N. 21 - Febbraio 2007
IL MARE AL TELEFONO
Piergiorgio Welby in un’intervista a Marco Cappato
di
Alessia Ghisi Migliari
"Nella notte che mi avvolge,
nera come la voragine infinita,
ringrazio qualsiasi divinità vi sia
per la mia anima invincibile.
Stretto nella morsa della circostanza
non ho battuto ciglio o pianto ad alta voce
sotto le mazzate del fato.
La mia testa sanguina ma non si piega
Oltre questo luogo di odio e di lacrime
incombe solo l'orrore dell’ombra,
eppure la minaccia futura
mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non mi importa quanto angusto è il passaggio
o quanto pesante la sentenza,
sono il padrone del mio destino:
Sono il capitano della mia anima”
(Invictus, William Ernest Henley, 1875)
Era alto, un ragazzo che si nota, che aveva preso
dal padre sportivo.
Aveva senso dell’umorismo – e così fino alla fine.
Un vero esperto di cani – anche se la sua cultura
stava altrove, un altrove vastissimo, fatto di
letteratura e filosofia e arte: una di quelle
persone, probabilmente rare, con cui puoi parlare di
più o meno tutto, un tutto complesso, fatto di libri
e ironia e tenacia.
E ha abitato luoghi che i più di noi non conoscono,
anche loro profondi, crudeli e insieme
coraggiosissimi – e dove evidentemente c’era sempre
luce, perchè il suo pensiero era limpidissimo.
Si chiamava Piergiorgio Welby, e quindi non ha
bisogno di presentazioni.
E’ stato (non in ordine):
un leader politico
una vittima sfruttata (da quando in qua
l’intelligenza, quella intensa, la si può manipolare
e strumentalizzare...)
un uomo che non si è arreso
un poveretto che forse non aveva abbastanza affetto
una mente ferocemente schietta
un caso sfortunatissimo che non sa stare al suo
posto
un amante della vita
un’anima che non ha avuto nemmeno il diritto a un
funerale.
Poi, tu che non lo hai mai conosciuto, cerchi.
E leggi di un giovane che – all’inizio
dell’esistenza, circa quando costruisci progetti e
sogni – scopre che c’è una malattia.
Non guarirà, andrà peggiorando, ti fermerà piano
piano, malgrado tutte la forza con cui ti
aggrapperai a qualunque spuntone di speranza.
Ma va avanti, e diventa una persona estremamente
colta, con una propria lotta da portare avanti, con
una donna che ha deciso che starà con lui e lui
solo, malgrado tutto.
E vive – sempre più fermo fuori, con tutto quel
grande movimento dentro.
E non lo fa per un giorno, o un mese.
Ma per decenni.
Decide che quando sarà il momento non vorrà restare
attaccato a un ventilatore, ma nell’istante critico
la moglie (sempre lì, accanto, a capire parole che
gli altri nemmeno sentono) chiama aiuto.
E l’aiuto arriva – una macchina, e tu lì a letto.
Non per un giorno, o un mese.
Ma per anni.
Allora, a un certo punto, lui che scrive molto e
bene, che ha il suo blog, idee mobilissime e mai
banali, la famiglia, i suoi alleati, decide che non
ce la fa più.
Che non c’è più dignità, che è doloroso, che basta.
Ma – ahimè – non può.
Insomma, qualcuno dice che un pò di cristiana
sofferenza apre le porte di un magnifico aldilà, che
non puoi levartela tu, la tua vita: che diritto ne
hai?
Piuttosto si esprima nobile pietà (e la
compassione?, quella mai?), magari si preghi con
sguardo intenerito.
Tanto, poi, ci si può alzare, andare a casa,
muoversi, respirare, vivere, andare, fare.
E si sono visti decine di interventi in televisione,
di emeriti esperti spirituali e non, che muovendo
concitati le loro mani (loro che potevano) e alzando
la loro voce (loro che potevano) e sospirando
tristemente (loro che potevano), spiegavano che
c’era da capire certe richieste disperate, ma
davvero c’era altro in cui sperare, cui puntare.
Chissà quante di questi saggi conoscono così tanta
sofferenza, in loro o nei loro cari: stagione dopo
stagione immobili, prigionieri di un corpo, in uno
stato di costante pena e impotenza e voglia, una
voglia che ti strema, di potere uscire e tornare a
essere te.
Don Benzi ha parlato di carenze affettive,
altrimenti Welby non avrebbe desiderato morire –
così è come essersi dimenticato di una donnina
minuscola ed enorme che ha amato Piergiorgio con una
dedizione totale, una dedica all’altro che non ha
mai avuto sosta.
Inoltre, naturalmente, c’è la storia che non bisogna
essere così affezionati alla morte.
Piergiorgio, così denigrato e ferito, ha convissuto
per gran parte del proprio tempo con un corpo che
andava spegnendosi, però ha proseguito, inesorabile
quasi quanto la sua malattia, più della malattia,
con sempre maggiori limiti, ma perennemente
impegnato a essere sè. E questo si potrebbe definire
addirittura un amore devastante, per la vita.
Devastante.
Al punto che, quando non la poteva più avere, ha
deciso: meglio andarsene.
E non zitto zitto, come si riesce a fare, ma in un
modo che potesse servire ad altri.
E non si tratta di egocentrismo o narcisismo, ma di
una magistrale lezione, in un Paese che non spende
in ricerca scientifica, in terapia del dolore, ma
che non si perde una sillaba del Papa – siamo un
Res Publica nell’Anno Domini 2007.
Puoi accettare che la Chiesa esprima e sostenga il
proprio parere – ma non che lo si voglia far
divenire legge, applicabile a chiunque.
Un vero cristiano non accetterà mai di agire come
Piergiorgio – perfetto, sua scelta.
Ma un vero cristiano non pretenderebbe mai di
decidere per Piergiorgio.
Libero arbitrio – il diritto di essere ateo o altro,
di sancire che l’esistenza è mia, e quindi me ne
faccio tutore e responsabile e amministratore e
protettore.
Come fosse un crimine, come se ciò significasse non
essere individuo degno, e di cuore e di etica.
E allora , quando Welby segue la sua strada, ecco
che si decide: niente funerali religiosi.
Li si consente agli assassini, agli stupratori, ai
pedofili, a chiunque, questione di caritas.
Ma Piergiorgio ha davvero un pò esagerato, a voler
decidere per sè.
Mica che diventi un vizio, dice, chi evidentemente
ha il dono della Verità Assoluta (beati loro).
Forse è Dio, ad essere stanco di essere
strumentalizzato.
(E infatti molti non si ritrovano più in questa
Chiesa)
La vita ha bisogno di dignità.
E il dolore di umiltà e rispetto.
Piergiorgio non ha mai smesso la sua guerra, ma la
sua bara è stata lì, fuori, sul piazzale.
E quindi ti interessi, e leggi dal suo amico Sergio
Giordano i particolari di questo uomo, che avuto la
temeriarità di essere tale, e ha salutato il mondo
sulle note di Vivaldi (così, almeno, credente o no,
ha avuto accanto un sacerdote).
Sergio, “skipper (...) di questa zattera di pazzi e
di dannati” che Welby ha mantenuto in equilibrio fra
onde difficilissime, accontentandosi di sentire la
musica del mare solo al telefono cellulare.
Marco Cappato, Segretario dell’Associazione Luca
Coscioni e Deputato europeo radicale, in prima linea
nella vicenda Welby, ha accettato di rispondere a
qualche domanda:
D:
Il Vicariato di Roma ha impedito i funerali
religiosi. E’ stata netta, appellandosi a cavilli
legati al fatto che Piergiorgio avesse espresso più
volte, lucidamente, la sua volontà di morire. Qual’è
il significato di questa posizione?, cosa ha voluto
dire?, cosa ha finito per mostrare?
R:
Il Vaticano ha voluto dimostrare di non aver paura
di essere minoranza, di dare più importanza alla
rigidità della dottrina che al sentimento comune dei
fedeli. L’esempio del fondamentalismo islamico, cioè
di una organizzazione del culto inflessibile e
violenta che fa molti proseliti, ha forse una
competizione – oltre che un oggettiva alleanza
contro le libertà individuali – nella direzione
peggiore.
D: In quella che dovrebbe essere la
Repubblica, spesso si iniziano i telegiornali con le
ultime osservazioni del Papa.
Cos’è diventata, politicamente e culturalmente, la
Chiesa di Roma?
R:
Il Vaticano, la conferenza episcopale e i loro
addentellati parastatali e imprenditoriali, sono un
potere. Più acquistano autorità (potere temporale e
soldi), più perdono autorevolezza e sintonia con la
comunità dei credenti.
D:
Cosa più di tutto, nella storia di Welby, è stato
distorto e ha fatto sì che voi radicali e chi vi ha
appoggiato non siate stati compresi? Qual’è il
messaggio che non è passato?
R:
Sono passati i messaggi essenziali. Un certo
buonismo e i finti-laici, soprattutto a sinistra,
hanno cercato di esorcizzare il “pericolo” di una
legge sull’eutanasia dicendo che non si fanno leggi
su questioni così complesse. In realtà la legge c’è,
e tratta l’eutanasia come un omicidio. Ma credo che
la gente l’abbia capito.
D:
Cosa rispondi alla polemica sulla
strumentalizzazione di Welby?
R:
E’ un modo per dare a Welby dell’incapace di
intendere e di volere. Piergiorgio era invece un
leader politico. Lo sanno bene, per questo cercano
di disinnescarlo.
D: Non c’è stata coesione nelle posizioni dei
vostri colleghi politici. Nè da una parte, nè
dall’altra – ve lo attendavate?
R:
Il ceto politico ha paura della propria ombra, anzi,
dei propri elettori. L’eutanasia è un tabù solo per
i politici, non per i cittadini. Lo sapevamo. Per
questo il “caso Welby” è stato tanto dirompente.
D: Cosa dovrebbe essere la libertà
dell’individuo, oggi, in un Paese come il nostro?
Cosa eventualmente non le permette d’essere tale?
R:
Bisogna tornare ai fondamentali del liberalismo. Non
si proibiscono azioni che non danneggiano nessuno.
Non devono esistere crimini senza vittime. Purtroppo
il Potere continua ad avere bisogno di controllare
le persone, a partire dal loro corpo, dalle
questioni fondamentali di vita e di morte.
D: L’appoggio al caso Welby è stato dato
anche da persone cattoliche che vivono la loro
religiosità pienamente. Questo cosa ci dice?
R:
I sondaggi dicono che addirittura oltre la metà dei
cattolici erano con Welby. Per me è una conferma.
Negli anni ’70 i radicali non avrebbero ottenuto la
vittoria sui referendum su aborto e divorzio senza
il voto dei cattolici.
D: Eutanasia, accanimento terapeutico,
testamento biologico, ricerca sulle cellule
staminali. Sarà realmente possibile avanzare su
queste strade nell’Italia di oggi o di un domani non
lontano?
R:
Se dovessimo limitarci a fare previsione, avremmo il
dovere di essere pessimisti. Per fortuna possiamo,
ciascuno di noi può, fare qualcosa di concreto, per
far prevalere la logica delle idee, invece che la
logica delle cose. Ne approfitto per chiedere a chi
ci legge di contattarci, su www.lucacoscioni.it
D: Eluana Englaro – un dramma enorme. Sarà
possibile, colmando i vuoti delle leggi, permettere
a suo padre di realizzare il desiderio della figlia?
R:
Deve essere possibile. La magistratura finora non lo
ha consentito. A questo punto è probabile che
l’alternativa sia la riforma della legge, o la
disobbedienza civile. Sarà, naturalmente, il padre,
Beppino Englaro, a decidere. L’associazione Coscioni
darà tutto l’aiuto eventualmente richiesto.
D: Quanti anni ha trascorso a letto Welby?
R:
Nove anni, attaccato al respiratore artificiale.
D: Cosa ti ha lasciato, umanamente,
Piergiorgio?
R:
E’ l’ultima cosa che gli ho detto: una grande forza.
Indipendentemente dal credere o no, se esiste un
Dio, magari adesso è lì, accanto a Welby, a dargli
una bella pacca sulla spalla:
”Sono orgoglioso di te, ragazzo! Andiamo a farci una
passaggiata – dalla battigia, quassu, c’è una vista
magnfica. E, finalmente, una barca a vela tutta per
te – il vento qui non fa mai male”.
Luoghi che noi non possiamo sapere. |