N. 148 - Aprile 2020
(CLXXIX)
Intervista
sul
fascismo
a
Renzo
De
Felice
Un
doppio
problema:
il
fascismo
come
totalitarismo
di
sinistra
di
Francesco
Bernardoni
L’identificazione
del
Fascismo
come
totalitarismo
di
sinistra
è
ancora
oggi
un
doppio
problema,
come
lo
definiva
lo
storico
Renzo
De
Felice
nel
libro
Intervista
sul
fascismo
del
1975,
a
cura
di
M.A.
Ledeen.
Doppio
perché
riguarda
non
solo
il
termine
“totalitarismo”
associato
al
fascismo
italiano,
ma
anche
la
sua
collocazione
nell’area
di
sinistra,
almeno
all’inizio
del
suo
sviluppo.
Nel
corso
dei
suoi
studi,
De
Felice
aveva
elaborato
in
maniere
diverse
i
due
quesiti,
suscitando
molte
polemiche
e
delle
domande
che
sono
rimaste
a
volte
senza
risposta.
Lo
storico
riteneva
inizialmente
(specie
nel
periodo
dei
primi
lavori
sul
ventennio,
nella
biografia
di
Mussolini
o
nelle
Interpretazioni
del
fascismo),
che
il
fascismo
non
fosse
stato
in
realtà
un
vero
totalitarismo
al
pari
del
nazionalsocialismo
o
del
regime
comunista
sovietico.
Questo
perché
in
Italia
il
Partito
Nazionale
Fascista
era
stato
subordinato
al
potere
dello
Stato,
senza
un’identificazione
completa
dell’uno
nell’altro
e
senza
che
esso
diventasse
la
pietra
angolare
su
cui
costruire
pezzo
dopo
pezzo
un
regime
solido,
cosa
invece
avvenuta
nella
Germania
nazista
e
nella
Russia
di
Lenin.
Mussolini
era
arrivato
a
conquistare
il
potere
nel
1922
anche
in
virtù
di
una
serie
di
compromessi
con
la
vecchia
classe
dirigente,
con
gli
industriali,
con
la
monarchia
e
successivamente
lo
aveva
consolidato
prendendo
anche
accordi
con
la
Chiesa
(la
cosiddetta
Conciliazione,
sancita
dai
Patti
Lateranensi
del
1929).
Dal
1922
e
poi
più
intensamente
dal
1925,
superata
la
crisi
del
delitto
Matteotti,
il
fascismo
era
passato
da
“movimento”
a
“regime”,
modificando
sostanzialmente
buona
parte
del
suo
programma
iniziale
e
cominciando
un
progetto
di
“totalitarizzazione”
che
si
rivelò
molto
superficiale,
mostrando
scarsi
risultati
nonostante
la
propaganda
e
gli
sforzi
per
esaltare
l’apparenza
monolitica
del
regime
e la
riuscita
fascistizzazione
dello
Stato
italiano.
La
svolta
per
una
diversa
interpretazione
del
fenomeno
fascista
come
totalitario
avvenne
nel
1975
proprio
con
l’Intervista
sul
fascismo,
in
cui
De
Felice
riprese
il
concetto,
dichiarando
che
il
regime
fascista
era
stato
a
tutti
gli
effetti
totalitario
così
come
nazismo
e
comunismo
sovietico,
ma
lo
era
stato
più
nelle
intenzioni
che
nei
fatti.
La
spiegazione
dello
storico
era
incentrata
sulla
questione
dei
tempi
di
realizzazione
del
fascismo
come
totalitarismo,
tempi
che
in
Italia
erano
stati
assai
più
lenti
per
motivi
di
ordine
sociale
e
politico,
rispetto
a
Germania
o
Russia,
sia
per
la
nascita
di
diverse
correnti
in
opposizione
tra
loro
e
che
causavano
la
fragilità
della
struttura
interna
del
partito,
sia
per
l’incapacità
del
fascismo
“regime”
di
fascistizzare
la
popolazione,
già
accennata
in
precedenza.
Per
questi
motivi,
allo
scoppio
della
Seconda
guerra
mondiale,
c’era
stata
un’interruzione
di
questo
tentativo
destinato
a
rimanere
solo
sul
piano
teorico
e
nelle
intenzioni
del
duce.
Dunque,
almeno
per
il
momento,
De
Felice
riteneva
la
questione
chiusa,
sebbene
restasse
un’aporia
insoluta:
il
rendere
totalitario
il
fascismo
restava
un’ipotesi
storica,
senza
possibilità
di
verifica
sul
piano
pratico.
Effettivamente,
non
si
poteva
avere
la
certezza
di
cosa
sarebbe
successo
dopo
la
fine
del
conflitto,
anche
ammettendo
che
il
regime
di
Mussolini
ne
fosse
uscito
indenne,
anziché
sconfitto
e
distrutto:
questo
era
un
principio
contrario
a
un’analisi
storica
da
svolgersi
sulla
base
di
fatti
confermati
da
una
valida
documentazione.
L’altro
problema
era
la
collocazione
del
fascismo
nel
campo
della
sinistra:
com’era
possibile
definirlo
con
l’espressione
“totalitarismo
di
sinistra”?
Eppure,
la
tesi
non
era
nuova
né
all’estero
né
in
Italia,
poiché
era
stata
elaborata
da
un
altro
studioso
del
nazismo
e
del
fascismo:
Jacob
Talmon.
L’idea
di
Talmon
era
quella
per
cui
non
solo
la
nascita
del
fascismo
andava
collocata
subito
dopo
la
fine
della
prima
guerra
mondiale,
ma
consisteva
anche
nel
collegamento
del
fenomeno
a
una
lunga
tradizione
storica
dell’Europa:
“la
democrazia
totalitaria”,
un
concetto
formulato
sull’esempio
dello
Stato
immaginario
descritto
da
Rousseau
nel
suo
“Contratto
sociale”.
La
“democrazia
totalitaria”
è,
secondo
la
teorizzazione
dello
storico
israeliano,
un
tipo
di
democrazia
nella
quale
non
viene
garantita
la
tutela
della
minoranza,
oppure
una
democrazia
rappresentativa
dove
i
rappresentanti
sono
eletti
legalmente
e
difendono
l’integrità
dello
Stato,
ma i
cittadini
non
possono
partecipare
ai
processi
decisionali
del
governo.
Questa
democrazia
è di
tipo
plebiscitario,
nata
negli
anni
del
cosiddetto
“Terrore”
durante
la
Rivoluzione
francese
e
che
prosegue
come
una
costante
del
radicalismo
europeo
di
sinistra.
De
Felice
stesso
ricordava
il
collegamento
che
era
necessario
fare
tra
le
idee
giacobine
e
rousseauiane,
quelle
del
sindacalismo
rivoluzionario
di
Sorel
e le
teorie
di
Pareto,
che
avevano
influenzato
il
Mussolini
“rivoluzionario”,
acceso
socialista
massimalista.
De
Felice
ne
dava
una
spiegazione
molto
semplice,
mettendo
in
chiaro
due
cose:
la
prima
è
che
seppure
ci
fosse
un
collegamento
tra
le
radici
ideologiche
e
morali
del
fascismo
con
l’humus
della
Rivoluzione
francese,
ciò
non
vorrebbe
dire
che
senza
la
prima
guerra
mondiale
si
sarebbe
avuto
uno
sviluppo
del
fascismo;
la
seconda
riguarda
il
fatto
di
poter
fare
un
simile
discorso
per
il
fascismo
nella
fase
“movimento”,
ma
non
per
la
fase
“regime”.
Anzi,
il
fascismo
“regime”
si
sovrappone
ai
motivi
del
fascismo
“movimento”
con
motivi
di
tipo
tradizionalista,
di
totalitarismo
di
destra,
di
tipo
cattolico,
i
quali
stravolgono
tutto
il
panorama
e
prospettano
una
realtà
del
fascismo
che,
se
non
esaminata
accuratamente
e
senza
pregiudizi,
può
far
pensare
a
una
cosa
diversa.
D’altra
parte,
una
volta
divenuto
regime
a
partire
dagli
anni
Trenta
del
Novecento,
il
fascismo
poteva
sopravvivere
solo
con
una
decisa
svolta
a
destra
per
rendersi,
secondo
Mussolini,
più
autonomo
nei
confronti
delle
tradizionali
classi
dirigenti
e
per
aumentare
l’intensità
della
fascistizzazione
della
società
sul
piano
della
politica
interna,
mentre
in
politica
estera
era
necessario
un
cambiamento
per
potersi
allineare
con
la
Germania
nazista
e
perseguire
un
progetto
imperialistico
di
espansione
coloniale
(la
guerra
d’Etiopia
del
1936).
Riferimenti
bibliografici:
R.
De
Felice,
Mussolini
il
rivoluzionario,
1883-1920,
Collana
Biblioteca
di
cultura
storica,
Einaudi,
Torino
1965.
R.
De
Felice,
Mussolini
il
duce.
Vol.
I,
Gli
anni
del
consenso,
1929-1936,
Collana
Biblioteca
di
cultura
storica,
Einaudi,
Torino
1974.
R.
De
Felice,
M.A.
Ledeen
(a
cura
di),
Intervista
sul
fascismo,
Laterza,
Bari
1975.
J.L.
Talmon,
The
Origins
of
Totalitarian
Democracy,
Secker
&
Warburg,
Londra
1952.