INTERVISTA ALLE BRIGATE ROSSE
(nota: intervista ad opera di Mario
Scialoja pubblicata sull'"Espresso", n.1
del 5 Gennaio 1981)
DOMANDA. Dopo Moro, D’Urso: non è un
passo indietro rispetto al “livello
strategico”? Come lo spiegate?
RISPOSTA. E perché mai? L’azione Moro
era all’interno di una campagna
d’attacco allo stato imperialista che
cadeva in una fase di scontro diversa da
quella attuale. L’azione Moro segnava
allora il punto più alto di uno stadio
della guerriglia: quello della
propaganda armata. Si trattava ancora di
radicare nella coscienza proletaria la
necessità e la validità strategica della
lotta armata. La cattura di D’Urso
invece si colloca in una fase di scontro
più avanzata in cui la parola d’ordine
generale della guerriglia è: conquistare
e organizzare le masse sul terreno della
lotta armata per il comunismo.
D. Perché dite che la fase di scontro è
più avanzata?
R. La profondità della crisi
imperialista ha messo in evidenza la
totale estraneità dell’interesse
proletario dalle esigenze
capitalistiche. La ristrutturazione ad
ogni livello che sta avvenendo in
Italia, spinge interi strati di classe
sul terreno della lotta rivoluzionaria.
Questo stato è in grado di garantire
solo disoccupazione, supersfruttamento,
miseria e galera. I bisogni non solo
strategici ma anche quelli immediati e
materiali delle masse operaie e
proletarie in questo regime vengono
inesorabilmente e violentemente
schiacciati e annullati da un sistema di
potere che non ha più nulla da offrire,
impegnato solo a conservare se stesso.
La lotta che le masse operaie e
proletarie sviluppano per il
soddisfacimento dei bisogni immediati,
diventa di ratto scontro di potere. E
questo cambia tutto.
D. Ma le vicende Fiat non starebbero a
dimostrare il contrario?
R. La lotta Fiat ha espresso a livello
spontaneo e di massa contenuti autonomi
e di potere che non segnano affatto la
fine di un ciclo e delle sue illusioni;
ma, all’opposto, l’inizio di un nuovo
ciclo di lotte, covato in tutti questi
ultimi dieci anni, per quanto lungo
possa essere, per quanto difficili
possano apparire all’inizio le sue
condizioni di sviluppo. Per la prima
volta nella storia recente della lotta
di classe in Italia, l’antagonismo
proletario non si è espresso in un
rivendicazionismo che giocava al rialzo
rispetto alle piattaforme sindacali, ma
in obiettivi di potere contro un
progetto di annientamento politico, in
una difesa del posto di lavoro che
esaltava l’unità di classe, in
un’autonomia di classe che si è tradotta
in scontro di massa contro sindacati e
revisionisti, anche dove costoro hanno
tentato di cavalcare la tigre per
ucciderla meglio. Solo la grande
arretratezza che ancora dobbiamo
registrare nelle forze rivoluzionarie
non ha permesso che già da subito si
sedimentassero gli strumenti
organizzativi che potevano guidare lo
scontro di potere che oppone la classe
operaia Fiat al padronato.
D. In poche parole, voi dite che le
masse sono pronte a fare la rivoluzione?
R. ‘Non siamo così ingenui. Diciamo che
esistono oggi le condizioni oggettive e
soggettive perché si determini un
passaggio decisivo verso la guerra
civile per il comunismo. Esistono cioè
le condizioni perché dal movimento di
massa, che lotta contro la
ristrutturazione, nascano e si
consolidino organismi di massa
rivoluzionari che insieme al Partito
Comunista Combattente costituiscono una
determinazione fondamentale del potere
proletario armato. E’ questo
essenzialmente che costituisce il
cambiamento di fase di cui parlavamo. La
nostra linea politica deve quindi
svilupparsi in questa direzione e farsi
carico di tutti i problemi che la
costruzione del potere proletario armato
pone sul tappeto.
D. Questo significa forse che intendete
in qualche modo strumentalizzare le
tensioni sociali e cavalcare la tigre
dei movimenti spontanei?
R. L’esatto contrario. Non si tratta di
rincorrere ogni esplosione di rabbia
proletaria, ma di comprendere che queste
sono il prodotto di profonde cause
oggettive, che trovano la loro origine
nel fatto che il sistema capitalistico è
storicamente superato. Si tratta quindi
di cominciare a costruire la sua
alternativa. A partire dalle tensioni
fortemente presenti nei vari strati
proletari, dai contenuti delle sue
lotte, occorre favorire la definizione
dei “programmi immediati” su cui
estendere la mobilitazione, contribuire
all’affermazione ed al consolidamento
degli organismi rivoluzionari che ne
sono i promotori.
D. Ma queste non assomigliano alle tesi
dell’autonomia che avete finora
condannato?
R. Neanche un po’. Infatti il ruolo del
Partito Comunista Combattente non
scompare per dissolversi nella
spontaneità; anzi acquista ancora più
valore perché rispetto ai programmi
immediati e agli organismi di massa
rivoluzionari, il Partito deve ancor più
rappresentare il punto di riferimento
generale. Deve essere portatore del
programma generale di transizione al
comunismo, saperlo dialettizzare con i
momenti particolari espressi dalla lotta
dei vari strati operai e proletari.
L’iniziativa di partito in questo senso
è essenziale per riunificare
politicamente il proletariato. Come si
vede non c’è un cambiamento della nostra
linea strategica, ma un suo adeguamento
alle nuove formidabili condizioni che
schiudono grandi possibilità di
costruzione del potere proletario
armato.
D. Che c’entra tutto questo con il
sequestro D’Urso?
R. Che cosa c'entra lo saprebbero
spiegare benissimo i proletari
prigionieri. C’è una realtà che la
propaganda di regime mistifica o
nasconde. La crisi ha dilatato la fascia
proletaria espulsa dal processo
produttivo, relegata ad una condizione
di stabile emarginazione, priva di
reddito che ha nella extralegalità
l’unica possibilità di sopravvivenza. La
scomposizione di classe operata dalla
borghesia sulla pelle di centinaia di
migliaia di proletari ha il suo punto di
forza militare nel carcere imperialista.
Non solo ma l’attacco micidiale
scatenato da Agnelli ed i suoi accoliti
alla classe operaia occupata dovrebbe
passare con l’incarcerazione e la
distruzione delle avanguardie operaie e
proletarie. Le cifre parlano chiaro: più
di 35.000 sono i proletari incarcerati e
più di 3.000 i compagni nei campi di
concentramento.
D. Volete dire che non esiste la figura
del criminale comune e del prigioniero
politico?
R. Di criminali in questa società
conosciamo solo la banda democristiana e
le belve di regime. I proletari
incarcerati fanno parte a pieno titolo
del proletariato metropolitano, e nella
loro stragrande maggioranza hanno
identificato nella lotta per il
comunismo il loro interesse di classe.
Ciò è dimostrato dal fatto che la
criminale politica carceraria non ha
avuto successo grazie proprio alla loro
iniziativa di lotta; alla grande
mobilitazione che hanno saputo
realizzare sul programma lanciato dai
comitati di lotta dentro le carceri. Il
carcere imperialista è sì un punto di
forza militare per la borghesia, ma si
anche rivelato un momento di
ricomposizione politica del proletariato
e questo ha un enorme valore nel
complesso dei rapporti di forza tra
rivoluzione e controrivoluzione.
D. Ancora non avete spiegato cosa
c’entra D’Urso.
R. Se in questo momento il carcere è lo
strumento fondamentale della
controrivoluzione preventiva, attaccare
i vertici del Ministero di Grazia e
Giustizia che lo fanno funzionare è
attaccare il “cuore dello stato”. Aver
‘catturato D’Urso è già un grosso
successo politico che disarticola il
progetto nemico. ‘Ma di per sé sarebbe
insufficiente se questa azione di
guerriglia non fosse stata in stretta
dialettica con il movimento dei
proletari prigionieri e in sintonia con
gli obiettivi del programma immediato
dei comitati di lotta.
D. Con il sequestro D’Urso che obiettivi
vi siete proposti?
R. Essenzialmente due obiettivi.
Innanzitutto sferrare un colpo alla
strategia dell’annientamento proletario
di cui lo stato imperialista è portatore
e di inchiodare alle sue responsabilità
un maiale che dal Ministero di Grazia e
Giustizia impartiva gli ordini agli
aguzzini carcerieri. In secondo luogo —
ma ugualmente importante — è
un’iniziativa di partito che vuole
aprire nuovi spazi politici al movimento
dei proletari prigionieri e ai suoi
organismi; dargli quella voce che si è
conquistata con mille iniziative,
contribuire concretamente al
perseguimento degli obiettivi della sua
lotta.
D. Come era stato per Moro, avevate
studiato la possibilità alternativa al
sequestro di altri personaggi al posto
di D’Urso?
R. Di alternative ce ne sono sempre
parecchie. Tante quante sono gli uomini
e le strutture di questo regime. Prima o
poi il potere proletario armato si
occuperà di tutti. Per la guerriglia si
tratta di individuare in una precisa
congiuntura politica dove sta ‘il cuore
del progetto controrivoluzionario' e lì
sferrare i suoi colpi. Così è stato
fatto per Moro e così per D’Urso.
D. In cambio della vita di D’Urso cosa
chiedete esattamente?
R. Noi non chiediamo nulla. Non abbiamo
niente da chiedere a questo regime. I
nostri obiettivi strategici sono chiari
da anni: ‘distruzione' di tutte le
carceri e libertà per tutti i proletari
‘prigionieri‘. Quanto si riesce a
conquistare tatticamente all’interno di
questi obiettivi è determinato solo dai
rapporti di forza complessivi che il
movimento rivoluzionario è in grado di
stabilire. Mentre noi questi rapporti
sappiamo valutarli correttamente, non ci
sembra che questo regime sappia fare
altrettanto. Ma forse questo è un segno
della crisi in cui la borghesia si
dibatte e si ostina a non voler capire
che la guerra è fatta di battaglie vinte
e battaglie perse, e che questa l’ha
persa.
D. Come si sta comportando D’Urso?
R. Ottimamente. Collabora con la
giustizia proletaria. Oltre a confermare
i termini con cui hanno progettato
l'annientamento carcerario, ci ha
indicato tutti i suoi collaboratori
vicini e lontani.
D. Quanto durerà il sequestro D’Urso?
R. Noi siamo contrari ad ogni prigione
anche a quelle in cui siamo costretti a
rinchiudere i nemici del popolo. Quindi
D’Urso ci resterà solo il tempo
necessario per processarlo, per mettere
in chiaro le sue responsabilità, perché
possa essere emesso un giudizio secondo
la giustizia proletaria.
D. Il fatto di aver rapito una persona
senza scorta significa che avete ‘voluto
evitare i morti o che non eravate in
grado di rischiare uno scontro
“militare”?
R. Né l’uno né l’altro. I criteri, come
abbiamo già spiegato, con cui la
guerriglia attacca sono politici. Il
livello militare della forza da mettere
in campo viene di conseguenza, e
crediamo che sia ampiamente dimostrato
che non esiste obiettivo, per quanto
protetto, scortato e difeso, che non sia
raggiungibile.
D. Secondo voi perché nel giro di pochi
mesi, dopo anni di “tenuta”, militanti
come Fioroni, Peci, Viscardi, e, a
quanto pare anche vari brigatisti di
Genova, si sono messi a parlare?
R. Qui bisogna fare una distinzione
perché la controguerriglia psicologica
su questa questione ha pescato a piene
mani. Ha creato innanzitutto un
personaggio inesistente: “il terrorista
pentito”. Di pentimenti non se ne sono
visti né pochi né tanti. E’ accaduto
invece che alcuni individui che hanno
vissuto per anni parassitariamente sul
movimento rivoluzionario, hanno creduto
di fare il loro interesse arruolandosi
nei Carabinieri. In questo nuovo ruolo è
chiaro che hanno cercato di acquisire
dei meriti tra gli sbirri, col risultato
di far ammazzare numerosi compagni e di
farne arrestare molti altri. Questi
vermi non hanno fatto altro che
“confessare” ciò che serviva a questo
regime per mandare in galera centinaia
di compagni. Costoro sono delle tragiche
marionette a cui anche la giustizia
proletaria faticherà a dare un minimo di
dignità umana. Sono pochi ma abbastanza
perché il prezzo pagato dal movimento
rivoluzionario per non averli saputi
riconoscere per tempo, è molto alto. Una
critica in questo senso è già stata
fatta e per quanto ci concerne abbiamo
già saputo correggere ed adeguare al
nuovo livello di scontro le
discriminanti politiche che selezionano
i nostri militanti. Diverso invece è il
caso di altri compagni che sotto
l’interrogatorio, sotto tortura hanno
ammesso la loro partecipazione ad azioni
di guerriglia. E’ stato questo un
comportamento molto sbagliato,
determinato da poca chiarezza che ha
finito per coinvolgere altri compagni.
Neanche qui si tratta di pentimento ma
di incapacità di alcuni dl comprendere
le nuove condizioni dello scontro di
classe, i livelli di repressione dello
stato imperialista. Anche se ciascuno ha
le sue responsabilità, il problema è
essenzialmente di fare chiarezza. L’una
cosa e l’altra spettano al movimento
rivoluzionario che ha ‘sempre saputo
distinguere tra le debolezze che fanno
parte della sua crescita e i suoi
nemici.
D. Ma non si tratta più di alcune crisi
individuali: come fate ad escludere che
si tratti del fallimento di una linea
politica?
R. Quelle che sono entrate in crisi sono
state le linee spontaneiste e
militariste e con esse quelle frange che
facevano riferimento alla lotta armata,
che non hanno saputo comprendere le
mutate condizioni dello scontro. Infatti
chi aveva considerato la lotta armata
come una forma di lotta più radicale di
altre, anziché una strategia di lungo
periodo, di fronte alla virulenza della
controffensiva del regime si è trovato
politicamente disarmato ed ha finito
così per confondere la propria sconfitta
con quella del movimento rivoluzionario.
E questo proprio quando la lotta armata
ha esteso la sua influenza su ampi
strati di proletariato e si apre
storicamente la possibilità di un nuovo
grande salto in avanti
dell’organizzazione del potere
proletario. E’ necessario però che la
guerriglia si misuri con i problemi che
comporta l’organizzazione delle masse
sul terreno della lotta armata. Il
Partito Comunista Combattente dimostrerà
di essere tale principalmente nella
capacità che avrà di assolvere a questo
compito. Oggi solo chi non sa vedere
questa necessità è in crisi profonda.
D. Negate che vi sia una crisi delle
Brigate Rosse?
R. Le Br già nella Direzione strategica
del ‘78 avevano colto le novità che
contraddistinguono la fase attuale.
Nonostante ciò abbiamo avuto un certo
ritardo nello spingere a fondo la
critica e nell’assumere pienamente i
compiti che il movimento di classe ci
poneva. Ad esempio, con un certo
ritardo, dopo la campagna di primavera,
abbiamo capito che superare la fase
della propaganda armata pura e semplice,
voleva dire assumere il difficile
compito di agire nei diversi strati di
classe per dare concretezza di programma
alle spinte rivoluzionarie in esse
presenti e su questo programma
determinare il salto di qualità
dell’organizzazione delle masse. Un
grande dibattito che si è svolto negli
ultimi mesi, dentro e fuori
l’Organizzazione, ha portato oggi ad una
grande chiarezza ed ha consentito di
fissare nella Direzione Strategica
dell’ottobre ‘80 le linee fondamentali
della evoluzione politica che era
necessaria.
D. Come mai è stato reso pubblico il
contrasto tra la vostra Direzione
Strategica e la colonna Walter Alasia?
Il contrasto dura ancora? La Walter
Alasia ha partecipato al sequestro
D’Urso?
R. Il dibattito politico delle Br non è
mai stato segreto; è stato pubblico ed
ha coinvolto, oltre che, ovviamente, le
strutture della nostra Organizzazione,
l’intero movimento rivoluzionario. Il
peggior nemico con cui abbiamo dovuto
fare i conti in questo periodo è stato
una tendenza opportunista che ha
percorso tutto il movimento della lotta
armata e che aveva trovato qualche
seguace anche nella nostra
Organizzazione. Sconfiggere questo
nemico era indispensabile per
raggiungere una nuova e forte unità.
Averlo fatto con chiarezza è stato
necessario per dare un nuovo impulso
all’intero movimento, Nella colonna
Walter Alasia — che per storia e
tradizione di lotta è tra le più
valorose della nostra Organizzazione
—qualche compagno ha voluto insistere su
pratiche militariste e su una concezione
sbagliata della lotta armata. E quindi
se n’è andato per la sua strada. Questi
compagni non hanno più niente a che fare
con la nostra Organizzazione né con la
colonna Walter Alasia, anche se la loro
confusione li porta sovente ad
atteggiamenti scioccamente provocatori.
La colonna Walter Alasia saprà fare
chiarezza anche su questo, senza
tolleranze nei confronti delle linee
sbagliate e con la massima apertura
verso i sinceri rivoluzionari.
D. In alcuni vostri documenti avete
denunciato il fatto che dei “militanti
rivoluzionari” catturati sono stati
sottoposti a tortura: avete delle prove
precise e degli episodi da raccontare?
R. Non si tratta più di episodi, ma di
metodo diffuso adottato dagli sbirri di
questo regime. Praticamente ogni
compagno catturato viene portato
incappucciato in un luogo segreto e
sottoposto a sevizie di ogni genere. Non
c’è da stupirsi poiché le leggi speciali
di Cossiga sancivano proprio questo: la
libertà dei Carabinieri e della DIGOS di
avere i militanti rivoluzionari
catturati alla loro mercé per almeno
quattro giorni. E’ equivalso alla
legalizzazione della tortura. Un caso
per tutti, l’ultimo in ordine di tempo:
il compagno Maurizio Iannelli subito
dopo la cattura è stato portato
incappucciato in un appartamento segreto
e seviziato per due giorni. Solo per il
suo comportamento coraggioso è stato
possibile denunciare immediatamente
questo fatto che per altro la stampa di
regime si è affrettata a mascherare
secondo le veline governative.
D. Col senno di poi, la decisione di
“giustiziare” Moro si è rivelata per voi
un errore?
R. Il fatto stesso che ci venga posta
questa domanda a quasi tre anni da
quella battaglia, dà già la risposta. Se
dopo quasi tre anni le lacerazioni
apertesi nel gruppo di potere
imperialista non si sono ancora
ricomposte, non vediamo quale altra
azione di guerriglia avrebbe potuto
ottenere un successo maggiore.
D. Perché non avete detto niente
sull’accusa mossa ad alcuni arrestati
del “7 aprile” di essere membri della
vostra Direzione Strategica?
R. Ci sono stati gli arrestati del 7
aprile, dell’8 aprile, del 9 aprile...
Ogni giorno gli sbirri dei corpi
speciali arrestano decine di compagni.
Perché questa è l’essenza della
strategia dello stato imperialista:
annientare l’intero movimento
rivoluzionario. E’ questa linea che le
Br sono mobilitate a sconfiggere creando
l’alternativa del potere proletario
armato. Mettersi a discutere con qualche
giudice imbecille e forcaiolo non è
proprio la nostra linea politica. Per
capire il rapporto che ci lega alla
magistratura basta ricordare i nomi dei
giudici che abbiamo giustiziato.
D. Come giudicate i “terroristi pentiti”
e come mai su questo problema non sembra
abbiate dedicato molta attenzione?
R. Non è vero che non gli abbiamo
dedicato molta attenzione. Abbiamo già
detto che “il terrorista pentito” non
esiste, è un’invenzione della propaganda
di regime. Per quanto riguarda le spie
ed i venduti l’attenzione che gli
abbiamo dedicato è quella destinata
solitamente ai pidocchi: quando li si
scova li si schiaccia. La sorte che ad
essi tocca è già stata indicata, senza
equivoci nel carcere di Nuoro, alle
Nuove... D’altronde, d’ora in avanti.
costoro avranno paura persino della loro
ombra, perché è fuori di dubbio che sono
solo dei cadaveri ambulanti.
D. E’ vero che in seguito alle sconfitte
di Prima linea e di altre formazioni
minori molti militanti sono confluiti
nelle Br?
R. L’esperienza del movimento
rivoluzionario in questi anni si è
concretizzata in molteplici forme
organizzate che hanno espresso in modo
parziale aspirazioni, bisogni ed
esigenze che provengono dalle diverse
componenti del proletariato
metropolitano. Per fare un esempio
ricordiamo ciò che è stata l’esperienza
dei NAP e cosa ha rappresentato per il
proletariato prigioniero. Chi lavora per
costruire il Partito deve saper
ricondurre i momenti parziali in un
grande disegno unitario. E’ questo
quello che le Br hanno sempre fatto.
D. Cosa pensate degli appelli alla
diserzione che arrivano anche
dall’interno del partito armato?
R. Alcuni giovani rampolli della
borghesia, in tempi recenti, si sono
presi una vacanza ed hanno creduto di
poter giocare con la guerra di classe.
Oggi che lo scontro tra la borghesia e
il proletariato si pone in tutta la sua
durezza, proprio perché esistono le
condizioni di una grande avanzata
rivoluzionaria, la borghesia si ripiglia
i suoi figli. Noi vorremmo disertare
dalla catena di montaggio, dai lavori
nocivi e spesso mortali, dalla
disoccupazione, dall’emarginazione dei
quartieri-ghetto, dalla ferocia
dell’alienazione di questa società. Ma
non ci è possibile farlo piagnucolando
con i nostri papà. Per liberarci da
questa miseria dobbiamo combattere,
liquidare questo regime, costruire una
società comunista. Disertare dunque? Non
scherziamo, abbiamo appena cominciato.
D. C’è chi ha avanzato delle proposte di
amnistia: secondo voi un’amnistia
potrebbe servire ad arginare la spirale
della violenza e a rendere meno
“barbaro” lo scontro?
R. L’imperialismo punta allo sterminio,
ai campi di concentramento, per avere
una qualche possibilità di
sopravvivenza. E’ questo regime che è
barbaro e violento; è la banda
democristiana e i suoi lacchè che è
sanguinaria. Ci riesce impossibile
immaginare una società pacificata finché
costoro esisteranno sulla faccia della
terra.
D. Come facevate a conoscere
l’itinerario che Moro avrebbe seguito
uscendo da casa il 16 marzo? C’è chi è
convinto che abbiate avuto un basista
(volontario o involontario) presso la
sua famiglia (o gli amici): potete dirne
qualcosa?
R. Dopo dieci anni che esistono le Br
non avete ancora capito che
l’intelligenza proletaria e
l’organizzazione della guerriglia può
arrivare dove vuole. E’ solo una
questione di volontà politica e di avere
una concezione dell’organizzazione
adeguata ai tempi della rivoluzione
proletaria nelle metropoli imperialiste.
Per preparare, eseguire l’azione Moro ci
siamo serviti, come sempre, solamente di
queste armi.
D. Pensavate davvero di poter liberare
Moro vivo? Alla fine dei 55 giorni, in
cambio di che cosa ciò sarebbe potuto
avvenire?
R. Siete così abituati a costruire
verità di regime che ormai siete
prigionieri delle vostre stesse
mistificazioni. Ci sono ben 9 comunicati
di quel periodo, semplici e chiari che
ponevano la questione dei prigionieri
comunisti chiedendo la liberazione di
alcuni di essi. Una risposta positiva
che avesse dato la libertà ad alcuni
compagni, dicevamo che avrebbe senza
dubbio liberato il nostro prigioniero.
D. Come mai Moro, nelle sue lettere, non
ha mai nominato gli uomini della sua
scorta uccisi?
R. Perché, evidentemente, non gliene
fregava niente.
D. E’ vero che i brigatisti che avevano
in mano Moro hanno ritardato di 48 ore
l’esecuzione?
R. No.
D. E’ stato comunicato a Moro che
sarebbe stato ucciso? Come ha reagito?
R. Sì, gli è stato comunicato. La sua
reazione la potete leggere nei suoi
memoriali che abbiamo reso pubblici.
Proprio perché democristiano conosceva
bene i suoi “amici” di partito e non
aveva dubbi a chi attribuire la
responsabilità effettiva del fatto che
noi non avremmo sospeso la sentenza.
D. E’ vero che per sospendere la
condanna a morte di Moro sarebbe bastata
una dichiarazione di Fanfani sulla
disponibilità della DC ad aprire le
trattative?
R. Il problema che avevamo sollevato era
quello dei prigionieri. Era un problema
politico che i caporioni di questo
regime, terrorizzati non hanno voluto
affrontare. Hanno creduto di poter
cancellare un problema semplicemente
negando che esistesse. Se si tiene conto
che le forze rivoluzionarie ritengono
centrale questa questione — e la cattura
di D’Urso lo dimostra — si vede come
l’immobilismo, la “non lirica” suggerita
dagli specialisti americani agli ottusi
democristiani, non ha certo favorito
soluzioni diverse da quelle che abbiamo
adottato.
D. Si dice che, su indicazione di Moro,
qualche suo collaboratore vi abbia
consegnato dei documenti presi dal suo
archivio e che comprovavano delle
notizie che lui aveva fornito: è ‘vero?
‘Di quali documenti si tratta?
R. Non abbiamo avuto rapporti di alcun
genere con chicchessia. In quanto ai
documenti, ci bastavano quelli che
avevamo preso al momento della sua
cattura.
D. Ci sono state lettere che Moro ha
scritto, o voleva scrivere e’ che voi
non avete approvato o avete distrutto?
R. No. Tutto quanto ha scritto è stato
reso pubblico. E ci sembra sia
abbastanza.
D. Come è andata veramente la storia
dell’appartamento di via Gradoli?
R. E’ stato un banale incidente, uno
scarico era marcio e c‘è stata una
perdita d’acqua. Perché mai ci si vuole
vedere chissà quale retroscena, come se
non si sapesse di che cosa sono capaci i
palazzinari romani.
D. Molti (da Zaccagnini a Berlinguer, a
Pecchioli...) affermano che le Br sono
“dirette”, o comunque aiutate, da
qualche servizio segreto straniero: che
potete rispondere?
R. Questi egregi signori non dovrebbero
far altro che dire esattamente di che si
tratta, e dimostrare che non è solo
frutto della loro fantasia bacata. A noi
risulta che i servizi segreti e gli
sgherri di ogni tipo sono il loro
strumento privilegiato da usare contro i
proletari. Pur di negare una realtà che
non li fa dormire, hanno costruito la
favoletta del complotto straniero, e
delle oscure manovre. Ma a crederci
ormai sono rimasti soltanto loro e
qualche pennivendolo di regime. La
guerra proletaria cresce e non si
preoccupa molto delle loro stupidaggini.
D. E’ vero che parecchie armi ve le
forniscono i palestinesi dell'OLP? In
cambio di cosa?
R. Noi crediamo che nell’epoca della
guerra proletaria antimperialista debba
rinascere un nuovo internazionalismo
proletario; un internazionalismo fatto
di solidarietà concreta, di aiuto
militante, di sostegno politico tra le
forze che, nella lotta di liberazione
dei popoli contro l’oppressione
imperialista, combattono per il
comunismo. La retorica revisionista sa
concepire soltanto rapporti di pura
convenienza e di squallida e vile
strumentalizzazione dei movimenti
antimperialisti. Non è così per noi. La
nostra solidarietà al fianco del popolo
palestinese in lotta contro
l’imperialismo sionista è piena e
incondizionata. Non saranno certo le
calunnie di chi questa lotta l’ha solo
strumentalizzata che ci faranno cambiare
idea.
D. Avete rapporti, o contatti, con dei
quadri di base del PCI che non
condividono la linea del partito?
R. Il PCI sta percorrendo ormai le
ultime tappe di un irreversibile
processo di identificazione con gli
interessi della borghesia. Ad esso la
borghesia ha assegnato il ruolo di
essere lo Stato dentro la classe
operaia. In questo ruolo i
berlingueriani ci si trovano
completamente a loro agio. E’ evidente
che questa funzione controrivoluzionaria
produce contraddizioni al suo interno,
ma la falsa coscienza di quei proletari
che ancora hanno in tasca la tessera del
partito di Berlinguer, non può che
trasformarsi nella consapevolezza che
devono uscirne. La nostra strategia è di
conquistare ogni proletario, ogni
operaio, alla linea rivoluzionaria della
lotta armata per il comunismo e di
organizzarlo negli organismi che
costituiscono il sistema del potere
proletario armato. In questo lungo
processo anche le frange più arretrate
del movimento operaio sapranno prima o
poi riconoscere i loro interessi di
classe.
D. Come potete definire l’estrazione
politico-sociale dei vostri militanti di
recente acquisizione?
R. Quella di sempre. Le nostre radici
sono nel proletariato metropolitano ed i
nostri quadri provengono dalla sua
avanguardia. Il problema della
centralità operaia non è sociologico ma
politico. Vuol dire che è intorno
all’interesse della classe operaia che
si organizzano tutti gli altri strati
del proletariato. Ma non è neanche un
problema metafisico o idealistico e
pertanto i compagni delle Br sono
prevalentemente operai.
D. Avete avuto dei contatti politici (o
altro) con l’Albania?
R. No.
D. Cosa pensate del comunismo in URSS ed
in Cina? Per la futura società per la
quale dite di battervi avete in mente un
modello già realizzato, o descritto?
R. Le questioni dell’edificazione di una
società comunista non sono questioni da
poco e sulle quali è lecito pontificare
come se si trattasse di esperimenti di
laboratorio e non di un movimento che
riguarda miliardi di uomini in tutto il
mondo. I nostri riferimenti sono e
rimangono il marxismo-leninismo e la
rivoluzione culturale cinese. Siamo
abituati a considerare il comunismo non
come un modello, ma come un lungo
processo di dimensioni planetarie, che
non consente sogni immaginifici ma
richiede risposte storicamente valide.
Ciò non toglie che siamo fermamente
convinti che chi fa una politica
espansionista e di oppressione della
libertà dei popoli, qualunque sia il
nome che si dà, appartiene alla schiera
degli imperialisti.
D. A questo punto credete ancora di
poter suscitare un movimento
insurrezionale in Italia attraverso la
violenza politica?
R. Non abbiamo mai pensato ad una
esplosione insurrezionalista. Crediamo
invece nella possibilità storica di
costruire un sistema di potere
proletario armato attraverso un processo
di lunga durata. L’accumulo della forza
proletaria attraverso 1’ organizzazione
politico-militare delle due
determinazioni fondamentali, il Partito
Comunista Combattente e gli organismi di
massa rivoluzionari, attraverserà
un’intera fase storica. Non c’è dubbio
che questo non avviene linearmente, ma
per salti dialettici e che in definitiva
il pieno dispiegamento della guerra
rivoluzionaria distruggerà lo stato
borghese e costruirà la società
comunista. Questa per noi non è solo una
speranza, ma una certezza che si
alimenta delle ragioni e delle
aspirazioni del proletariato.
D. Il vostro ex capo colonna Riccardo
Dura, secondo la testimonianza di alcuni
“pentiti” genovesi, adoperava con i suoi
uomini dei metodi estremamente duri e
ricattatori: quello che si è detto è
vero? Che ne pensate?
R. Questa è la più schifosa e vigliacca
delle invenzioni della controguerriglia
psicologica. Roberto è Stato un grande
dirigente della nostra Organizzazione,
amato e stimato come pochi altri. Con la
sua umanità, con la sua capacità di
vivere da comunista insieme agli altri,
con la sua solidarietà verso i compagni
nei momenti più difficili ci ha dato più
di quanto i pennivendoli di regime
riusciranno mai a capire. Siamo
orgogliosi di averlo avuto accanto in
questi anni così come sentiamo nostri
fratelli tutti i compagni caduti per il
comunismo.
D. L’uccisione di proletari, semplici
uomini al di fuori dei giochi di potere,
non vi crea problemi di coscienza o,
forse, di coerenza ideologica?
R. Quando mai le Br hanno colpito dei
proletari innocenti? Questo non è
accaduto mai, neanche per sbaglio. Se
poi ci si riferisce ai mercenari in
divisa che hanno venduto la loro
identità di classe alla borghesia ed ai
suoi interessi, tradendo così le loro
origini, e si sono trasformati in feroci
assassini del proletariato, crediamo che
nei loro confronti non bisogna avere
nessuna pietà. A loro abbiamo già detto
che devono cambiare mestiere. Non
abbiamo che da ripetere questo
consiglio.
D, Il “soldato” Dalla Chiesa vi sembra
un rivale abile e pericoloso: insomma un
nemico degno di stima?
R. No, è solo uno sbirro al quale hanno
dato il massimo del potere.
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