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N. 135 - Marzo 2019 (CLXVI)

SULLE INVASIONI BARBARICHE

Il Medioevo, tra passato e presente
di Giovanna D'Arbitrio

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta (S. Quasimodo)

 

Vengono in mente i versi di Quasimodo, quando molti parlano oggi di “un ritorno al Medioevo”, periodo storico ritenuto un concentrato di orrori ed efferatezze, immemori del percorso dell’Uomo sulla Terra segnato da lacrime e sangue ad ogni passo verso progresso e civiltà.

 

In effetti guardando in Tv terribili immagini di attentati terroristici, guerre, violenze su donne e bambini, migranti annegati nel Mediterraneo e continue violazioni dei diritti umani, ci sembra che l’Umanità abbia fatto un pauroso salto indietro nel tempo, allontanandosi da tutte le conquiste faticosamente realizzate.

 

Ci chiediamo allora se conosciamo a fondo il lungo periodo storico del Medioevo, ora tanto citato, nonché quale sia stato il giudizio critico su di esso attraverso i secoli.

 

Si definisce “Medioevo” – cioè “età di mezzo”, termine coniato nel XV secolo con accezione dispregiativa – il periodo storico che si estende dal V secolo al XV secolo, cioè dalla Caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., fino al 1492, anno della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo e viene di solito diviso in Alto Medioevo (476-1000) e Basso Medioevo (1000-1492).

 

In effetti dopo la sconfitta dell’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo nel 476, deposto da Odoacre, re degli Erulii, le invasioni barbariche segnarono l’inizio di una crisi che travolse l’Occidente europeo e che determinò una vera e propria rivoluzione politica, economica e culturale.

 

Il Medioevo per lungo tempo è stato rappresentato come un’epoca di decadenza, una sorta di buco nero, un periodo oscuro che affonda le sue radici nella vittoria dei barbari sulla civiltà, un’era di guerre e devastazioni, in particolare di “abbandono della cultura”.

 

Nelle Vite di Giorgio Vasari, pubblicate nella seconda metà del Cinquecento, si legge che gli uomini medievali “sebbene innanzi a loro avevan veduto residui di archi o di colossi o di statue, o pili, o colonne storiate, nell’età che furono dopo i sacchi e le ruine e gli incendi di Roma, non seppono mai valersene o cavarne profitto alcuno”.

 

Il disprezzo per il Medioevo continuò fino al XVIII secolo, sempre considerato come periodo storico grezzo e involuto.

 

Gli Illuministi, infatti, riconfermarono la condanna umanistica, giudicando il Medioevo come età di oscurantismo, superstizione, privilegi feudali e sperequazioni sociali e politiche, mentre gli scrittori preromantici e romantici lo esaltarono come epoca di ideali cavallereschi, ricca di sentimenti forti e spontanei.

 

Contro le razionalistiche istanze dell’Illuminismo, il Preromanticismo cominciò a esaltare i sentimenti e l’individualità singola dell’Io ripiegato in una malinconica solitudine, pervaso da una concezione pessimistica della realtà. Prevalevano tristezza, inquietudine, visioni notturne lugubri e sepolcrali, meditazioni meste sulla morte, un gusto per l’esotico e il sublime.

 

In tale atmosfera riscossero successo i Canti di Ossian, pubblicati nel 1760 dal poeta scozzese James Macpherson (1736-1796).

 

Ossian, ovvero Oisín, leggendario guerriero e bardo gaelico, figlio di Fingal (III secolo d.C)., fu forse tra gli autori dei poetici canti attribuiti ai bardi gaelici d’Irlanda e di Scozia. Sopravvissuti attraverso  la tradizione orale e in alcuni manoscritti dimenticati, furono raccolti da Macpherson in un volume anonimo, Fragments of Ancient Poetry collected in the Highlands of Scotland, centrato sulle storie di valorosi guerrieri, sfortunate coppie d’amanti, con sullo sfondo cimiteri, rovine di città: versi intrisi di una profonda melanconia e un intenso senso di vanità terrena.

 

Come afferma Mario Praz «nei primi anni, Ossian fu accolto in Europa con entusiasmo quasi unanime; alcuni videro la quintessenza stessa della poesia; il Diderot, squisito indice del nuovo gusto, esclamava: “Ce qui me confond, c’est le goût qui règne là, avec une simplicité, une force et un pathétique incroyables”».

 

Dopo una prima fase d’entusiasmo, sorsero i dubbi sull’autenticità di questi versi, ma i Canti di Ossian prepararono la strada al Romanticismo.

 

E oggi cosa pensiamo noi del Medioevo?

 

Benché la moderna storiografia tenda a rivalutarlo come una fase complessa, ricca di fermenti e di trasformazioni che contribuirono al consolidarsi della cultura europea, permane in noi una valutazione negativa, lontana dall’esaltazione preromantica e romantica per mancanza di una visione obiettiva che ne integri i contrastanti aspetti.

 

Basti pensare al titolo del film Le Invasioni Barbariche del regista Denys Arcand del 2003, usato per mettere in rilievo l’attuale crisi delle ideologie e la consequenziale deriva etica sotto i colpi delle “nuove orde barbariche che travolgono e distruggono tutto, guidate dal dio Denaro.

 

Non possiamo certo negare gli aspetti negativi del Medioevo, come guerre, efferate violenze, stragi, roghi, torture e iniquità, ma come non subire il fascino di saghe e leggende, di eroi mitici come Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda, del Cid Campeador, delle Chansons de geste (come la Chanson de Roland), dei Nibelunghi, di grandi poeti come Dante, Petrarca e Boccaccio, Geoffrey Chaucer, di mistici e filosofi della Patristica e della Scolastica, come Sant’Agostino, Tommaso D’Aquino, Meister Eckhart, Duns Scoto, Bernardo di Chiaravalle, di Avicenna e Averroè, delle grandi cattedrali in stile gotico e dei monasteri dove i monaci amanuensi preservarono importanti opere, del sorgere di università e castelli meravigliosi ancor oggi testimoni del passato e così via: potremmo continuare a discutere a lungo su un periodo storico molto esteso e ricco di aspetti contrastanti.

 

In effetti tutto il percorso storico dell’Umanità sembra caratterizzato dal dualismo tra il bene e il male e dai vichiani “corsi e ricorsi storici” che ci sollecitano a tener alta la guardia contro ogni ricaduta verso il basso, nella costante difesa di conquiste culturali e civili.

 

E concludiamo con gli ultimi versi dal già citato Uomo del mio tempo di Quasimodo che ci invita ad abbandonare gli orrori del passato:

 

E questo sangue odora come nel giorno

quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue.

Salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere.

Gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.



 

 

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