al
metafisico
lo
scienziato
inglese
ricorreva
anche
nella
sua
analisi
delle
“Stelle
fisse”,
corpi
astrali
immobili
nella
sfera
celeste,
a
onta
della
legge
gravitazionale:
la
loro
fissità
viene
giustificata
dall'intervento
divino,
che
la
determina
provvidenzialmente.
Un
ultimo
aspetto
ci
preme
sottolineare,
a
conclusione
di
questa
disamina
del
Newton
storico:
malgrado
egli
abbia
rappresentato,
e
rappresenti
tutt'oggi,
uno
dei
massimi
simboli
delle
capacità
razionali
dell'intelletto
umano,
anche
Isaac
Newton
non
seppe
sciogliersi
appieno
dall'abbraccio
fascinoso
dell'occulto
e
dell'ermetico.
Portò
infatti
avanti,
nel
corso
dell'intera
esistenza,
studi
alchemici
e di
interpretazione
biblica
e
cabalistica,
volti
a un
sapere
esoterico
e
riservato
a
pochi
eletti.
Fu
uomo
moderno,
anzi
dotato
di
mente
anticipatrice
dei
tempi,
il
genio
inglese:
tuttavia,
qualcosa
dei
legami
ancestrali
con
il
“non-razionale”
persiste
anche
in
una
figura
come
la
sua.