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N. 23 -
Novembre 2009
(LIV)
L'ULTIMA INTERVISTA DI PAOLO BORSELLINO
21 maggio 1992: rivelazione del giudice alla vigilia della morte
di Cristiano Zepponi
Nella
primavera
del
’92,
dopo
aver
lasciato
il
posto
di
capo
della
Procura
di
Marsala,
il
giudice
Paolo
Borsellino
ritornò
in
quella
di
Palermo
come
procuratore
aggiunto.
Proprio
allora,
il
21
maggio
del
1992,
rilasciò
la
sua
ultima
intervista
video
al
giornalista
Fabrizio
Calvi
(pseudonimo
di
Jean-Claude
Zagdoun)
ed
al
regista
Jean-Pierre
Moscardo
(trattata
lungamente
ne
l’”odore
dei
soldi”,
M.Travaglio&E.Veltri,
Editori
Riuniti,
principale
fonte
sull’argomento).
I
due,
all’epoca,
conducevano
un’inchiesta
giornalistica
sui
rapporti
criminalità-finanza
in
Europa,
e si
interessarono
particolarmente
al
caso
italiano,
come
spiegò
lo
stesso
Calvi
ai
pm
che
lo
interrogavano
due
anni
dopo,
quando
“(…)
abbiamo
appreso
che
le
indagini
avevano
accertato
l’esistenza
di
rapporti
tra
un
presunto
mafioso,
tale
Mangano
Vittorio
e
Dell’Utri
Marcello,
un
uomo
che
lavorava
o
aveva
lavorato
alle
dipendenze
dell’imprenditore
Silvio
Berlusconi.
La
cosa
naturalmente
ci
incuriosì,
e
per
questo
motivo
studiammo
più
attentamente
gli
atti
del
processo
San
Valentino
(operazione
scattata
nel
1983
da
un
rapporto
della
Criminalpol
di
Milano,
che
porta
al
sequestro
di
vari
conti
correnti
bancari,
azioni,
libretti
di
proprietà
di
persone
colluse
con
la
mafia,
oltre
all’arresto
di
diversi
mafiosi
tra
cui
Mangano,
ndr.),
che
erano
ormai
consultabili
perché
pubblici.
Per
quanto
riguardava
la
personalità
di
Mangano
Vittorio
pensammo
di
chiedere
notizie
al
dott.
Paolo
Borsellino,
che
io
personalmente
conoscevo
da
dieci
anni
(…).
Fu
questa
l’origine
dell’intervista
che
il
giudice
accettò
di
darci,
e
che
fu
registrata
nella
sua
casa
di
Palermo
in
via
Cilea
il
21-5-1992
(…)”
(“l’odore
dei
soldi”,
pag.
42).
Il
nastro
con
l’intervista,
poi,
scomparve
per
otto
anni.
Secondo
Calvi,
la
tv
francese
non
era
più
interessata
al
programma,
ed
il
materiale
andò
perso.
Fino
a
che,
per
commemorare
l’ottavo
anniversario
delle
stragi,
nel
2000,
Rai
news
24,
ed
in
specie
il
suo
curatore
Sigfrido
Ranucci
scoprirono
una
copia
dell’intervista
in
possesso
di
Fiammetta,
una
delle
figlie
del
giudice.
Roberto
Morrone,
direttore
di
Rai
news
24,
cercò
quindi
di
offrirla
a tg
e
programmi
Rai.
Pensava,
giustamente,
dovesse
avere
grande
rilievo.
Ed
in
ogni
altro
paese
l’avrebbe
avuto.
Ma
qui,
nessuno
accettò
di
mostrarla.
Enzo
Tarantino,
uno
dei
difensori
di
Dell’Utri,
tentò
anche
di
bloccarne
la
messa
in
onda,
per
“non
intralciare”
le
indagini
sui
mandanti
delle
stragi.
Solo
il
19
settembre
di
quell’anno,
alle
ore
23
(quindi
in
seconda
serata),
il
programma
andò
in
onda.
E’,
a
tutt’oggi,
l’unica
volta
che
ciò
avvenne.
Borsellino:
Sì,
Vittorio
Mangano
l’ho
conosciuto
anche
in
periodo
antecedente
al
maxiprocesso
e
precisamente
negli
anni
tra
il
1975
ed
il
1980,
e
ricordo
di
aver
istruito
un
procedimento
che
riguardava
delle
estorsioni
fatte
a
carico
di
alcune
cliniche
private
palermitane.
Vittorio
Mangano
fu
indicato
sia
da
Buscetta
che
da
Contorno
(collaboratori
di
giustizia,
ndr.)
come
“uomo
d’onore”
appartenente
a
Cosa
Nostra.
Domanda:
Uomo
d’onore
di
che
famiglia?
Borsellino:
Uomo
d’onore
della
famiglia
di
Pippo
Calò,
cioè
di
quel
personaggio
capo
della
famiglia
di
Porta
Nuova,
famiglia
della
quale
originariamente
faceva
parte
lo
stesso
Buscetta.
Si
accertò-
ma
questo
già
risultava
dal
procedimento
precedente
che
avevo
istruito
io,
e
risultava
altresì
da
un
procedimento
cosiddetto
“procedimento
Spatola”,
che
Falcone
aveva
istruito
negli
anni
precedenti
al
maxiprocesso-
che
Vittorio
Mangano
risiedeva
abitualmente
a
Milano,
città
da
dove
come
risultò
da
numerose
intercettazioni
telefoniche,
costituiva
un
terminale
del
traffico
di
droga,
di
traffici
di
droga
che
conducevano
le
famiglie
palermitane.
Domanda:
E
questo
Vittorio
Mangano
faceva
traffico
di
droga
a
Milano?
Borsellino:
Il
Mangano,
di
droga..
Vittorio
Mangano-
se
ci
vogliamo
limitare
a
quelle
che
furono
le
emergenze
probatorie
più
importanti-
risulta
l’interlocutore
di
una
telefonata
intercorsa
fra
Milano
e
Palermo,
nel
corso
della
quale
lui,
conversando
con
un
altro
personaggio
delle
famiglie
mafiose
palermitane,
preannuncia
o
tratta
l’arrivo
di
una
partita
di
eroina
chiamata
alternativamente,
secondo
il
linguaggio
convenzionale
che
si
usa
nelle
intercettazioni
telefoniche,
come
“magliette”
o
“cavalli”.
Domanda:
Comunque
lei,
in
quanto
esperto,
può
dire
che
quando
Mangano
parla
di
cavalli
al
telefono,
vuol
dire
droga.
Borsellino:
Sì.
Tra
l’altro
questa
tesi
dei
cavalli
che
vogliono
dire
droga,
è
una
tesi
che
fu
asseverata
dalla
nostra
ordinanza
istruttoria
e
che
poi
fu
accolta
al
dibattimento,
tant’è
che
Mangano
fu
condannato
al
dibattimento
del
maxiprocesso
per
traffico
di
droga.
Domanda:
E
Dell’Utri
non
c’entra
in
questa
storia?
Borsellino:
Dell’Utri
non
è
stato
imputato
al
maxiprocesso,
per
quanto
io
ne
ricordi.
So
che
esistono
indagini
che
lo
riguardano
e
che
riguardano
insieme
Mangano.
Domanda:
A
Palermo?
Borsellino:
Sì,
credo
che
ci
sia
un’indagine
che
attualmente
è a
Palermo
con
il
vecchio
rito
processuale
nelle
mani
del
giudice
istruttore,
ma
non
ne
conosco
i
particolari.
Domanda:
Marcello
Dell’Utri
o
Alberto
Dell’Utri?
Borsellino:
Non
ne
conosco
i
particolari,
potrei
consultare
avendo
preso
qualche
appunto..
Cioè
si
parla
di
Dell’Utri
Marcello
e
Alberto,
di
entrambi.
Domanda:
I
fratelli.
Borsellino:
Sì.
Domanda:
Quelli
della
Publitalia.
Borsellino:
Sì.
Domanda:
Perché
c’è,
se
ricordo
bene,
nell’inchiesta
della
San
Valentino,
un’intercettazione
fra
lui
e
Marcello
Dell’Utri
in
cui
si
parla
di
“cavalli”.
Borsellino:
Beh,
nella
conversazione
inserita
nel
maxiprocesso,
se
non
piglio
errore,
si
parla
di
cavalli
che
dovevano
essere
mandati
in
un
albergo,
quindi
non
credo
che
potesse
trattarsi
effettivamente
di
cavalli.
Se
qualcuno
mi
deve
recapitare
due
cavalli,
me
li
recapita
all’ippodromo
o
comunque
al
maneggio,
non
certamente
dentro
l’albergo.
Domanda:
C’è
un
socio
di
Marcello
Dell’Utri,
tale
Filippo
Rapisarda,
che
dice
che
questo
Dell’Utri
gli
è
stato
presentato
da
uno
della
famiglia
di
Stefano
Bontate.
Borsellino:
Eh,
Palermo
è la
città
della
Sicilia
dove
le
famiglie
mafiose
erano
più
numerose.
Si è
parlato
addirittura
in
certi
periodi
almeno
di
duemila
uomini
d’onore
con
famiglie
numerosissime:
la
famiglia
di
Stefano
Bontate
sembra
che
in
un
certo
periodo
ne
contasse
almeno
200.
Si
trattava
comunque
di
famiglie
appartenenti
ad
un’unica
organizzazione,
cioè
Cosa
Nostra,
e
quindi
i
cui
membri
in
gran
parte
si
conoscevano
tutti,
e
quindi
è
presumibile
che
questo
Rapisarda
riferisca
una
circostanza
vera.
Domanda:
Lei
di
Rapisarda
ne
ha
sentito
parlare?
Borsellino:
So
dell’esistenza
di
Rapisarda,
ma
non
me
ne
sono
mai
occupato
personalmente.
Domanda:
Perché
a
quanto
pare
Rapisarda,
Dell’Utri
erano
in
affari
con
Ciancimino,
tramite
un
tale
Alamia
(Francesco
Paolo
Alamia,
ex-
assessore
regionale
ed
ex-
sindaco
di
Palermo,
ndr.)
Borsellino:
Che
Alamia
fosse
in
affari
con
Ciancimino
è
una
circostanza
da
me
conosciuta
e
credo
risulti
anche
da
qualche
processo
che
si è
già
celebrato.
Per
quanto
riguarda
Dell’Utri
e
Rapisarda,
non
so
fornirle
particolari
indicazioni,
trattandosi-
ripeto
sempre-
di
indagini
di
cui
non
mi
sono
occupato
personalmente.
Domanda:
Non
le
sembra
strano
che
certi
personaggi,
grossi
industriali
come
Berlusconi,
Dell’Utri,
siano
collegati
a
uomini
d’onore
tipo
Vittorio
Mangano?
Borsellino:
All’inizio
degli
anni
’70,
Cosa
Nostra
cominciò
a
diventare
un’impresa
anch’essa:
un’impresa
nel
senso
che,
attraverso
l’inserimento
sempre
più
notevole,
che
ad
un
certo
punto
diventò
addirittura
monopolistico,
nel
traffico
di
sostanze
stupefacenti,
Cosa
Nostra
cominciò
a
gestire
una
massa
enorme
di
capitali,
una
massa
enorme
di
capitali,
dei
quali
naturalmente
cercò
lo
sbocco,
perché
questi
capitali
in
parte
venivano
esportati
o
depositati
all’estero,
e
allora
così
si
spiega
la
vicinanza
fra
elementi
di
Cosa
Nostra
e
certi
finanzieri
che
si
occupavano
di
questi
movimenti
di
capitali.
Domanda:
Lei
mi
dice
che
è
normale
che
Cosa
Nostra
si
interessa
a
Berlusconi?
Borsellino:
E’
normale
il
fatto
che
chi
è
titolare
di
grosse
quantità
di
denaro
cerchi
gli
strumenti
per
potere
questo
denaro
impiegare,
sia
dal
punto
di
vista
del
riciclaggio,
sia
dal
punto
di
vista
di
far
fruttare
questo
denaro.
Domanda:
Mangano
era
un
pesce
pilota?
Borsellino:
Sì,
guardi,
le
posso
dire
che
era
uno
di
quei
personaggi
che,
ecco,
erano
i
ponti,
le
teste
di
ponte
dell’organizzazione
mafiosa
nel
Nord
Italia.
Domanda:
Si è
detto
che
ha
lavorato
per
Berlusconi.
Borsellino:
Non
le
saprei
dire
in
proposito,
o…anche
se
le
debbo
far
presente
che,
come
magistrato,
ho
una
certa
ritrosia
a
dire
le
cose
di
cui
non
sono
certo,
poiché
so
che
ci
sono
addirittura
ancora
delle
indagini
in
corso
in
proposito,
per
le
quali
non
conosco
addirittura
quali
atti
sono
ormai
conosciuti
e
ostensibili,
e
quali
debbono
rimanere
segreti.
Questa
vicenda
che
riguarderebbe
i
suoi
rapporti
con
Berlusconi
è
una
vicenda
che,
la
ricordi
o
non
la
ricordi,
comunque
è
una
vicenda
che
non
mi
appartiene.
Non
sono
io
il
magistrato
che
se
ne
occupa,
quindi
non
mi
sento
autorizzato
a
dirle
nulla.
Domanda:
C’è
un’inchiesta
ancora
aperta?
Borsellino:
So
che
c’è
un’inchiesta
ancora
aperta.
Domanda:
Su
Mangano
e
Berlusconi,
a
Palermo?
Borsellino:
Sì.
Il
23
maggio
1992,
due
giorni
dopo
questa
intervista,
il
giudice
Giovanni
Falcone
saltò
in
aria
insieme
alla
moglie
Francesca
Morvillo
ed
alla
scorta,
lungo
l’autostrada
Punta
Raisi
-
Palermo,
all’altezza
di
Capaci.
Meno
di
due
mesi
dopo,
ovvero
il
19
luglio
dello
stesso
anno,
anche
lo
stesso
Paolo
Borsellino
fu
ucciso
insieme
alla
scorta
in
via
D’Amelio.
La
Procura,
di
conseguenza,
acquisì
l’intervista
agli
atti,
per
indagare
sui
mandanti
“a
volto
coperto”
delle
stragi.
Così
hanno
fatto
Luca
Tescaroli
per
Capaci,
Anna
Palma
e
Antonino
Di
Matteo
per
via
D’Amelio.
Diceva
Camus:
“Nella
nostra
civilissima
società
la
gravità
di
un
male
è
rivelata
dalla
reticenza
con
cui
se
ne
parla”.
Questa
storia
ne è
testimonianza.
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