N. 23 - Aprile 2007
BRACCIO DI FERRO TRA IRAN E ONU
Le nuove sanzioni
di
Leila Tavi
Dopo l’arresto dei
soldati britannici nel Golfo Persico è scoppiata la
crisi diplomatica tra Londra e Teheran.
Sabato 24 marzo i 15
membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU hanno
votato all’unanimità la risoluzione 1747, con
nuove più severe sanzioni contro l’Iran in risposta al
secondo rifiuto da parte di Teheran di sospendere il
programma di arricchimento di uranio in corso.
Il testo della
risoluzione è stato il risultato di un compromesso tra
la linea dura americana e i tentativi di mediazione di
Cina e Russia.
Al Ministro degli esteri
iraniano Manouchehr Mottaki, presente alla
discussione come sostituito del presidente
Ahmadi-Nejad, è stato permesso di intervenire solo
dopo la votazione.
Questa la sua
dichiarazione: “E’ una misura illegale, superflua e
ingiustificabile”.
La proposta del capo
dello Stato sudafricano Thabo Mbeki, presidente
di turno, di sospendere per 90 giorni l’embargo, così
da riprendere il dialogo diplomatico, è stata bocciata
dai cinque membri permanenti del Consiglio.
Le nuovi sanzioni
riguardano 12 mila società accusate di partecipare al
programma atomico; anche per la banca statale “Sepah”
è previsto dalla 1747 un embargo che, se
effettivamente applicato, avrebbe conseguenze
disastrose per la popolazione civile.
Un altro embargo è stato
deciso sulle esportazioni di armi convenzionali, nel
tentativo di bloccare la fornitura di armi agli
Hezbollah in Libano e ai gruppi armati sciiti
in Iraq.
Nel frattempo analisti e
opinionisti di tutto il mondo si affannano a
commentare l’articolo del giornalista russo Andrei
Uglanov, apparso nel mese di marzo nel settimanale
Argumenti nedely, in cui si rivela che
alle 4 del mattino del 6 aprile gli Stati uniti
attaccheranno l’Iran con un operazione militare
chiamata Bite (Morso).
Secondo le informazioni
fornite a Uglanov l’operazione dovrebbe durare per 12
ore, dalle 4 del mattino alle 4 del pomeriggio, per un
totale di 20 obiettivi tra cui, oltre agli impianti
nucleari, gli istituti di ricerca scientifica e
militare.
Per il primo massiccio
attacco dovrebbero essere utilizzati dei B-52,
di stazza nella base di Diego Garcia,
dall’estensione di 44 chilometri quadrati e ubicata in
un atollo delle Chagos, nell’Oceano indiano.
In un secondo momento
sarebbe mobilitati aerei da altre basi nel Golfo
persico e Afghanistan, nonché navi e
sottomarini.
L’impianto atomico di
Bushehr, in corso di realizzazione in
collaborazione con la Russia, non dovrebbe, per ovvie
ragioni di politica internazionale, essere bombardato
dagli aerei americani.
Il generale russo in
pensione Leonid Ivashov e attuale Vice
Presidente della Accademia delle scienze
geostrategiche di Mosca ha commentato l’articolo di
Uglanov in un’intervista pubblicata da
RIA-Novosti il 21 marzo scorso.
Ivashov si è dichiarato
convinto che un attacco all’Iran da parte degli Stati
uniti è più che probabile e che molto è dipeso dal
ritiro dell’emendamento posto dalla maggioranza
democratica alla House of Rappresentatives
sul bill per il ri-finanziamento della missione
in Iraq.
L’emendamento prevedeva
che, in caso di attacco all’Iran, il presidente Bush
avrebbe dovuto presentarsi prima davanti al Congresso
ed è stato ritirato a seguito delle forti pressioni
dell’AIPAC, l’American Israel Public Affairs
Committee.
Secondo l’ex generale
russo si tratterà esclusivamente di attacchi aerei che
potrebbero prevedere anche il lancio di armi
nucleari tattiche di dimensioni molto piccole
direttamente contro gli impianti nucleari sul
territorio iraniano.
Un operazione del genere
avrebbe come conseguenza il diffondersi dell’isteria e
del panico tra gli Iraniani, che porterebbe in breve
tempo a una generale situazione di caos e di
incertezza politica nel paese.
La recente storia
irachena si ripeterebbe anche in Iran, ma questa volta
gli Stati uniti si troverebbero a fronteggiare un ben
più temibile nemico e, per giunta, meglio equipaggiato
militarmente.
Ivashov parla poi nella
sua intervista di una possibile partizione
dell’Iran all’interno di uno schema generale
previsto dagli Americani per il Medio Oriente basato
su piccole regioni, sulla falsa riga del modello
applicato nei Balcani.
Un modello destinato a
fallire in Medio Oriente.
Gudrun Harrer in
un articolo per Der Standard, pubblicato
il 24 marzo scorso e intitolato Erinnerung an
Osirak, ha portato un interessante parallelo con
le parole di Catone circa la necessaria distruzione
dell’Iran e come oggi l’opinione pubblica israeliana
sia convinta che l’Iran, una volta in possesso
dell’arma di distruzione di massa, la utilizzerà per
annientare Israele.
In un possibile attacco
all’Iran gli Stati uniti agirebbero comunque soli,
perché un intervento militare israeliano in Iran
avrebbe dei grossi effetti collaterali nell’intero
Medio Oriente, quello che gli analisti internazionali
chiamano fallout politico.
Proprio nel momento in
cui l’iniziativa saudita cerca di ridare vita
all’iniziativa di pace del 2002 per Israele e
Palestina un coinvolgimento militare israeliano in un
conflitto con l’Iran sarebbe fatale. |