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N. 131 - Novembre 2018 (CLXII)

Caso Moro

Ipotesi e complottismo in tv

di Ilaria La Fauci

 

Il caso Moro ha generato caos e confusione e continua a farlo nonostante siano passati ben quarant’anni: si tratta di una delle vicende più complicate del mondo politico italiano, tutt’ora pieno di ombre e nodi difficili da sciogliere.

 

Esistono diverse forme di comunicazione attraverso cui il caso è stato spiegato e raccontato: libri, film, documentari e fiction; tuttavia rimane sempre un alone di mistero, qualcosa di non detto, qualcosa di non scoperto. Sono degli ottimi mezzi per tentare di spiegare un caso così complesso in cui a volte le parole non bastano.

 

Aldo Moro senza dubbio rappresentava un personaggio politico scomodo in un periodo come la guerra fredda: erano gli anni ’70, erano gli anni del terrorismo di piazza e della strategia della tensione. Era un periodo delicato ed era un rischio cercare di cambiare le cose: il 16 marzo 1978 ci sarebbe stata la presentazione del nuovo governo che avrebbe visto uniti la Democrazia Cristina ed il Partito Comunista Italiano, ma Moro, segretario della DC e promotore di questa unione, fu sequestrato lungo il tragitto.

 

L’agguato lasciò a terra la scorta e per Moro iniziò la prigionia che sarebbe durata ben 55 giorni: sarebbe stato interrogato dalle Brigate Rosse, processato dal Tribunale del Popolo, sarebbero state scritte lettere, sarebbero stati diffusi comunicati e poi sarebbe giunta la morte. Questo infelice e misterioso caso è stato più volte portato sul grande schermo e sono state avanzate ipotesi e congetture di tutti i tipi.

 

La prima trasposizione cinematografica avvenne nel 1986: il film “Il Caso Moro” diretto da Giuseppe Ferrara e con Gian Maria Volonté nelle vesti di Aldo Moro si basa sul libro di Robert Katz “I giorni dell’ira. Il caso Moro senza censure”.

 

In questo film emerge la versione delle Brigate Rosse: viene data attenzione al rapporto che i brigatisti avevano con Aldo Moro e cominciano ad emergere le prime ipotesi sul coinvolgimento del cosiddetto Stato Imperialista delle Multinazionali che avrebbero mandato Moro per distruggere la classe operaia seguendo le direttive di Washington. Nel frattempo Moro comincia a scrivere lettere che rimangono inascoltate dai politici che reputava amici e che invece diffondono la notizia secondo cui queste lettere non fossero autentiche.

 

Emerge la visione secondo cui il governo non si espone per salvaguardare la ragione di Stato e opta per la linea della fermezza. Le brigate rosse ammettono di usare le armi per intimorire lo Stato e creare un mondo per la classe operaia e nel frattempo continuano a scrivere i comunicati in cui propongono le loro condizioni per il rilascio del sequestrato. Fin quando emerge un falso comunicato secondo cui Moro sarebbe stato già ucciso e si scopre anche un covo brigatista: tutto questo porterà i brigatisti a spingersi sempre più oltre fino ad uccidere Aldo Moro.

 

Nella pellicola si ipotizza quindi una buona volontà brigatista che sarebbe stata virata dalla politica fino all’assassinio: si tratta del punto di vista dei brigatisti e rimarrà probabilmente sempre l’alone di mistero sulle reali intenzioni iniziali. Tuttavia rimane l’omicidio che, a prescindere dagli intenti, è opera delle Brigate Rosse il che li rende colpevoli tanto quanto chi non ha fatto il necessario per liberare il prigioniero.

 

Nel 2003 è stato fatto un film, “Piazza delle Cinque Lune” di Renzo Martinelli, in cui con una vicenda di fantasia si pone il punto sul memoriale di Moro: si tratta degli scritti del politico durante i 55 giorni di prigionia, in parte trovati nel 1978 e in parte nel 1990, su argomenti delicati quali Giulio Andreotti e l’organizzazione anticomunista Gladio.

 

Emergono ipotesi di coinvolgimento relativi a Hyperion, una scuola di lingue di cui alcuni intellettuali potrebbero essere la mente delle Brigate Rosse. La pellicola ha un finale amaro: il giudice che indaga sulla questione del memoriale, dopo diversi tentativi di attentato, viene bloccato e tradito.

 

Nel 2018, in occasione dei quarant’anni, sono stati realizzati diversi documentari.

 

“Il condannato – cronache di un sequestro” di Ezio Mauro ad esempio espone la verità giudiziaria odierna: le interviste dei testimoni pongono l’attenzione su diversi ambiti, dalla reazione universitaria alla famiglia, dalla politica alla Chiesa.

 

Le lettere di Moro sono state parzialmente lette e sono evidenti la progressiva disillusione e la delusione; nuovi testimoni sono stati interpellati in merito alla grave situazione di disagio e di paura che si scatenò dopo l’agguato e il sequestro. Anche in questo documentario si fa riferimento al possibile coinvolgimento di Gladio e dei servizi segreti; rimangono quindi, a distanza di quarant’anni, diversi sospetti, problemi da risolvere ed incongruenze tra le varie testimonianze.

 

Nel programma “M” di Michele Santoro è andata in onda una fiction di quattro puntate molto innovativa: non viene più raccontato il sequestro e l’agguato, ma la narrazione si concentra su ciò che avveniva tra i brigatisti, nei giornali, tra i politici, dal 1978 fino ai primi anni Novanta.

 

Un personaggio chiave della vicenda è infatti Mino Pecorelli: aveva fondato il giornale l’Osservatore Politico ed aveva una fonte su segreti che trascriveva nei suoi articoli; nella fiction si ipotizza un suo coinvolgimento nel rinvenimento del memoriale. Egli infatti lo avrebbe dovuto ricevere per pubblicare i segreti che vi erano contenuti, ma fu ucciso prima che gli fosse consegnato.

 

Nelle varie puntate emerge anche il coinvolgimento dei fascisti e della Banda della Magliana: a tal riguardo è frutto di fantasia la relazione tra la giornalista, personaggio del tutto inventato, e Toni Chichiarelli, il falsario che avrebbe scritto il falso comunicato numero 7, quello in cui si affermava che Aldo Moro fosse stato ucciso.

 

Questa storia del comunicato fu un’idea del magistrato Vitalone e dell’esperto in sequestri di persona Pietczenik: si dice fosse stato un tentativo per smuovere gli animi dei brigatisti e convincerli a rilasciare Moro.

 

Tuttavia i complottisti parlano anche di una spinta all’omicidio. Nuove ipotesi sul luogo della prigionia, sulle persone coinvolte e sulle dinamiche della vicenda. Tutto questo emerge da questa fiction: è rischioso mettere in scena storie simili, perché è indispensabile che vengano fatte ricerche approfondite sui personaggi da interpretare, al fine di rendere il più possibile la verità.

 

Da questi tentativi di rappresentazione sotto forma di film e documentari emerge la difficoltà nel narrare una vicenda che possa corrispondere alla realtà: ma come potrebbe essere possibile rendere una verità che non è stata ancora scoperta?

 

Si tenta di fornire una spiegazione, di trovare una soluzione, ma è difficile trovarle perché ci sono troppe parti buie che non saranno mai davvero portate alla luce e spiegate fino in fondo. Era un periodo delicato: era la guerra fredda, l’Italia era logorate da stragi di piazza e tentati omicidi.

 

Non sapremo mai la verità totale sulla situazione: si può solo accettare la complessità e cercare pian piano, anno dopo anno, di districare le fila di questa vicenda. La ricerca della verità è una ricerca continua, che dà i frutti dopo anni di ricerche e di ipotesi e riguarda tutti gli eventi storici.

 

Film e documentari sono un ottimo modo per parlare del passato, per trasmetterlo e comunicarlo alle nuove generazioni, tentando di lasciar fuori il complottismo e mettendo in luce il problema così come si presenta ad oggi, in un continuo tentativo di scoprire qualcosa di più e di mantenere il rispetto verso chi ha subito le atrocità del momento.



 

 

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