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N. 98 - Febbraio 2016 (CXXIX)

IS

BREVE ACRONIMO, GRANDE TERRORE

di Francesca Zamboni

 

IS, ovvero Stato Islamico, è il nome assunto da un anno a questa parte dal gruppo terroristico capeggiato da Abu Bakr al-Baghdadi. Un acronimo che incute terrore, perché se prima si chiamava ISIS (Islamic State of Iraq and Siria) delimitando l'area geopolitica d'azione, adesso con la nuova denominazione si indica un intento espansionistico che va oltre quegli Stati e quei confini creati dopo la Prima Guerra Mondiale dalle potenze coloniali europee sulla base dell'accordo di Sykes-Picot del 1916, che stabilì appunto la spartizione tra Francia e Inghilterra dei territori dell'oramai sconfitto Impero Ottomano; una spartizione che portò alla nascita di Iraq, Siria, Arabia Saudita, Palestina, Libano e Transgiordania.

 

E gli attentati del 13 novembre a Parigi sono la prova lampante della natura espansionistica del nuovo Califfato Jihadista. Infatti neanche un anno dopo l'attentato alla rivista satirica “Charlie Hebdo”, la Francia torna a essere la vittima prescelta di un terrorismo potente, feroce e spietato, dove in nome di Allah e di ovvi interessi economici si mietono vittime in un tranquillo venerdì sera parigino; perché l'intento dell'IS non è solo sconfiggere il nemico occidentale, l'apostata, gli sciiti, ma è dimostrare la capacità distruttiva del risorto Califfato con modalità kamikaze che, utilizzate su territorio europeo, aprono la porta a un terrorismo mai visto prima.

 

Un Califfato tuttavia dai connotati ambigui che si esprime con imprevedibile brutalità per concretizzare e avvalorare la nascita di un vero e proprio Stato sunnita.

 

Il messaggio è pertanto chiaro, ovvero la restaurazione dell'Islam delle origini, il cui pilastro resta la Sharia nella sua veste più estrema.

 

Al-Baghdadi si è dichiarato il Khalifa, il legittimo successore di Maometto, sostenendo l'importanza di emulare non solo il profeta, ma anche i suoi quattro successori che hanno guidato i musulmani dopo la sua morte, sperando inoltre di ripetere lo splendore religioso, militare e organizzativo che caratterizzò l'ascesa e l'espansione dell'Islam.

 

Un obiettivo che se per certi aspetti lo accomuna ad al-Qaida, per altri se ne distacca. Perché se per Osama Bin Laden il nemico per eccellenza era l'Occidente, incarnato dagli Stati Uniti, per l'IS adesso il nemico è l'Europa. Ma quello che sconvolge di questo nuovo Stato Islamico è la capacità di produrre scompiglio, causando a livello sociale un'intensa ondata di islamofobia verso i musulmani semplicemente credenti negli Arkan al din (i cinque pilastri).

 

Ne è infatti derivato un atteggiamento discriminatorio che ha creato una vera e propria confusione linguistica e concettuale tra il termine musulmano e islamico e facendo di conseguenza di tutta l'erba un fascio.  Perché se è pur vero che musulmano e islamico sono due sinonimi che nella lingua araba significano sottomissione a Dio, è anche vero che c'è una distinzione nata nel tempo. Parlo di tempo perché la prima organizzazione politica islamica radicale si chiamava “Fratellanza musulmana”, dimostrando come il dubbio tra i due termini possa essere del tutto lecito.

 

Tuttavia gli eventi hanno giocato un ruolo importante e l'Islamismo radicale ha dunque operato una distinzione secondo cui l'islamico è il militante per Dio la cui lotta comprende politica, religione e Stato. Con il termine musulmano viene indicato invece il credente mite che segue gli aspetti formali della fede.

 

Ovviamente si tratta di una distinzione in continua evoluzione, legata al continuo divenire dell'Islam politico e sorretta dal principio dell'ortoprassi, secondo cui è più importante quello che si fa rispetto a quello in cui si crede.



 

 

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