N. 70 - Ottobre 2013
(CI)
intrighi e calunnie alla corte di Maria Antonietta
Lo scandalo della collana
di Sonia Favale
Quando
il
15
Agosto
del
1785
il
cardinale
di
Rohan
veniva
arrestato,
si
concludeva
solo
in
parte
il
clamoroso
scandalo
della
collana,
la
vicenda
che
mise
realmente
in
crisi
la
monarchia
francese
contribuendo
a
sminuirla
ulteriormente
dinanzi
agli
occhi
del
popolo
francese,
e il
povero
cardinale
era
solo
uno
dei
protagonisti
dell’intricata
vicenda.
Al
centro
dello
scandalo
vi
era
una
collana
interamente
impreziosita
da
diamanti,
opera
del
gioielliere
Charles
Auguste
Bohmer
che
per
la
sua
grande
maestria
nell’ideare
splendidi
gioielli
si
era
meritato
il
titolo
di
gioielliere
della
regina.
La
collana
a
cui
Bohmer
aveva
dato
vita
con
l’aiuto
di
Bessange
si
presentava
come
un
imponente
pettorale
più
che
come
una
collana;
diciassette
grossi
diamanti
da
cui
partivano
grossi
festoni
con
al
centro
dei
pendentifs
a
forma
di
pera,
a
sua
volta
incorniciata
da
quattro
lunghe
fasce
di
diamanti
disposti
in
triplice
fila,
che
giungevano
fin
quasi
alla
cintura.
In
tutto
la
collana
raggiungeva
un
peso
di
2.800
carati.
La
collana
era
stata
creata
nella
speranza
che
Luigi
XV
la
regalasse
alla
sua
favorita,
madame
du
Barry,
ma
la
morte
del
re
aveva
infranto
le
speranze
di
Bohmer
che
ripose
le
sue
aspettative
in
Maria
Antonietta
che
aveva
già
mostrato
in
precedenza
di
gradire
i
diamanti.
Nel
1778
nacque
la
primogenita
di
Maria
Antonietta
e
Luigi
XVI
e al
gioielliere
parve
l’occasione
proficua,
dato
che
il
giovane
re
sembrava
intenzionato
realmente
nel
far
dono
alla
consorte
del
gioiello,
ma
la
regina,
forse
perché
le
sue
esigenze
iniziavano
a
cambiare
o
per
i
gravi
problemi
economici
legati
in
parte
al
fatto
che
la
Francia
avesse
investito
ingenti
somme
di
denaro
sotto
forma
di
aiuti
agli
indipendentisti
americani,
declinò
in
grande
stile
il
regalo
del
marito,
perché
difatti
troppo
costoso,
se
si
pensa
che
il
suo
valore
si
aggirasse
intorno
ad
un
milione
e
ottocentomila
livres.
I
gioiellieri
insistettero
anche
in
seguito
affinché
la
regina
cambiasse
idea,
fino
a
quando
Maria
Antonietta
non
pose
il
divieto
di
parlare
della
famigerata
collana.
Fu
allora
che
Bohmer,
intenzionato
a
vendere
il
suo
gioiello,
cercò
degli
intermediari
nella
persona
di
Jeann
de
La
Motte,
e la
vicenda
diventò
così
un
vero
e
proprio
intrigo
politico.
Jeanne
La
Motte
apparteneva
a
quel
genere
di
persone,
tra
le
più
pericolose
a
mio
dire,
che
arrivando
da
un
passato
di
privazioni
e
frustrazioni
sarebbe
stata
disposta
a
tutto.
Si
vantava
di
essere
una
discendente
dei
Valois.
Suo
padre
discendeva
da
un
ramo
bastardo
legittimato
di
Enrico
II
Valois,
il
barone
di
Saint-Remy,
ma
le
ultime
generazioni
si
erano
impoverite
sino
a
ridursi
alla
completa
indigenza.
Il
padre
di
Jeanne
aveva
peggiorato
ulteriormente
la
condizione
della
famiglia,
ricorrendo
a
espedienti
illeciti,
sposando
una
serva
e
dandosi
al
vizio
dell’alcool.
I
suoi
figli
vivevano
delle
elemosine
del
vicinato
e
quando
suo
padre
morì,
Jeanne
e i
suoi
fratelli
furono
costretti
a
mendicare
per
strada
al
grido
di:
“Abbiate
pietà
di
una
povera
orfanella
che
discende
in
linea
diretta
da
Enrico
II
di
Valois,
re
di
Francia!”.
La
sua
litania
quotidiana
attirò
l’attenzione
della
marchesa
Boulainvilliers
che
dopo
essersi
accertata
della
veridicità
delle
parole
della
piccola
Jeanne,
attraverso
una
documentazione
dell’albero
genealogico,
ottenne
per
la
piccola
e i
suoi
due
fratelli
una
piccola
pensione
dal
re e
sistemò
le
due
sorelle
in
un
convento
femminile
e il
piccolo
Jacques
in
un
convento
maschile.
Tra
le
speranze
della
nobile
benefattrice
c’era
quella
di
vedere
un
giorno
Jeanne
e
sua
sorella
prendere
il
velo
e
che
Jacques
diventasse
cavaliere
di
Malta.
Ma
le
sue
speranze
furono
disilluse
da
Jeanne
che
per
la
sua
infanzia
di
stenti,
umiliazioni
e
dolori
pretendeva
un
futuro
di
riscatto.
Il
sogno
di
Jeanne
era
quello
di
recuperare
le
terre
appartenute
alla
sua
famiglia,
riprendere
Fontette
(un
tempo
dei
suoi
avi)
e
ritornarvi
come
signora
del
paese.
Per
dimostrare
questo
aveva
solo
un
certificato
araldico
e un
forte
senso
di
rivalsa
che
l’aveva
resa
una
mitomane.
Dopo
aver
trovato
un
marito
nella
persona
del
conte
Marc
Antoine
de
La
Motte,
un
giovane
ufficiale
pieno
di
debiti,
Jeanne
si
trasferì
a
Parigi
dove
sperava
di
poter
entrare
a
corte
e
recuperare
quelle
che
erano
le
terre
appartenute
alla
sua
famiglia.
Fu a
questo
punto
che
entrò
in
gioco
il
cardinale
di
Rohan,
un
uomo
appartenente
al
una
nobile
famiglia
ma
ormai
caduto
in
disgrazia
alla
corte
di
Maria
Antonietta
per
aver
scritto
un
lettera
offensiva
su
Maria
Teresa,
madre
della
regina.
Jeanne
fu
abile
nel
legarlo
a sé
e
facendo
credere
di
essere
ormai
di
casa
a
Versailles,
cosa
non
vera
dato
che
le
sue
richieste
di
udienze
erano
state
sempre
respinte,
e
quando
la
giovane
donna
gli
chiese
di
raccomandarla
alla
regina,
lui
le
confidò
di
essere
ormai
lontana
dalle
grazie
di
Maria
Antonietta
e
Jeanne
comprese
che,
se
avesse
fatto
credere
al
cardinale
di
essere
riuscita
ad
entrare
nelle
amicizie
della
regina,
il
cardinale
le
avrebbe
concesso
qualsiasi
cosa
per
recuperare
la
stima
della
sovrana.
Iniziò
così
la
grande
truffa:
far
credere
al
cardinale
che
la
regina
avesse
cambiato
idea
su
di
lui
e
che
contemporaneamente
avesse
bisogno
del
suo
aiuto
economico.
Jeanne,
infatti,
faceva
credere
a
Rohan
che
la
regina
fosse
in
ristrettezze
economiche
e
avesse
bisogno
dell’aiuto
finanziario
del
cardinale.
Restava
una
macchia
scura
in
tutto
questo:
capire
come
mai
la
regina
non
volesse
incontrare
il
cardinale
o
facesse
finta
di
non
vederlo!
Ma
Jeanne
non
si
fece
problemi.
Bastò
dire
al
cardinale,
in
un
primo
momento,
che
la
regina
non
era
ancora
intenzionata
a
mostrare
in
pubblico
la
sua
ritrovata
benevolenza
verso
di
lui
e
successivamente
mise
in
scena,
aiutata
dal
marito,
una
bizzarra
scenetta:
fece
credere
al
cardinale
che
la
regina
volesse
incontrarlo
in
gran
segreto
nel
giardino
del
palazzo
di
Versailles
al
buio.
Il
ruolo
della
regina
fu
inscenato
da
Marie
Nicole
Leguay,
una
giovane
donna
che
viveva
vendendo
i
suoi
favori.
Il
cardinale,
colpa
del
buio
e di
tutta
la
situazione
ben
inscenata
pensò
di
trovarsi
davvero
dinanzi
a
Maria
Antonietta
e
quando
Jeanne
gli
fece
credere
che
la
regina
avesse
bisogno
di
lui
per
un
anticipo
di
pagamento
per
acquistare
la
famosa
collana
del
gioielliere
Bohmer
il
cardinale
non
perse
tempo
a
firmare
il
contratto
di
vendita
e
anticipare
una
rata
per
conto
della
regina.
Sua
Eminenza
non
poteva
immaginare
di
certo
che
la
collana
sarebbe
stata
fatta
in
mille
pezzi
da
Jeanne
e il
marito,
intenzionati
a
recuperare
tutti
i
singoli
diamanti
che
formavano
il
gioielli
per
poi
rivenderli
a
Londra.
La
situazione
precipitò
quando
le
rate
di
pagamento
iniziarono
ad
essere
posticipate
e i
gioiellieri
incominciarono
a
lamentarsi
del
tardato
pagamento.
La
contessa
La
Motte
riferì
ai
gioiellieri
che
Sua
Eminenza
avrebbe
pagato
per
la
regina
e al
cardinale
che
Sua
Maestà
con
un
brusco
voltafaccia
si
era
rifiutata
di
pagare
le
rate
successive
e
aveva
rotto
i
rapporti
con
lei;
contemporaneamente
si
affrettava
in
compagnia
del
marito
ad
acquistare
uno
dei
palazzi
di
famiglia
senza,
però,
sapere
che
la
sua
momentanea
fortuna
sarebbe
durata
appena
tre
settimane.
I
gioiellieri,
infatti,
si
rivolsero
direttamente
alla
regina
presentando
il
contratto
di
vendita.
La
regina
era
convinta
che
il
cardinale,
approfittando
del
suo
nome,
avesse
acquistato
la
collana
per
sé e
tutta
la
faccenda
era
resa
ancor
più
grave
dal
fatto
che
accresceva
le
ostilità
verso
di
lei
che
veniva
vista
ancora
una
volta
come
una
donna
frivola
e
disposta
a
spendere
qualsiasi
cifra
per
soddisfare
i
suoi
capricci.
Furono
avviate
delle
indagini
che
portarono
ad
un
processo
che
vedeva
sottoposti
Jeanne
La
Motte,
suo
marito
e il
cardinale
e
non
ultima
la
famosa
donna
che
aveva
interpretato
il
ruolo
della
regina
nel
celebre
incontro
tra
Maria
Antonietta
e il
cardinale.
Durante
il
processo
Jeanne
mantenne
un
atteggiamento
inizialmente
composto,
affermando
di
essere
all’oscuro
di
questa
faccenda
e
facendo
ricadere
le
colpe
sul
cardinale.
Fu
l’abate
Georgel
a
recuperare
delle
prove
per
scagionare
il
cardinale:
trovò
dei
testimoni
a
Londra
pronti
a
confermare
che
il
conte
La
Motte
avesse
venduto
i
gioielli
ricavati
dalla
collana
e si
mise
sulle
tracce
dei
complici
di
Jeanne.
La
fase
dell’istruzione
preparatoria
del
processo
si
concluse
con
l’arresto
del
cardinale
mentre
la
fase
definitiva
del
processo
vide
condannati
al
lavori
forzati
il
conte
La
Motte,
invece,
sua
moglie
veniva
considerata
colpevole
e
destinata
a
sopportare
il
marchio
su
entrambe
le
spalle
di
una
V di
voleuse
(ladra).
Il
cardinale
veniva
rinchiuso
nella
Bastiglia,
ma
per
poco,
in
quanto
i
giudici
lo
ritennero
una
vittima
della
contessa
La
Motte,
quindi
veniva
prosciolto
dall’accusa
anche
dal
popolo
che
esultava
al
grido
di:
“Viva
il
cardinale
innocente”;
la
regina
entrò
in
una
fase
di
sconforto,
era
stata
gravemente
offesa
dal
cardinale
e la
lesa
maestà,
di
cui
inizialmente
era
stato
accusato
il
Rohan,
non
aveva
più
senso
dato
che
non
c’era
una
maestà
da
tutelare.
In
tutta
la
faccenda
la
calunnia
aveva
avuto
un
peso
importante
specialmente
nello
screditare
la
monarchia.
Non
furono
mai
chiariti
alcuni
dubbi
circa
la
reale
partecipazione
della
regina
negli
intrighi
della
La
Motte,
fatto
sta
che
dopo
solo
una
anno
di
reclusione
la
contessa
uscì
dal
carcere
come
se
nulla
fosse
e
riparò
a
Londra
dove,
aiutata
da
alcuni
giornalisti,
iniziò
a
scrivere
delle
memorie
ricche
di
odio
nei
confronti
della
regina
e
nonostante
i
tentativi
da
parte
del
re
di
non
farle
pubblicare,
le
opere
vennero
stampate
e
aggravarono
ulteriormente
la
fama
della
reale
consorte.
Jeanne
cadde
in
un
giogo
più
grande
di
lei:
venne
manipolata
e
sfruttata
dai
nemici
della
corte,
finché
la
sera
del
12
giugno
1791,
ormai
presa
da
un
forte
esaurimento,
stremata
dalla
povertà,
sentendo
bussare
alla
sua
dimora
pensò
che
fossero
venuti
a
prenderla
per
arrestala
nuovamente
e si
lanciò
dalla
finestra.
Tre
anni
dopo
la
sua
nemica
Maria
Antonietta
si
apprestava
a
salire
al
patibolo
non
avendo
smentito
le
dicerie
sul
suo
conto,
ma
dando
una
grande
dimostrazione
di
dignità
e
accettazione
della
sentenza.