LA TEOCRAZIA
"SVELATA"
L’IRAN TRA PATRIARCATO E LIBERAZIONE
di Francesca Zamboni
"Tagliare" e "svelare" sono i due verbi
carichi di azione attorno ai quali
stanno ruotando le proteste e le lotte
delle donne iraniane dopo la morte di
Mahsa Amini e non solo. Perché dopo il
suo decesso altre ragazze hanno perso la
vita al grido dello slogan curdo “Donne,
Vita, Libertà”: Hadis Najafi, Nika
Shakarami, Hananeh Kia e Ghazale
Chelave.
Un modo per protestare non è solo
scendere in piazza o bruciare l’hijab,
ma ce n’è un altro, carico di pathos:
il taglio dei capelli, un gesto
simbolico, appartenente alla cultura
persiana e mediorientale; è utilizzato
per esprimere un immenso dolore in caso
di lutto o come segno di protesta contro
l’oppressore. In alcuni villaggi
dell'Iran le giovani vedove sono solite
appendere i propri capelli tagliati e
intrecciati agli alberi. E nel gesto vi
è tutta la rabbia della perdita, della
tristezza, ma anche della voglia di
combattere contro il lutto e
l'oppressione che, nelle rivolte
attuali, viaggiano spietatamente
all’unisono.
L’unica via di fuga, al momento, resta
la protesta così come il taglio, non
solo metaforico, con una cultura
teocratica, sorda alle richieste di
donne piegate, ma non stanche abbastanza
per continuare a combattere, svelando i
propri desideri; mostrando capelli,
volti, sorrisi senza il timore di essere
punite dalla polizia morale.
Quindi "svelare" nell’accezione del
termine: togliere il velo, ma anche
manifestare e rivelare. E questi restano
gli obiettivi delle donne iraniane per
essere finalmente se stesse, libere da
precetti religiosi classici, dalla
connotazione politica in base ai quali
tutto deve essere giustificato.
Per fare alcuni
esempi, oltre all’obbligatorietà del
velo, le donne iraniane non possono
lavorare senza l’autorizzazione del
marito; allo stesso modo non possono
viaggiare, ottenere il passaporto,
scegliere i propri capi di
abbigliamento, andare in bicicletta o
allo stadio, cantare, ballare e studiare
in classi miste. In materia di
successione, la loro eredità ammonta
alla metà rispetto a quella degli
uomini. E per quanto concerne il diritto
di famiglia, non possono divorziare se
non in casi particolari. Da non molto
tempo le donne, inoltre non hanno
neanche il diritto di sottoporre a
screening il feto durante la gravidanza.
In questa situazione la donna iraniana è
praticamente cresciuta e non è più
disposta a essere uno strumento
politico, l’oggetto di un governo che
non ha mai risposto alle sue richieste,
oltretutto in un sistema teocratico in
cui il patriarcato eccelle. Per di più,
come già sottolineato, l’uso del velo
non è una pratica musulmana. Le origini
del velo risalgono a un’epoca precedente
all’Islam. Già nel XII secolo a.C. le
donne della Mesopotamia assira erano
costrette a indossarlo dopo il
matrimonio e nell’antica Grecia Elena,
la moglie di Menelao, si serviva di esso
ogni volta che si mostrava in pubblico.
Ma anche la fede cristiana ci dice che i
capelli sono sinonimo di bellezza e per
pudore devono essere coperti durante la
pratica religiosa. Solo pochi anni fa le
donne erano solite indossare il velo
durante la funzione della Messa.
Oggi però la religione non può essere
più una chiave di lettura univoca per
interpretare esigenze personali con
l’intento di risolvere problematiche
socio-economiche. La teocrazia iraniana
dopo 43 anni si è scontrata con un
universo composto da donne sempre più
preparate e consapevoli del loro mondo
interiore e di quello circostante, il
tutto al culmine di una crisi economica
iniziata nel 2018, anno dell’uscita
unilaterale degli Stati Uniti
dall’accordo sul nucleare iraniano.
Una rivolta che ha unito, coinvolgendo
più di ottanta città, uomini, donne,
giovani e anziani, superando antiche
divisioni etniche all'interno del paese
tanto da aver favorito un’apparente
distensione tra arabi turchi, curdi e
iraniani.
Mahsa Amini è il simbolo del
cambiamento, della protesta che unisce e
che molto probabilmente porterà l'Iran
al centro delle discussioni geopolitiche
partendo proprio dalla questione
femminile. Tuttavia ciò che spaventa è
il tentativo di voler sempre
giustificare una morte o una protesta da
parte di una forma di governo che non dà
risposte, ma solo contraccolpi. Pochi
giorni fa il presidente iraniano Ebrahim
Raisi aveva promesso l’apertura di
un’indagine sulla morte di Mahsa Amini.
L’esito autoptico, che avrebbe dovuto
rendere giustizia a chi non ha potuto
più farlo in un’aula di tribunale, è
ancora una volta la conferma
dell’attuale condizione della donna in
Iran.