N. 110 - Febbraio 2017
(CXLI)
Una
nuova opportunità per l’Irlanda del Nord
Un Regno non troppo Unito
di Gian Marco Boellisi
In
quest’epoca
di
radicali
cambiamenti,
sia
dal
punto
di
vista
politico
sia
da
quello
sociale,
gli
ordini
e le
istituzioni
costruiti
nel
secolo
scorso
passano
sempre
più
in
forse.
Accordi
di
pace
ed
equilibri
geopolitici
diventano
sempre
più
precari,
esiliati
da
nuove
esigenze
economiche
e
politiche.
L’esempio
che
riguarda
noi
europei
più
da
vicino
è
costituito
dalle
spinte
centrifughe
che
stanno
portando
sempre
più
paesi
a
criticare
aspramente
l’Unione
Europea.
Lo
stato
che
ha
preso
decisioni
maggiormente
vincolanti
a
riguardo
è
senza
dubbio
la
Gran
Bretagna,
la
quale
con
il
referendum
sulla
cosiddetta
“Brexit”
sembra
aver
deciso
di
allontanarsi
definitivamente
dal
percorso
comunitario
intrapreso
alla
fine
del
secondo
conflitto
mondiale.
Oltre
alle
ripercussioni
estere,
le
quali
ancora
oggi
sono
tutte
da
misurare,
vi
sono
alcuni
fattori
che
sono
emersi
proprio
negli
ultimi
giorni
di
gennaio.
Infatti
il
presidente
dello
Sinn
Féin,
il
movimento
indipendentista
irlandese,
Gerry
Adams
ha
commentato
l’imminente
uscita
dell’Inghilterra
dall’Unione,
constatando
che
essa
potrebbe
portare
a un
depauperamento
degli
accordi
di
pace
tra
Irlanda
del
Nord
e
Regno
Unito
e
quindi
ad
una
nuova
stagione
di
instabilità
politica.
L’Irlanda
del
Nord
fu
creata
nel
1921,
in
seguito
a
una
legge
del
parlamento
inglese
in
cui
il
suolo
irlandese
veniva
diviso
tra
una
repubblica
del
nord
ed
una
del
sud.
Nel
1922
lo
stato
del
sud
sarebbe
diventato
l’Irish
Free
State,
ovvero
lo
Stato
Libero
d’Irlanda,
mentre
il
gemello
del
nord
sceglieva
un
percorso
maggiormente
legato
all’Inghilterra.
Ciò
poiché
qui
risiedeva,
e
risiede
tuttora,
una
maggioranza
della
popolazione
lealista
alla
corona
inglese
e di
fede
protestante,
desiderosa
di
rimanere
all’interno
della
giurisdizione
della
corona.
Tuttavia,
una
consistente
minoranza
era
costituita
da
cattolici
nazionalisti,
i
quali
hanno
sempre
voluto
vedere
un’unica
repubblica
d’Irlanda
unita.
Sin
da
quando
avvenne
la
divisione
dei
due
stati,
le
due
comunità
nel
nord
hanno
sempre
avuto
una
convivenza
travagliata,
segnata
da
continue
tensioni
sociali.
Queste
sono
sfociate
in
un
conflitto
vero
e
proprio
negli
anni
’60,
il
quale
durò
a
più
riprese
per
circa
30
anni,
causando
4.000
morti,
più
di
50.000
feriti
e
portando
anche
le
azioni
terroristiche
all’interno
di
Londra.
Nel
1998
infine
si
riuscì
a
trovare
un
compromesso
tra
le
due
parti,
con
l’accordo
che
passò
alla
storia
con
il
nome
di
Accordo
del
Venerdì
Santo.
Il
patto
prendeva
in
esame
vari
aspetti,
amministrativi
e
non,
dei
rapporti
tra
l’Irlanda
del
Nord,
quella
del
Sud
e il
Regno
Unito.
In
particolare,
venivano
chiariti
i
rapporti
dell’Irlanda
del
Nord
all’interno
del
Regno
Unito,
quelli
tra
l’Irlanda
del
Nord
e la
Repubblica
d’Irlanda
e
quelli
tra
la
Repubblica
d’Irlanda
ed
il
Regno
Unito.
In
un
contesto
tanto
travagliato
si
inseriscono
le
affermazioni
del
leader
dello
Sinn
Fèin
Gerry
Adams.
Presenziando
a
Dublino
a un
convegno
sul
futuro
dell’Irlanda,
egli
ha
definito
la
Brexit
“un
atto
ostile”
nei
confronti
della
parte
settentrionale
dell’isola,
poiché
minerebbe
le
basi
degli
accordi
di
pace
del
1998.
Infatti,
secondo
Adams,
essa
ricreerebbe
un
confine
tra
Irlanda
del
Nord
e
Sud,
ma
soprattutto
cancellerebbe
alcuni
patti
sui
diritti
umani
concordati
nei
trattati
di
pace.
Questi
verrebbero
a
cadere
automaticamente
dopo
l’uscita
della
Gran
Bretagna
dalla
UE
poiché
essa
non
riconoscerebbe
più
la
Corte
Europea
dei
Diritti
Umani,
garante
delle
suddette
norme.
Questa
sarebbe
un’occasione
imperdibile
per
gli
indipendentisti,
i
quali
troverebbero
così
il
cavillo
giuridico
per
re-iniziare
a
lottare,
politicamente
e
forse
anche
militarmente,
per
l’indipendenza
del
Nord.
Il
punto
a
favore
di
Adams
tuttavia
è la
visione
che
ha
per
il
futuro
dell’Irlanda.
Lo
si
potrebbe
accusare
di
voler
riportare
il
paese
alla
lotta
armata
degli
anni
’80,
ma
sarebbe
un
errore
grossolano.
Infatti
un’aggiunta
importante
al
suo
intervento
a
Dublino
consiste
nel
fatto
che
egli
vorrebbe
trattare
con
i 27
dell’Europa,
in
modo
da
garantire
una
partecipazione
della
propria
patria
ai
meccanismi
dell’Unione,
una
volta
uscita
la
Gran
Bretagna.
La
permanenza
in
Europa
del
Nord
potrebbe
rappresentare
quindi
il
principio
della
scissione
dal
governo
di
Londra
e
l’inizio
della
propria
autonomia.
Ricordiamo
che
nel
Nord
i
cittadini
si
sono
espressi
a
favore
della
permanenza
in
Europa
con
un
56%
di
maggioranza.
La
lungimiranza
e la
prosecuzione
della
politica
pacifista
sembrerebbero
quindi
gli
obiettivi
primari
di
Adams.
Il
movimento
indipendentista
sarebbe
ancora
maggiormente
favorito
in
questo
momento
dalla
recentissima
caduta
di
governo
nord-irlandese,
in
seguito
alla
quale
sono
state
indette
elezioni
il 2
marzo.
La
crisi
è
stata
innescata
dalle
dimissioni
del
vice-premier
Martin
McGuinness,
uno
dei
maggiori
esponenti
dello
Sinn
Féin
ed
ex
comandante
dell’Ira,
l’esercito
indipendentista
clandestino
irlandese.
La
decisione
sarebbe
stata
presa
in
segno
di
protesta
contro
la
Premier
unionista
Arlene
Foster,
accusata
di
aver
usato
in
modo
ambiguo
un
discreto
quantitativo
di
denaro
pubblico
quando
ricopriva
la
carica
di
Ministro
delle
Finanze
tra
il
2015
ed
il
2016.
Rompendo
la
coalizione
di
unità
nazionale
che
sorregge
il
governo
sin
dagli
accordi
di
pace
del
1998,
il
futuro
politico
del
paese
rimane
quanto
mai
incerto.
Infatti
non
è
chiaro
se
indipendentisti
ed
unionisti
si
coalizzeranno
nuovamente
per
guidare
l’Irlanda,
soprattutto
con
l’incertezza
Brexit
gravante
sugli
accordi
di
pace.
Lo
stesso
McGuinness,
prima
di
andarsene,
ha
affermato
che
l’obiettivo
dell’Irlanda
unita
è
ancora
l’obiettivo
primario
del
partito.
Per
quanto
il
futuro
politico
dell’Irlanda
sia
incerto,
la
sua
classe
dirigente,
o
quanto
meno
una
parte
di
essa,
sembra
essere
conscia
della
direzione
da
intraprendere.
La
prosecuzione
di
una
politica
di
distensione
all’interno
dell’arcipelago
britannico
sembra
essere
sicuramente
uno
degli
obiettivi
principali
dello
Sinn
Féin,
il
quale
non
vorrebbe
vedere
interrompersi
una
linea
positiva
iniziata
nel
1998.
Tuttavia
questi
buoni
propositi
devono
scontrarsi
anche
con
le
correnti
estremiste
interne
alla
propria
linea
di
pensiero,
ovvero
quei
nostalgici
dell’Ira
che
vedono
nel
conflitto
armato
l’unica
via
per
raggiungere
la
sovranità
di
un’Irlanda
unita.
Gli
anni
dei
cosiddetti
“Troubles”,
ovvero
del
conflitto
nordirlandese,
hanno
dimostrato
esattamente
il
contrario.
Ora
più
che
mai
l’Irlanda
del
Nord
potrebbe
volgere
a
proprio
vantaggio
la
crisi
e lo
sconvolgimento
che
porterà
all’interno
della
Gran
Bretagna
la
Brexit
e
ottenere
quella
sovranità
e
unità
nazionale
che
tanto
ha
desiderato
e
per
cui
ha
tanto lottato.