INTERVISTA A ROSARIO BENTIVEGNA
(nota: adattamento ed elaborazione
dell'intervista originale realizzata dal
regista Enzo Cicchino nel corso della
sua inchiesta sull'azione partigiana di
Via Rasella, andata in onda per il
programma della RAI TV 'MIXER' di
Giovanni Minoli)
D.: Mi fa una cronaca dettagliata del
preambolo dell'azione di Via Rasella?
R.: Beh, Via Rasella fu organizzata dal
Comando Centrale dei G.A.P., che
dipendevano direttamente da Giorgio
Amendola, il quale partecipò
all'elaborazione del piano insieme a
Carlo Salinari e a Calamandrei, Franco
Calamandrei, Manrio Fiorentini ed io.
Avevamo studiato le cose in modo che
l'attacco si potesse portare da due
punti.
Uno doveva essere il famoso carrettino
che avrei dovuto gestire io e che
avrebbe provocato la prima esplosione,
il primo impatto con il reparto tedesco
che avevamo deciso di attaccare, e
l'altro doveva essere portato a termine
da parte di un gruppo di quattro
compagni che erano Silvio Serra, Raul
Falcioni, mi pare che ci fosse anche
Francesco... insomma, erano quattro
compagni adesso non ricordo esattamente
i nomi.
Praticamente i partecipanti all'azione
erano, tra artificieri, combattenti veri
e propri e situazioni di copertura circa
16 compagni, e c'era praticamente tutta
la forza dei G.A.P. centrali che erano
divisi in quattro G.A.P., c'era il mio
G.A.P. che era il G.A.P. Pisacane, c'era
un G.A.P. Gramsci, un G.A.P. Garibaldi e
un G.A.P. Sorsi.
Noi... Io presi il carrettino, il
carrettino era stato prelevato da Raul
Falcioni nel deposito della Nettezza
Urbana vicino al Colosseo e fu portato
nella cantina di Via Marc'Aurelio 47, mi
pare, dove noi avevamo il nostro rifugio
e dove c'era la nostra santabarbara. Lì
fu attrezzato da Giulio Cortini e la
moglie, Laura Galloni, da me e da Carla
Capponi, fu attrezzato e preparato per
essere utilizzato com'era deciso che
fosse utilizzato, e cioè ci furono
disposti dentro una cassetta di metallo
preparata dagli operai... dai compagni
operai dell'Officina del Gas di Roma,
una cassetta piuttosto grossa dentro cui
erano stipati 12 Kg. di tritolo, 12 Kg.
di tritolo con il detonatore.
Messa la cassetta in questo carrettino
che, come ripeto, non è quello che
appare nelle fotografie, ma è invece un
carrettino a due bidoni. Avevamo
utilizzato il bidone posteriore, tutto
in metallo, e dentro questo vi era stata
messa la cassetta, con altri spezzoni di
ghisa, intorno ai quali erano stai messi
sfusi altri 6 Kg. di tritolo, quindi un
ordigno con grosse capacità dirompenti.
Io partii verso l'una da Via di
Marc'Aurelio, dal nostro deposito che
era nei pressi del Colosseo. Ero
travestito da spazzino: camiciotto e
cappello, che mi avevano procurato i
compagni. Mi ero tolto gli occhiali per
evitare che fossi riconosciuto, e mi
sono avviato per il Colosseo verso Via
Rasella, passando praticamente per Via
dei Fori Imperiali, per il centro, poi
salii su verso Via Nazionale,
attraversai Via XXIV Maggio, passai di
fronte al Palazzo del Quirinale, poi per
Via del Quirinale giunsi fino a Via
Quattro Fontane. Scesi in giù Via
Quattro Fontane, nella direzione di
Piazza Barberini quindi imboccai Via
Rasella, sempre in discesa, e portai il
carrettino al punto dove avevamo fissato
che fosse disposto, cioè all'altezza di
Palazzo Tittoni.
Le dirò che la fatica era notevole
perché il carrettino era molto pesante,
e che era più faticoso in discesa che in
salita, perché bisognava tenerlo fermo,
non aveva freni, e quindi in qualche
modo mi dovevo ingegnare a trattenerlo.
Disposto che fu il carrettino lì qualche
minuto prima delle due, ho cominciato ad
aspettare che arrivassero i Tedeschi.
Intanto altri quattro compagni si erano
disposti su Via del Boccaccio, perché
l'azione era stata preparata in modo che
l'attacco fosse condotto da due parti,
dalla mia parte, e cioè dal mio
carrettino, e dalla parte di Via del
Boccaccio, all'angolo della quale c'era
tra l'altro una caserma della P.A.I.,
(la Polizia dell'Africa Orientale
Italiana, che faceva servizio di polizia
in Roma. In quel periodo a Roma c'erano
circa... io ho fatto il calcolo, che
c'erano circa 18 diversi servizi di
polizia, tra quelli politici, quelli
militari e quelli correnti).
Questi quattro compagni erano Raul
Falcioni, Silvio Serra, c'era Francesco
Pulveri e c'era anche un altro compagno,
adesso non mi ricordo chi era, dovevano
venir fuori dopo l'esplosione del
carrettino e buttare sul reparto quattro
bombe da mortaio che, con una tecnica
particolare che avevamo appreso
attraverso gli artificieri che erano
stati istruiti dagli Alleati e da questi
mandati a noi, avevamo appreso a
modificarle per poterle utilizzare come
bombe a mano. Erano bombe da mortaio
Brixia, da mortaio d'assalto, che
contenevano circa 100 gr. di tritolo
l'una.
D.: Qual'era il vostro obiettivo bellico?
Oggetto della nostra azione era l'XI°
Compagnia del III° Battaglione dell'SS
Polizei Regiment Bozen, un reggimento di
cui facevano parte altoatesini di
nazionalità germanica che era stato
addestrato per azioni antiguerriglia.
Infatti di questo reggimento il I°
battaglione ha operato pesantemente
nella zona di Fiume e dell'Istria, il II°
battaglione ha operato molto
pesantemente nel bellunese, con circa 80
azioni di rastrellamento, e ha al suo
attivo anche le stragi di Falcade e
della Valle del Biois, questo
battaglione che operava a Roma aveva
finito proprio il 23 marzo il periodo di
addestramento alla lotta contro la
guerriglia, e poi non fu portato più...
L' XI° Compagnia non fu più portata
all'attività antiguerriglia perché
praticamente la mettemmo fuori
combattimento.
R.:
Come erano armati?
Erano preceduti e seguiti da due
moto-carrozzette con mitragliatrici
pesanti, i soldati erano armati di
machine-pistole che portavano sul ventre
e proprio quel giorno (poiché i Tedeschi
avevano avuto sentore che essendo il 23
marzo l'anniversario della Fondazione
Fasci del 1919 sarebbe potuto accadere
qualche cosa) gli ufficiali invitarono i
soldati a marciare con il colpo in
canna.
Questa compagnia in genere passava
sempre con molta regolarità verso le due
del pomeriggio, ed infatti noi la
aspettavamo per le due. Quel giorno
invece ritardarono, e pare che il
ritardo non fosse occasionale, ma fosse
dovuto proprio a questa preoccupazione
che avevano i Tedeschi di quanto potesse
accadere quel giorno a Roma, infatti
avevano vietato anche una manifestazione
pubblica dei repubblichini. Comunque
arrivarono con circa due ore di ritardo.
Io mi ero già fatto quell'oretta di
strada nella quale poi, come accade,
sono intercorsi fenomeni, incontri,
momenti di fatica, momenti di
spossatezza, preoccupazione, perché sa,
girare con 18 chili di tritolo sotto
l'occupazione nazista non era una
cosa... quando bastava avere in tasca
una copia di un giornaletto clandestino
per poter essere fucilati...
Fui fermato, per esempio, da alcuni
spazzini proprio sulla Piazza del
Quirinale i quali mi dissero: "Ma tu che
fai da queste parti, tu non sei nel
nostro giro", e io gli dissi "Ma, sto
facendo un carico di cemento", e questi
mi risposero: "Ma che carico di cemento,
tu stai facendo la borsa nera, facci
vedere i prosciutti!", e volevano
scoperchiare il... La cosa mi preoccupò,
tanto è vero che il compagno che mi
faceva da scorta, Raul Falcioni, in quel
momento si avvicinò a me per vedere se
per caso non fosse opportuno che
qualcuno intervenisse per darmi una
mano, invece io li mandai a quel paese,
"Fatevi i cavoli vostri", gli dissi, e
continuai a camminare, e questi mi
lasciarono perdere, mi pigliarono un po'
in giro, eccetera.
Poi ho continuato, mi sono messo lì
sulla strada e ho aspettato, e questi
non arrivavano. ... Ad un certo momento
arrivò uno dei reparti di avanguardia
che in genere passavano qualche minuto
prima del grosso del reparto, una
squadra di avanguardia.
Passarono, e i miei compagni credettero
che fosse il momento di prepararsi, per
cui fui avvisato: "Preparati che...", e
io mi accesi la pipa che mi ero portato,
tra l'altro c'era una scarsezza di
tabacco enorme, perché le sigarette
erano razionate, e io avevo caricato due
sigarette dentro la pipa perché con la
pipa era più facile poi l'accensione del
cavo, era più semplice poter far
innescare l'accensione della miccia. La
miccia era una miccia a 50 secondi e
quindi 50 cm. di lunghezza.
Quindi fui allarmato per lo meno due o
tre volte, e questo creò una certa
tensione, ma intanto i minuti, i quarti
d'ora, le mezz'ore passavano, e siamo
arrivati verso le due e mezza che i miei
compagni mandarono ad avvertire... no,
che dico le due e mezza, due e mezza,
tre, tre e mezza.
Alle tre e mezza Pasquale Balsamo mi
passò vicino e mi disse: "Guarda che se
alle quattro non sono venuti ti pigli il
carrettino e ce ne andiamo", e la cosa
era anche più sgradevole.
Tuttavia accettai questa disposizione,
però invece alle tre e tre quarti questi
si fecero vivi, e c'era Cola, cioè
Franco Calamandrei, che era appostato al
punto da cui avevamo nei giorni
precedenti verificato cronometrando che
il tempo di marcia sarebbe stato appunto
di 50 secondi.
Cola si tolse il cappello, era il
segnale convenuto, io accesi la miccia e
me ne andai.
D.:
Ci fu da parte vostra un interessamento
per salvaguardare la vita dei civili?
R.:
Tra l'altro lì intorno c'era un soldato
di Sanità perché in un palazzo nei
dintorni c'era un posto della Croce
Rossa, un soldato che entrava e usciva,
nel momento in cui accesi la miccia
dissi a questo: "Guarda, vattene, perché
qui tra poco succede un cataclisma", e
lui se ne andò, capì e se ne andò.
Poi mentre mi allontanavo c'erano degli
operai che stavano su un camion vicino
ad un palazzo poco più su, una decina di
metri più su di Palazzo Tittoni, stavano
facendo delle opere di ammodernamento,
non so bene, anche a loro dissi: "Via,
andatevene perché qui tra poco con i
Tedeschi succederà un macello", e pure
questi scapparono.
E arrivai all'angolo di Via Rasella con
Via Quattro Fontane, al punto in cui Via
Rasella va ad affacciarsi sul giardino
di Palazzo Barberini, e lì trovai Carla
Capponi la quale mi mise sulle spalle un
impermeabile e coprì il mio giubbotto da
spazzino, in quel momento ci fu
l'esplosione.
Poi Carla ed io ci allontanammo, facemmo
appena in tempo, perché, come ripeto, i
Tedeschi aspettavano qualcosa. Proprio
mentre noi passavamo uscì fuori da
Palazzo Barberini una squadra di Guardie
di Finanza che stesero immediatamente i
cordoni.
Carla ed io, con Pasquale Balsamo e un
altro che mi facevano da scorta, ci
avviammo verso Via Nazionale.
Impugnai la pistola per ogni evenienza,
Carla aveva la sua pistola nella
borsetta, io la impugnai nella tasca e
ci avviammo verso Via Nazionale.
Mentre mi allontanavo con Carla sentimmo
esplodere i colpi delle bombe da mortaio
che i nostri compagni in Via del
Boccaccio scagliavano sul reparto, e
subito dopo iniziò il crepitio della
fucileria perché questi erano armati e
risposero, cominciarono a sparare
all'impazzata tutto intorno, verso le
finestre, e quant'altro.
D.: Questo è l'episodio Via Rasella, ma
affrontiamo ora il discorso in modo più
ampio. Come è nato il fenomeno
Resistenza a Roma ?
R.:
La Resistenza romana è stata piuttosto
vivace, è una cosa che non si sa in
giro, che è sottovalutata. Roma è una
città particolare, perché per essere
praticamente a 100 Km. dal fronte, che
si era attestato a Cassino, e poi dopo
lo sbarco ad Anzio addirittura a 50 Km.,
era piena di gente ed era piena di
profughi. Era piena di gente che stava
nascosta.
Il fenomeno romano è interessante
soprattutto perché si distingue in due
momenti che si intersecano. Da un lato
c'è una resistenza passiva di massa
eccezionale. I romani non hanno
collaborato con i nazisti e nemmeno con
i repubblichini, pochissimi. Dall'altro
una resistenza che pur non essendo
ancora militare era già attiva, una
resistenza di solidarietà. Solidarietà
piena, verso le centinaia di migliaia di
persone che stavano nascoste: renitenti
di leva, giovani che volevano sfuggire
al servizio del lavoro, soldati e
ufficiali sbandati, gerarchi fascisti
che non volevano più collaborare con i
repubblichini, prigionieri alleati,
ebrei. C'era uno slogan allora, si
diceva che mezza Roma nasconde l'altra
metà.
Questa direi che è la caratteristica
fondamentale. E poi c'era un'intensa
attività politica di gruppi e di partiti
che si organizzavano, che cominciavano a
fare dei progetti per l'avvenire, che si
incontravano, che creavano delle
alleanze. Il Comitato di Liberazione
Nazionale centrale era a Roma.
Premetto che tra l'altro i nazisti non è
che lasciassero in pace i romani, perché
continuamente facevano razzie per le
strade pigliando gli uomini validi e
portandoseli al fronte per farsi
costruire le difese laddove ritenevano
che fosse per loro necessario.
D.: Appunto, chi erano e cosa
rappresentavano per la fantasia dei
romani, i Tedeschi?
R.: Ma, guardi, bisogna vedere le cose
da due punti.
Prima di tutto i Tedeschi a Roma non è
che fossero molto simpatici nemmeno
quando erano alleati. I romani non hanno
mai fraternizzato con i Tedeschi. Ma
soprattutto dopo l'occupazione, dopo la
battaglia di San Paolo, i Tedeschi sono
entrati dentro come conquistatori e
avevano un obiettivo molto preciso,
quello di fare di Roma un comodo snodo
stradale e ferroviario, una città di
retrovia nella quale poter far riposare
e muovere liberamente le truppe.
Era una città di retrovia. In queste
condizioni, tenga conto, tra l'altro,
che Roma era sottoposta continuamente a
bombardamenti proprio perché la presenza
delle truppe tedesche era massiccia.
Bombardamenti feroci, pesantissimi, non
soltanto prima dell'8 settembre, ma
anche dopo. Gli Alleati smisero di
bombardare Roma il 17 marzo, cioè
qualche giorno prima di Via Rasella;
eppoi i Tedeschi, qualche giorno dopo
Via Rasella, il 26 o 27 marzo, emisero
un comunicato in cui continuavano a
ripetere che avevano dovuto uccidere per
rappresaglia i comunisti badogliani e
che tuttavia avrebbero cercato di
rispettare la città aperta, e questo in
qualche misura successe, infatti i
bombardamenti a Roma cessarono fino alla
fine di maggio quando, in seguito alla
rotta del fronte, i Tedeschi se ne
fregarono e cominciarono a ripassare per
la città.
I Tedeschi non erano graditi a Roma, non
sono riusciti ad avere un rapporto con
la popolazione romana e d'altro canto
noi cominciammo subito dopo l'8
settembre ad attaccarli militarmente
anche all'interno della città,
pesantemente.
D.: Aveva già sentito parlare di
Kappler, Dollmann, Meltzer e di tutti
gli uomini che divennero famosi
successivamente?
R.: Kappler e Dollmann mai, Meltzer sì
perché era un Generale noto della
Wehrmacht.
D.: Eravate a conoscenza del lavoro
antipartigiano condotto dalla SS Polizei
agli ordini di Kappler e dell'SD, il
servizio segreto tedesco?
R.: Non particolarmente, per noi erano
un corpo di polizia militare, facevano
parte delle truppe occupanti, avevano
una divisa, la divisa della Wehrmacht,
ed era questo un titolo sufficiente per
essere attaccati dai partigiani.
D.: Si è enfatizzato molto sul numero
degli uomini formanti le SS, ma pare che
fossero solo una settantina e che nelle
loro file ci fossero anzi molti
italiani.
R.: Guardi, che ci siano stati SS
italiani lo so, e tra l'altro ci sono
stati anche dei ragazzi che conoscevo,
per i quali del resto posso testimoniare
la piena buona fede, ma... io parlo dei
combattenti naturalmente, dei
combattenti della Repubblica di Salò,
non certo di coloro i quali facevano i
torturatori o gli infiltrati, che erano
tutt'altra genia, dei sadici maledetti.
Però io dei ragazzi che sono stati
dall'altra parte e che erano stati anche
miei amici ne ho conosciuti, e non ho
certamente, né allora, ne oggi, niente
nei loro confronti, proprio perché
sapevo che questi tre qua che ho
conosciuto, tre che ho conosciuto, erano
i soli che ci credevano, e che non
avrebbero mai fatto - come non hanno
fatto - né i torturatori, né i
massacratori, né altre cose di questo
genere.
D.: Si è favoleggiato molto sul terrore
degli occupanti, ma la caccia all'uomo
qui a Roma colpì solo poche centinaia di
persone, insomma troppo poco per parlare
di una reazione cittadina. Paer che la
città non avesse alcuna intenzione di
insorgere contro i nazifascisti.
R.: Guardi, questo viene contraddetto
con grande facilità. Si calcola che
siano circa 4.000 i romani che sono
passati per le carceri fasciste e
naziste. Tenga conto che Roma è l'unica
città d'Italia, e forse d'Europa, in cui
è stato proibito l'uso della bicicletta
sin dal dicembre. Roma è la città che ha
avuto l'ora di coprifuoco più estesa di
qualsiasi altra città italiana.
Eppoi insieme ai soldati italiani -noi-
abbiamo cominciato a sparare contro i
Tedeschi subito... (non dico noi per
dire "io", dico "noi" per dire "noi
partigiani") non solo l'8 settembre del
'43, o il 10 settembre quando c'è stata
la battaglia di Porta San Paolo, ma
anche dopo a Monterotondo e altrove. Le
azioni contro i Tedeschi sono avvenute
subito. Posso poi testimoniare che
quando mi è capitato di sparare in mezzo
alla strada a Roma -contro Tedeschi e
contro fascisti- io sono stato aiutato e
difeso dalla popolazione, la quale ha
dirottato i miei inseguitori (perché a
volte mi hanno inseguito lungamente)
verso direzioni nelle quali non mi
avrebbero potuto mai trovare, e che
c'era roba da mangiare.
Pensi che i Tedeschi cominciarono
inizialmente a puntare molto sulle
taglie. Cioè, prima di arrivare alle
rappresaglie (tipo quella delle Fosse
Ardeatine) avevano messo su ciascuno
degli autori di ciascuno degli atti di
sabotaggio e degli atti di guerra
compiuti nella città di Roma, delle
taglie importantissime. Pensi che io
solo avevo allora 1.850.000 lire di
taglia, non tanto... non perché
conoscessero me, perché non sapevano chi
fossi, ma in riferimento alle diverse
azioni che avevo fatto. Nessuno, tranne
Carlo Salinari, è stato catturato in
seguito ad una delazione. Carlo Salinari
sì, ma questo perché uno dei nostri
tradì e passò nelle schiere dei
repubblichini per salvarsi la pelle.
D.: Molti hanno pensato che la sigla GAP
significasse Gruppi Armati Proletari,
invece... comunque in che occasione
furono costituiti, da chi erano formati,
chi li comandava?
R.: Infatti non si chiamavano Gruppi
Armati Proletari, ma Gruppi di Azione
Patriottica. I menbri erano scelti tra
le diverse formazioni partigiane
nell'ambito della città, selezionando
quegli elementi che avevano dimostrato
maggiore determinazione nel condurre le
azioni e che sia per il loro passato che
per la loro provenienza davano garanzia
di essere persone severe, rigorose,
attendibili, nei limiti delle
possibilità umane, capaci anche di
resistere alle torture qualora fossero
stati arrestati.
D.: Certo vi è stato attribuito il nome
di Gruppi Armati Proletari forse per un
errore, ma in realtà, come estrazione
sociale, i G.A.P. da chi erano formati?
R.: Eravamo in gran parte studenti, o
intellettuali. C'erano tre o quattro che
venivano... C'era un tassista, c'era
Blasi che era un artigiano, ma che poi
fu quello che tradì, c'era Francesco
Pulveri che era un vecchio operaio
dell'edilizia che però veniva
dall'esperienza dell'emigrazione
antifascista, era stato combattente in
Spagna dalla parte dei repubblicani, era
il più anziano di noi, tra l'altro.
Noialtri eravamo intellettuali,
studenti.
D.: In che occasione e perché nacquero i
G.A.P.? Chi li comandava?
R:: Praticamente furono ideati da Alfio
Marchini e preparati da Antonello
Trombadori. Alfio Marchini è il
Comandante militare della piazza
partigianna di Roma e Antonello
Trombadori che era uno dei dirigenti del
Partito Comunista, uno dei dirigenti
intellettuali del Partito Comunista. E
fu Antonello Trombadori il primo a
costruirli, a comandarli e a sceglierli.
Ognuno di noi ha avuto lunghi colloqui
con Antonello, senza sapere chi fosse.
Seguivamo con grande scrupolo le regole
della cospirazione, conoscevamo tutti
solo per pseudonimo, non per nome. I GAP
praticamente cominciarono a funzionare
alla metà di ottobre, primi di novembre
del '43. Poi si consolidarono portando a
termine delle azioni estremamente
importanti come quella dell'Albergo
Flora; o come quella che feci io stesso
a Piazza Barberini. O come quella che
portò a compimento Mario Fiorentini a
Regina Coeli, che è stata una delle
azioni più belle che sono state fatte a
Roma. E poi tantissime altre. I G.A.P.
centrali erano quelli raccolti da tutte
le zone della città, ma nella periferia
si erano poi costituiti i G.A.P. di
zona, i quali a loro volta svolgevano
l'attività nelle loro zone e portavano
all'azione non soltanto i G.A.P., ma
anche le S.A.P., cioè le Squadre di
Azione Patriottica in cui erano
inquadrate tutte le forze partigiane.
Tenga conto che i partigiani comunisti,
per esempio, erano circa 3.000, ed erano
3.000 persone organizzate e purtroppo
non tutte armate, più o meno tutte hanno
preso parte ad azioni di fuoco e ad
azioni di sabotaggio ben individuate.
Un'ultima cosa vorrei ricordare, ed è
una cosa che diceva uno che di guerra
partigiana se ne intendeva perché è
stato prima il Comandante di Roma, poi
di Bologna, poi ancora di Torino: cioè
Giorgio Amendola... Secondo Giorgio
Amendola, in quei 9 mesi in cui Roma ha
fatto la Resistenza (tenga conto che la
Resistenza romana è finita il 4 giugno
del '44, cioè perlomeno 10 mesi prima
che finisse la Resistenza nelle altre
zone del Paese) le azioni militari dei
partigiani italiani romani sono state
maggiori delle azioni militari dei
partigiani di qualsiasi altra città
d'Italia, cioè è una leggenda che i
romani non abbiamo fatto niente. I
romani hanno fatto, tanto è vero che i
nazisti hanno duramente colpito la
popolazione romana, e l'hanno colpita
proprio perché resisteva, e l'hanno
colpita con la fame prima di tutto, poi
con razzie, con il coprifuoco! ne è un
esempio il fatto che non si poteva
girare in bicicletta.
D.: Senta, qual era il programma
politico delle vostre cellule
combattenti?
R.: Ma, guardi, parlare di programma
politico delle cellule è un po' vago.
Io... le cellule si trasformavano tutte
il S.A.P. Dalle S.A.P. vennero fuori i
G.A.P. Il problema politico era uno:
cacciare i Tedeschi e i Fascisti.
L'obiettivo era la democrazia, una
democrazia avanzata, la giustizia
sociale, la libertà.
D.: A Roma il Colonnello Montezemolo
aveva riunito un gruppo di ufficiali per
organizzare un servizio informazioni a
favore degli Alleati simile a quello di
De Gaulle in Francia. Come mai i G.A.P.
non sostennero questa iniziativa, ma la
snobbarono completamente?
R.: Ma, guardi, i G.A.P. erano un
reparto militare, e non potevano fare
altro che quello che gli veniva
comandato. I G.A.P. non hanno mai avuto
un servizio informazioni. Io so che con
il Colonnello Montezemolo collaborarono
anche i servizi informazioni del Partito
Comunista, ad esempio, ma era tutt'altra
cosa.
Noi non avevamo una struttura che ci
permettesse di avere un servizio
informazioni. Ci venivano delle
disposizioni di carattere militare e le
eseguivamo. Ecco, io posso dirle, per
esempio, che il servizio informazione -
io ne ho avvicinato uno solo, questo di
cui le sto raccontando - era gestito da
un ex-ufficiale di Cavalleria torinese,
che durante la Prima Guerra Mondiale
aveva fatto anche il Capitano negli
Arditi, che gestiva appunto uno dei
servizi di informazione del Partito
Comunista presso la IV° Zona ed aveva
collegamenti diversi con molte
strutture, anche con le strutture
militari, con la struttura di
Montezemolo ecc.
Fu preso dai Tedeschi nel gennaio del
'44, fu portato a Via Tasso e fu ucciso
a calci. Insieme a lui fu arrestata, e
non ne venne fuori una parola né da lui
della sua collaboratrice, la
professoressa - allora era una
studentessa di medicina - la Prof. Carla
Angelini, che oltre tutto era una mia
carissima amica, una psichiatra, una
nota psichiatra che adesso sarà pure in
pensione, ....siamo diventati tutti
vecchi.
D.: Oltre ai G.A.P., quali altri gruppi
resistenziali esistevano a Roma, e
com'erano formati?
R.: Ma, guardi, le formazioni... c'erano
nei G.A.P. diverse formazioni. C'erano
la formazione Giustizia e Libertà, le
formazioni Matteottine del Partito
Socialista, le formazioni Garibaldine
del Partito Comunista, il Centro
Militare di Montezemolo, Bandiera Rossa,
che era una formazione comunista
antipartito, loro erano una mescolanza
di trotzkisti, poi si dicevano più
stalinisti di noi, e quant'altro,
c'erano le formazioni democristiane, le
formazioni repubblicane, le formazioni
dei cattolici comunisti che avevano le
loro S.A.P. e avevano il loro G.A.P.,
cioè questo termine G.A.P. è il termine
della squadra di, chiamiamoli così,
combattenti di avanguardia, di arditi,
li chiami come vuole, no, a cui venivano
affidate le azioni più impegnative e più
rischiose, ed erano per questo
particolarmente selezionati.
D.: Qual era il tuo?
R.: Non so, il mio amico Valerio
Perucchini, il mio compagno Valerio
Perucchini era il Comandante del G.A.P.
di Tor Pignattara, ed è stato fucilato
alle Fosse Ardeatine. C'era anche
Chiesa, Edoardo Chiesa, che era il
Comandante del G.A.P. dei Cattolici
Comunisti, e che è stato fucilato alle
Fosse Ardeatine.
Il G.A.P. non era... era un reparto di
una formazione partigiana, così come lo
era la S.A.P., appunto, come lo erano
gli uffici informazione, come lo erano
quelle che potremmo definire, non so, le
salmerie, ecco, la parte organizzativa,
ecc.
D.: Qual era il gruppo politico più
consistente?
R.: Dal punto di vista dei combattenti
senza dubbio Bandiera Rossa, i
comunisti, il Partito d'Azione e il
Centro Militare Clandestino. Questi
erano i gruppi militari più consistenti.
Dal punto di vista politico c'era anche
la Democrazia Cristiana, c'erano i
repubblicani e c'erano... Oh, poi,
guardi che c'era una miriade di
formazioni costituite da gruppi più o
meno autonomi che svolgevano una loro
guerra contro i Tedeschi senza avere
collegamento con il Comitato di
Liberazione Nazionale, e ce n'erano
moltissime che spontaneamente sono sorte
nei quartieri, nei paesini, e questa è
la ragione per cui tra l'altro la
Resistenza romana, malgrado quello che
Lei ha ipotizzato inizialmente, è stata
così ricca.
Non è vero che Roma sia stata una città
che aspettava soltanto. Certo, c'erano
anche quelli che aspettavano, ma c'erano
anche quelli che aspettavano
attivamente, voglio dire, e non tutti
aspettavano attivamente militarmente, ma
aspettavano attivamente anche attraverso
un grosso movimento solidaristico. Per
esempio, io mangiavo tutti i giorni o
quasi, non proprio tutti, e non sempre
abbondantemente, ma mangiavo perché me
ne portavano.
Quando io sono stato partigiano a
Centocelle, per esempio, a Centocelle la
popolazione era tutta con noi, tutta,
completamente. Io sono stato subito dopo
lo sbarco ad Anzio per un mese padrone
della Borgata di Centocelle. Poi dopo
sono arrivati i Tedeschi e hanno
sbaraccato tutto, ci hanno ammazzato
tutti i compagni, li hanno deportati e
quant'altro.
Ma Lei lo sa -durante la Resistenza a
Roma- quante centinaia di romani, quante
migliaia di romani sono morti!? 1750
persone... non sono poche... a Roma e
nel Lazio voglio dire, complessivamente,
i romani non so, in particolare, ma solo
a Porta San Paolo tra i soldati e la
gente sono morte circa 650 persone.
Però queste cose non le sa nessuno.
D.: Lei conta anche i 335 delle Fosse
Ardeatine?
R.: Beh, nelle 1750 sì, però non conto
tutti i deportati che non sono tornati,
non conto i 1800 ebrei... i 1200 ebrei
che non sono tornati perché tenga conto,
tra l'altro, delle razzie; la gente
portata via è stata qualche migliaio.
Pensi alla razzia del Quadraro, alla
razzia degli ebrei, in queste cifre non
ci sono questi romani che sono stati
portati via ai campi di concentramento e
non sono più tornati.
D.: Senta, il 17 e 18 gennaio del '44
Montezemolo e la sua organizzazione
furono totalmente arrestati dalla
polizia nazifascista. Si dice che ciò
accadde perché si prevedevano delle
azioni di disturbo contro i Tedeschi di
passaggio nella capitale in concomitanza
con lo sbarco di Anzio. E' vero?
R.: Guardi, io non avevo contatti con il
Colonnello Montezemolo, e quindi non so
esattamente che cosa avesse in mente di
fare Montezemolo.
Per quanto ci riguardava, il CLN aveva
ipotizzato l'insurrezione di Roma, anche
per le segnalazioni che aveva avuto dai
Comandi Militari Alleati, tanto è vero
che con lo sbarco di Anzio i G.A.P.
centrali di cui io già facevo parte
furono sciolti, e ognuno di noi fu
mandato nelle zone della città per
guidare l'insurrezione, e io fui mandato
a Centocelle.
D.: I G.A.P. da chi ricevevano ordini?
R.: Dai loro comandanti.
D.: Si è detto da più parti che
ricevessero ordini dagli Alleati.
R.: Certamente i nostri comandanti erano
in collegamento con il Comando Alleato.
D.: Molti, più affermativamente, hanno
detto che invece ricevessero ordini da
Togliatti.
R.: Ma, questa è una delle immani
cavolate che vengono dette.
Lei tenga conto che Togliatti è sbarcato
da Salerno dalla Russia il 24 marzo.
Si è detto addirittura che Togliatti ha
dato l'ordine di fare Via Rasella.
Togliatti probabilmente manco sapeva che
esisteva Via Rasella. Togliatti è
tornato dalla Russia, stava in nave in
giro per il Mediterraneo in attesa di
poter sbarcare, ed è sbarcato il giorno
in cui c'è stata la rappresaglia delle
Fosse Ardeatine.
Lei... io mi vorrei divertire, prima di
crepare, mi vorrei divertire a scrivere
tutto lo sciocchezzaio immane che è
stato costruito su questa questione
della Resistenza romana.
D.: Come ex-gappista Blasi testimoniò,
al processo contro Kappler, di aver
visto dalle mani di Calamandrei un
ordine di esecuzione di Via Rasella
siglato EE, cioè Ercoli. In quel caso,
dietro l'ordine lui affermava di sicuro
che ci fosse Togliatti.
R.: Guardi, nessun ordine scritto è
stato mai emesso da una parte all'altra
dei comandi della Resistenza, quanto
meno a Roma.
Secondo, torno a dirLe, Togliatti
quando... noi abbiamo cominciato a
preparare l'azione di Via Rasella a
febbraio, si figuri, poi per una serie
di ragioni fu rimandata, poi la
prendemmo in considerazione per marzo,
la facemmo il 23 marzo perché quel
giorno era l'anniversario dei Fasci e
delle Corporazioni, ma Ercoli in quel
giorno stava ancora navigando per il
Mediterraneo.
D.: Beh, non per questo non poteva far
venire un'ordine.
R.: Per scritto o con le regie poste
magari, mi faccia capire. Ma con che
cosa lo poteva far venire l'ordine
scritto firmato da lui? Ma è una
colossale idiozia! Solo pensarla, una
cosa di questo genere, significa non
avere la più pallida idea di come
vivevamo, di come viveva Roma, di come
viveva l'Italia e di che cos'era
l'Italia attraversata in su e in giù da
due eserciti che si combattevano.
D.: Gli arresti delle organizzazioni
resistenziali non comuniste avvenuti
nella seconda metà di gennaio avvennero
non solo per l'imprudenza delle stesse,
ma anche per la delazione di uomini
della Resistenza, che avevano tutto
l'interesse a monopolizzare la struttura
partigiana. Si disse che questi uomini
delatori fossero comunisti.
R.: Questa è un'altra infamia che fa
parte dello sciocchezzaio che ogni tanto
viene fuori.
Lei pensi soltanto al fatto che alle
Fosse Ardeatine sono morti tanti
comunisti anche importanti, voglio
ricordarLe Mallossi, ex-combattente in
Spagna, voglio ricordarLe il Prof.
Gesmondo, che è stato anche Commissario
Politico dei G.A.P.
D.: Tuttavia il massacro delle Ardeatine
eliminò buona parte della Resistenza
romana non comunista?
R.: Il massacro delle Ardeatine eliminò
quella parte della Resistenza che stava
in prigione.
D.: Ed era in buona parte non...
R.: Non comunista... in buona parte,
certo, perché mica solo i comunisti
hanno fatto la Resistenza. C'erano
dentro comunisti, non comunisti,
anticomunisti, perfino dei fascisti,
guardi, perfino dei fascisti, e questo
tra l'altro è un altro aspetto
estremamente interessante, una delle
ragioni per cui non sono d'accordo che
la Resistenza sia stata una guerra
civile, perché insieme a noi hanno
combattuto anche elementi che venivano
dal Partito Nazionale Fascista, e sono
stati ammazzati come noi.
D.: Sì, però qualcuno ha detto che gli
uomini non comunisti della Resistenza
romana che sono stati uccisi alle
Ardeatine erano in pratica dei futuri
avversari fatti fuori in anticipo.
R.: Che vuole che Le dica? La gente si
può inventare tutte le favole che
preferisce, ma questa è soltanto una
mascalzonata. E' soltanto una
mascalzonata che del resto... nella mia
lunga vita ormai ho visto ripercorrere
tante volte spesso dalle stesse persone.
D.: Tuttavia per gli uomini della
Repubblica di Salò e per i Tedeschi
c'era una stretta omonimia tra
partigiano e comunista. Come mai è nata
questa leggenda?
R.: Guardi, questo faceva parte delle
esigenze della propaganda nazifascista,
ma comunque posso dirLe che quando i
Tedeschi hanno parlato di noi a
proposito dell'azione di Via Rasella e
hanno parlato dei martiri delle Fosse
Ardeatine hanno parlato di comunisti
badogliani.
Beh, noi eravamo comunisti badogliani.
D.: E non è una contraddizione?
R.: Beh no, in quel momento no. Non c'è
nessuna contraddizione in questo.
Tenga conto che noi avevamo l'obiettivo
di cacciare i Tedeschi e di liquidare il
Fasciamo.
Questo voleva e ci aveva chiesto il
governo legittimo, che era il Governo
Badoglio, e questo noi facevamo.
D.: Proprio perché si rifà al governo
legittimo di Badoglio, proprio per
disposizione di questo pare che il CLN
avrebbe dovuto progettare le azioni
sotto il profilo politico, demandando
invece al Comando Militare Clandestino
il compito di guerriglia e di
sabotaggio. Il Comando del Lazio era
stato affidato dal Governo del Sud al
Generale Quirino Armellini, però i
G.A.P. boicottarono apertamente tutti
gli ordini emanati da questo Generale.
R.: Guardi, torniamo alla definizione
delle funzioni dei G.A.P. I G.A.P. non
avevano funzioni politiche. Avevano solo
funzioni militari.
Nella realtà c'era un conflitto tra il
CLN e Armellini, e il CLN non accettò
mai di dipendere dal Generale Armellini,
tanto è vero che aveva un suo Comando
Militare, una sua Giunta Militare i cui
comandanti, i cui rappresenti erano
Bauer per il Partito d'Azione, Pertini
per il Partito Socialista, Amendola per
il Partito Comunista e mi pare Manlio
Brosio per il Partito Liberale.
C.: Ma Armellini era l'uomo delegato dal
Governo del Sud.
R.: Dal Governo a gestire le forze che
facevano capo al Centro Militare. Ancora
non c'era stata l'unificazione del Corpo
Volontari della Libertà.
Soltanto quando avverrà l'unificazione
di tutte le forze partigiane nel Corpo
dei Volontari della Libertà, che mi pare
sia avvenuta qualche mese dopo, allora
c'è stato un Comando unico ed era
costituito da Cadorna, Parri e Longo.
D.: Ma allora Armellini che potere
aveva?
R.: Era l'uomo ufficiale delle
formazioni del Centro Militare. Non era
l'uomo ufficiale del CLN, e c'era una
certa conflittualità con il CLN,
politica e anche militare, anche perché
da parte del CLN... all'interno del CLN
esistevano forti correnti attendistiche.
L'attendismo era un particolare
atteggiamento che avevano parecchie
forze della Resistenza, e tuttavia
c'erano anche prevalenti forze non
attendistiche, e cioè quelle che
volevano che si facesse l'insurrezione
di Roma.
Tenga conto che Roma è l'unica capitale
d'Europa che non ha avuto
un'insurrezione e l'unica grande città
italiana che non ha avuto
un'insurrezione, e questo dipende dal
fatto che probabilmente... certamente è
dipeso da due fenomeni in particolare:
il primo, il fatto che tra febbraio e
giugno moltissimi gruppi partigiani
hanno avuto fortissime perdite: la gran
parte dei quadri, ma non solo dei
quadri, e non solo non comunisti ma
anche comunisti stava in carcere. Noi
gappisti siamo andati in carcere un po'
più tardi perché avevamo una maggiore
disciplina cospirativa, gli altri ci
sono andati un po' prima. Ora, questo ha
indebolito fortemente le forze militari
della Resistenza.
Poi c'è stato un altro fatto, la spinta
del Vaticano a fare in modo che Roma non
insorgesse.
Dietro questo ci sono una grande
quantità di ragioni. Però Le assicuro
che il 4 giugno, quando sono arrivati
gli Alleati, arrivò l'ordine dal Governo
di Salerno di lasciar andar via i
Tedeschi senza attaccare.
D.: Roma fu proclamata città aperta. In
seguito a questa decisione accettata e
rispettata anche dai Tedeschi il
Generale Armellini diede ordine che i
partigiani si astenessero dal compiere
attentati all'interno della capitale
proprio per evitare che i comandi
germanici si avvalessero del diritto di
rappresaglia.
I G.A.P. volutamente questo ordine lo
ignorarono.
R.: Primo, Armellini non era in grado di
dare ordini ai nostri.
Secondo, è falso che i Tedeschi abbiano
mai accettato la città aperta di Roma.
Non è mai esistita. La città aperta di
Roma è stata promulgata di iniziativa
del Governo Badoglio dopo il secondo
bombardamento di Roma del 14 agosto del
'43 e non è mai stata accettata né dai
Tedeschi, né dagli Alleati, tanto è vero
che i Tedeschi si sono serviti di Roma
dove avevano comandi, dove avevano
truppe e attraverso cui facevano passare
per ferrovia o per strada le truppe che
si muovevano da e per il Nord e per i
vari fronti, e gli alleati bombardavano
regolarmente Roma.
Le dico, soltanto dopo Via Rasella, ed
esattamente tre o quattro giorni dopo -
e c'è un comunicato germanico che io
potrei citarle, mi pare che sia del 26 o
del 27 - i Tedeschi dissero: "Ci
impegnamo a non usare più Roma come
transito per le truppe alleate", e
arrivarono a dire una cosa ridicola: "I
soldati germanici non potranno prendere
più nemmeno il tram", ecco, si figuri un
po' se era un problema che il soldato
tedesco andasse da una parte all'altra
di Roma in tram, poteva essere un fatto
militare! Ma era un fatto militare il
fatto che questi passassero per Roma,
tant'è che noi abbiamo bruciato un
deposito di carburante tedesco a Via
Claudia, lo bruciò in particolare Carla
Capponi.
D.: Tuttavia le azioni partigiane che
avvenivano a Roma contro i Tedeschi da
uomini importanti del Governo del Sud e
del CLN venivano considerate illegali,
azioni non lecite. Eravate consapevoli
di queste contraddizioni?
R.: Guardi, anche questo è falso. Non è
vero che queste azioni fossero
considerate illegali o illecite. Da
alcuni sono state considerate non
opportune, che è un discorso
completamente diverso.
Ora, quello che ci veniva detto dal
Governo del Sud, Badoglio, "Bisogna
colpire i Tedeschi comunque e dovunque",
da Radio Londra, dalla Radio Libera
dell'America, ci veniva detto soltanto:
"Colpite i Tedeschi dovunque e
comunque", e questa era la parola
d'ordine nostra.
Questi fatti di cui Lei si sta facendo
portavoce sono fatti inesistenti. Non è
vero. La storia è ignorata da coloro che
dicono cose di questo genere.
D.: Nonostante tutto, fino alla bomba di
Via Rasella i G.A.P. avevano portato a
termine già 14 attentati che provocarono
diversi morti e dai quali non seguì -
salvo in un caso - alcuna rappresaglia.
Non fu proprio questa saldezza di nervi
degli occupanti ed una certa
indifferenza della città ad accendere
l'animo dei G.A.P. al punto da
progettare l'agguato di Via Rasella per
dare uno scossone?
R.: No, questa è un'altra delle
interpretazioni inattendibili.
Noi ogni volta che ci ponevamo
l'obiettivo di attaccare i Tedeschi li
attaccavamo cercando di mettercela
tutta. Qualche volta ci siamo riusciti,
per esempio a Piazza Barberini, abbiamo
fatto saltare un camion con dentro
qualche decina di Tedeschi, o per
esempio a Regina Coeli, o per esempio
all'Hotel Flora.
Però, Le dicevo, inizialmente i Tedeschi
non ricorsero alla rappresaglia perché
speravano di beccarci attraverso le
taglie. Lei sa che c'era anche questo
criterio, questo sistema. Lei sa che
Celeste Di Porto, la famosa Pantera
Nera, si vendeva ai suoi correligionari
ebrei a 5.000 lire l'uno, 5.000 lire era
anche una bella somma anche allora.
E questo accadeva anche per noi.
L'azione che ha fatto saltare un
deposito di macchine a Via Barberini ha
comportato una taglia di 250.000 lire, e
così via. Su ogni azione mettevano dei
manifesti dicendo: "... azione.....
diamo 250.000 lire a chi permette
di...", e hanno fatto buca, e quello
perché la popolazione non aveva nessuna
voglia di collaborare con loro.
Noi abbiamo fatto anche dei comizi in
piazza, in mezzo alla gente. Non voglio
parlare sempre di Centocelle, dove mi è
capitato di vedere la gente che si
radunava intorno a noi mentre facevamo i
comizi e i soldati Tedeschi che si
barricavano dentro un negozio abbassando
una saracinesca, proprio in Piazza dei
Mirti. Però, anche altrove, la gente ci
proteggeva e ci difendeva sempre,
regolarmente.
Se non ci fosse stato questo ci
avrebbero preso subito.
D.: Se dopo l'attentato di Via Rasella
non ci fosse stata la rappresaglia come
vi sareste comportati?
R.: Avremmo continuato a fare quello che
abbiamo fatto, perché noi abbiamo
continuato a fare azioni militari contro
i Tedeschi anche dopo l'azione di Via
Rasella.
E tenga conto che qualche giorno dopo...
no, qualche settimana dopo, anzi,
l'azione di Via Rasella, il tradimento
di Blasi ci ha mandato tutti in galera.
Cioè, siamo rimasti in quattro fuori, e
siamo stati dislocati nelle zone delle
montagne intorno a Roma.
I G.A.P. furono ricostituiti con
elementi nuovi però arrivarono gli
Alleati. Hanno fatto qualche azione ma
non fecero in tempo ad entrare
seriamente in combattimento.
D.: E gli uomini che finirono in galera
che sorte ebbero?
R.: Furono condannati a morte. Furono
condannati a morte e dovevano essere
fucilati il 4 giugno. Furono messi sul
camion il 4 giugno da Via Tasso e
dovevano essere portati alla Storta.
Il caso volle che il camion su cui
stavano loro, che era il penultimo -
Bozzi e gli altri che sono finiti alla
Storta stavano in camion precedenti - il
camion su cui stavano loro fu sabotato e
il camion successivo, che era un camion
delle SS, fece scendere questi qui, li
rimandò dentro le prigioni di Via Tasso,
e si presero loro il camion...
Cioè, il camion delle SS fu sabotato,
quindi questi che stavano sul penultimo
camion furono rimandati nelle celle di
Via Tasso e in questo modo si salvarono
la pelle, ed erano Carlo Salinari,
Luigino Pintor, Franco Ferri e altri.
D.: Ma da chi fu sabotato il camion
delle SS?
R.: Questo non glielo so dire.
D.: Perché fu scelta proprio Via Rasella
per l'attentato, e non un'altra strada?
R.: Perché era una strada
sufficientemente deserta,
sufficientemente stretta, che creava
meno rischi per la popolazione.
D.: Perché fu scelto proprio il 23
marzo?
R.: Perché era l'anniversario dei Fasci
di Combattimento, ma l'azione contro
quel reparto, come ripeto, era già stata
studiata e approntata anche al di là del
23 marzo. L'avremmo attaccato lo stesso.
D.: Da chi giunse l'ordine dell'agguato
di Via Rasella?
R.: Dal comando dei G.A.P.
D.: Chi?
R.: Giorgio Amendola.
D.: Come mai non fu deciso di attaccare
ad esempio un corteo fascista, visto che
l'ordine di rinunciare alla
manifestazione - quella fascista - per
la città era giunto appena la sera del
22?
R.: Noi i fascisti li avevamo già
attaccati in Via Tomacelli, ma non
avevamo attaccato il corteo, perché non
attaccavamo i civili, abbiamo attaccato
un reparto della Guardia Nazionale
Repubblicana che precedeva il corteo.
Era il 10 marzo, cioè quando i fascisti
si permisero di fare la commemorazione
di Bassini. Attaccammo e distruggemmo
questo reparto, lasciandone sul terreno
parecchi...
D.: Ci fu una rappresaglia?
R.: No, non ci furono rappresaglie.
D.: Come mai?
R.: .... Ordine del Comando Tedesco: che
i fascisti non uscissero più in pubblico
perché i romani non li volevano vedere.
Non solo, ma i fascisti per il 23 marzo
avevano ipotizzato una grande
manifestazione alla Piramide, e noi
avremmo preparato un doppio attacco, uno
alla Piramide e uno a Via Rasella.
Quello della Piramide non poté più
essere portato a termine - per questo ci
avanzò il tritolo - perché i Tedeschi
dettero l'ordine ai fascisti di non fare
nessuna manifestazione pubblica.
D.: Si è insistito molte volte, ed anche
Lei lo ha affermato in questa sede, che
i Tedeschi uccisi in Via Rasella fossero
delle SS, invece non è vero.
R.: Erano membri di un reggimento voluto
da Himmler, tenuto a battesimo da
Himmler - c'è una documentazione per
questo - che si chiamava SS Polizei
Regiment Bozen, cioè non erano SS come
struttura politica organizzativa, però
era un reggimento di polizia militare
delle SS, e nel titolo del reggimento
c'è proprio "SS Bozen Regiment".
D.: Guardi che erano uomini della
polizia territoriale.
R.: No, è falso, falso.
D.: Gli uomini del Bozen erano di
nazionalità italiana. Molti di essi
avevano combattuto nell'Esercito
Italiano in Russia.
R.: No, non è vero, erano di nazionalità
germanica, e molti di loro avevano
lottato per la nazionalità germanica
prima... nel 1938 quando ci fu l'accordo
sull'Alto Adige tra Mussolini e Hitler.
...Ma anche molti fascisti avevano
combattuto nell'Esercito Italiano. Il
fatto poi, che fossero italiani non
aveva significato. Per noi avevano una
divisa nemica, erano nemici. Cioè, anche
i fascisti erano italiani, che
ragionamento è? Certo, avevano fatto la
guerra, stavano da una parte e
dall'altra, ci siamo sparati, ci hanno
ammazzato loro, li abbiamo fatti fuori
noi, ci siamo sparati. Ma questa cosa è
un'altra delle cose sciocche... un altro
degli argomenti sciocchi che vengono
tirati fuori. Che significava "erano
dell'Alto Adige"? E se fossero nati a
Roma? Avevano la divisa tedesca, dei
soldati tedeschi, stavano in un
reggimento di polizia militare...
territoriale, che significa
territoriale? Certo, mica volavano, non
erano mica uccellini. Territoriali un
cavolo, questi erano... si stavano
preparando a fare la guerriglia
antipartigiana, come hanno fatto altri
del loro stesso reggimento.
Le ho citato l'esperienza del II°
Battaglione - perché questo era il III°
Battaglione che si stava addestrando
nelle operazioni antiguerriglia a Roma -
quelli del II° Battaglione sono i
responsabili delle stragi del Biois, di
Falcade e di 80 rastrellamenti nel
bellunese.
Quelli del I° Battaglione sono
responsabili di una quantità di stragi e
di attività che non conosco peraltro,
per cui non posso documentarmi, mentre
quelli del II° sì, che hanno operato a
Fiume, e io non credo che questi qui che
operavano a Fiume e in Istria fossero
tanto più teneri nei confronti degli
slavi di quanto lo siano stati nei
confronti degli italiani nel bellunese.
D.: Comunque voi avete colpito il
battaglione più innocuo.
R.: Abbiamo colpito un battaglione il
quale quel giorno - questo è stato...
l'abbiamo saputo dopo, ovviamente -
aveva finito le esercitazioni per essere
impiegato nelle operazioni
antiguerriglia probabilmente in questo
senso, in questo senso probabilmente
erano dei territoriali, perché dovevano
fare delle azioni antiguerriglia.
D.: Durante l'esplosione della bomba
morirono anche 7 civili, fra cui un
bambino. E' stato il senso di colpa a
far sì che ostinatamente da parte
partigiana non si sia mai voluto
ammettere che ci siano stati dei morti
italiani eccetto i sud-tirolesi?
R.: Guardi, durante... con l'esplosione
della bomba non è morto nessun italiano.
Io ho fatto delle ricerche all'Anagrafe
di Roma, e non risulta nessun italiano
morto quel giorno per cause di guerra,
mentre risultano quelli che sono morti
il giorno dopo alle Fosse Ardeatine.
Le dirò di più, no, perché il discorso
va completato.
Recentemente ho avuto testimonianza -
credo che ne parli De Simone nel libro
che sta uscendo in questi giorni, "Roma
Prigioniera" - che due persone sono
state... due italiani sono... Robert
Katz nel suo libro libro parla di un
italiano, l'autista di Caruso, morto per
una pallottola vagante il 23 marzo.
Caruso era il Questore di Roma della
polizia fascista romana. Il Prof.
Starelli parla di due ragazzi, o un uomo
e un vecchio, non è chiara la questione,
che ha visto tra i cadaveri dei soldati
tedeschi, e che possono essere stati
uccisi successivamente in seguito alla
reazione spropositata che i Tedeschi
hanno avuto.
D.: Coloro...
R.: Aspetti. Un altro caso che mi è
stato raccontato recentemente proprio da
De Simone: sembra che ci sia al Verano
la tomba di un ragazzo che è morto il 23
marzo, un garzone che è morto il 23
marzo in Via Rasella.
Però di questi 7 di cui si parla nessuno
ne ha mai parlato del nome e cognome e,
torno a dirle, all'Anagrafe non sono
registrati.
Questi tre casi, io ho sentito delle
testimonianze e non posso escluderli, ma
certamente non sono stati colpiti dalle
bombe partigiane.
D.: Beh, non lo può escludere, come fa
ad escluderlo?
R.: Lo posso quasi escludere, perché non
c'era nessuno sulla strada. Lo posso
quasi escludere. Sa, Lei tenga conto che
Roma non era una città affollata in
quell'epoca. Tenga conto che, beh,
insomma, era una città semideserta.
D.: Che ruolo ebbe Antonio Rezza?
R.: Nessuno.
D.: E la sua nipotina?
R.: Nessuno.
D.: Lei conosce il libro di Giorgio
Rossi?
R.: Sì, ma la questione della
partecipazione di Antonio Rezza è pura
fantasia romanzistica. Toto Rezza è
stato un partigiano gappista che ha
fatto parte dei G.A.P di zona, non ha
mai fatto parte dei G.A.P. centrali, che
è venuto anche con me una volta al FUOP
(?), e che poi non fu accolto nei G.A.P.
centrali, o soltanto marginalmente, e
che poi invece è morto in combattimento
sul fronte di Alfonsine, nella battaglia
di Alfonsine, insieme ad un altro nostro
compagno, Silvio Serra, che invece era
della sede.
D.: Come mai si fa tanto mistero sugli
uomini che nel complesso hanno
partecipato all'azione di Via Rasella?
R.: Nessuno ha fatto mistero, soltanto
che si è voluto creare l'uomo-simbolo, e
purtroppo l'uomo-simbolo sono io.
Dico purtroppo per quanto riguarda il
costo che ho pagato nella mia vita per
questo fatto, non perché io abbia
qualsiasi preoccupazione nel ritenere
che Via Rasella non fosse giusto farla o
che comunque non dovesse essere fatta la
Resistenza anche militare, l'esempio che
Le ho portato chiacchierando, della
vespa che punge e mi fa un pomfo, e
delle cento vespe che invece mi
ammazzano, è quello che significava la
Resistenza.
D.: E' detto da molti che diversi uomini
che hanno fatto parte del gruppo di Via
Rasella poi sono stati arrestati dai
fascisti e sono passati armi e bagagli
all'altra parte.
R.: No, questo è stato vero solo per
Guglielmo Blasi, il quale però non è
stato arrestato come antifascista. La
storia di Guglielmo Blasi è molto più
pesante.
Guglielmo Blasi - e questo noi non lo
sapevamo, e il Comando non lo sapeva -
era un pregiudicato, ed è stato beccato
mentre con documenti tedeschi falsi che
noi avevamo, e con una pistola in tasca,
di notte stava svaligiando un negozio.
Fu preso e non aveva scampo, era
condannato a morte, e allora lui disse:
"Alt, Signori, io sono uno di quelli che
hanno fatto l'azione di Via Rasella," -
ed era vero, c'era stato anche lui - "Se
voi mi salvate la pelle, io vi faccio
arrestare... Spartaco, Cola e
quant'altri", e li fece arrestare. Di
più, fece arrestare una quantità
notevole di compagni perché tra l'altro
lui era stato tra i G.A.P. della VI°
Zona, che era quella che gravitava
intorno a San Giovanni, e fece arrestare
una quantità di compagni, e pare che
partecipasse anche all'azione in cui
trovò la morte Colorni, però poi lui è
stato nella banda koch, e anche nelle
altre. Però è l'unico che è passato
dall'altra parte.
D.: Gli uomini del CLN come
considerarono l'attentato di Via Rasella,
o l'azione di Via Rasella?
R.: Ma, guardi, ci sono state opinioni
difformi. Amendola l'aveva raccontato
molto bene. Da parte della Democrazia
Cristiana ci sono state delle riserve,
da parte dei liberali anche, meno e
certamente no da parte dei socialisti e
da parte del Partito d'Azione. Tra
l'altro Giorgio Amendola raccontava che
subito dopo l'azione di Via Rasella lui
doveva avere una riunione del CLN con De
Gasperi, al Palazzo di Propaganda Fide,
quindi a pochi metri da Via Rasella, in
Piazza di Spagna, De Gasperi gli disse:
"Ho sentito un botto. Siete stati voi?",
e la cosa finì lì.
D.: La cittadinanza romana fu concorde
nel deplorare la strage, e perfino il
giornale antifascista "Italia Nuova" la
ritenne insensata.
R.: Se Lei parla di strage penso che si
riferisca alla strage delle Ardeatine.
D.: No, si riferisce a Via Rasella.
R.: Bene, chi dice che Via Rasella è
stata una strage - non posso dire le
parolacce per televisione - è quanto
meno uno sciocco.
Via Rasella è stata un'azione di
combattimento regolata, indetta e
portata avanti da combattenti regolari
che per quella azione sono stati
decorati al Valor Militare.
Quella azione ha comportato anche dei
riconoscimenti da parte del Parlamento
del Governo Italiano quando in qualche
occasione qualcuno si è permesso di
intervenire.
Quell'azione ha provocato da parte di
alcuni familiari, di 5 familiari, 6... 5
familiari dei 335 martiri delle Fosse
Ardeatine un'azione giudiziaria.
Il Tribunale di Roma, la Corte d'Appello
di Roma, la Cassazione a sezioni riunite
riconoscono la legittimità dell'atto di
guerra di Via Rasella, riconoscono la
legittimità dell'azione svolta dai
partigiani e addirittura, in Corte
d'Appello e in Tribunale, ci sono motivi
di elogio nei confronti dei partigiani
che hanno condotto quell'azione..
Ovviamente la Cassazione si è limitata a
dare una risposta di carattere
giuridico.
D.: Io ho parlato con molti ebrei e
anche con molti familiari delle vittime.
Deplorano decisamente l'azione di Via
Rasella.
R.: Non lo metto in dubbio, però ci sono
molti altri che non la deplorano, tanto
è vero che Lei sa probabilmente che il
1° marzo di quest'anno, proprio sulla
base di un'iniziativa presa da un gruppo
di ebrei romani, io ho partecipato con
dei discorsi ad un dibattito su Via
Rasella a cui ha aderito anche la
Comunità Israelitica di Roma.
D.: Che vi aspettavate che potesse
accadere dopo i 33 morti dell'attentato?
Che i Tedeschi avessero rinunciato alla
rappresaglia come nei 13 casi
precedenti?
R.: A prescindere dal fatto che noi
questo problema non ce lo siamo posto:
noi non ci aspettavamo né che facessero
la rappresaglia, né che non la
facessero. Sapevamo comunque che se
avessero fatto una rappresaglia
avrebbero subito, oltre la sconfitta
militare che avevano subito in Via
Rasella, anche una sconfitta politica -
come è stato - gravissima.
Ma c'è di più. Il problema della
rappresaglia noi ce lo siamo posto al
principio, e non solo noi. Tutte le
Resistenze di tutta l'Europa - Francia,
Belgio, Norvegia, Olanda, Jugoslavia,
Cecoslovacchia, Russia, Polonia, il
problema della rappresaglia ce l'avevano
ben presente.
Ecco, il discorso era questo: dovevamo
accettare il ricatto? Noi ci siamo
risposti di no, e sapevamo che queste
azioni che noi portavamo a termine
avrebbero potuto comportare delle
rappresaglie.
C'é di più: quando si dice, come dicono
molti che non sanno bene come vanno le
cose, "ma non doveva essere fatta in
città, doveva essere fatta fuori dalla
città", io invito coloro che dicono
questo a farsi una passeggiata a 60 Km.
da Roma, sul Monte Tancia, sopra Poggio
Catino.
Sul Monte Tancia c'era una brigata
partigiana che ha combattuto duramente
contro i Tedeschi e che è stata
sconfitta, in cui la maggioranza dei
partigiani si è salvata la pelle perché
6 ragazzi, uno dei quali era un compagno
che aveva fatto parte dei G.A.P.
centrali, 6 ragazzi con una
mitragliatrice si sono messi sulla cima
del monte e hanno contenuto l'attacco
della divisione Göring e di due
battaglioni di Camicie Nere. Sono morti
con la mitragliatrice.
Poi sono arrivati i Tedeschi e hanno
scannato come vitelli una trentina di
persone, donne, bambini e vecchi perché,
visto che avevano ammazzato i
partigiani, non c'era più nessuno.
D.: Si è detto molte volte che la notte
tra il 23 e il 24 marzo, cioè prima che
fosse compiuta la rappresaglia delle
Ardeatine, Pietro Koch riuscì a
catturare Franco Calamandrei, che però
fu rilasciato perché non si riuscì ad
identificarlo. Inoltre Pietro Koch
riuscì a sapere anche il nome di
battaglia di chi aveva acceso la miccia
della bomba di Via Rasella. Come si sono
svolti i fatti e quella notte come
l'avete vissuta?
R.: Guardi, questa è una cosa che io per
la verità tra le tante sciocchezze...
dello sciocchezzaio intorno a Via
Rasella questa cosa non l'avevo sentita
mai.
Calamandrei non fu arrestato quella
notte, e i Tedeschi e i fascisti fino a
quando non presero Blasi non capirono
mai com'era avvenuta l'azione di Via
Rasella. Non l'hanno mai capito. Hanno
parlato di bombe di mortaio sparate dal
Quirinale, hanno parlato di un ordigno
lasciato cadere da una finestra di
Palazzo Tittoni, hanno parlato di tutto
ma non hanno mai saputo come è avvenuta
la dinamica di Via Rasella. Gliel'ha
raccontato Blasi, e Blasi poté dire
soltanto il mio pseudonimo perché non
sapeva come mi chiamavo, e disse che era
Paolo, studente in medicina. Però fece
arrestare Calamandrei e Salinari, tanto
è vero che Koch pagò un milione di lire
a quelli che avevano arrestato Salinari
e poi disse a Salinari: "Ecco, c'è
pronto un milione per te se mi dici chi
è Paolo", se mi dici chi è Paolo, non
come prenderlo. E Salinari gli sputò in
faccia, e poi lo pestarono. Lo pestarono
di botte, lo massacrarono Carlo.
D.: Quand'è che fu arrestato Blasi?
R.: Blasi è stato arrestato... Blasi è
stato preso dai Tedeschi verso la fine
di aprile, i primi di maggio, non mi
ricordo... verso la fine di aprile.
Poi, dopo prese contatto con il Questore
Caruso al quale raccontò tra l'altro,
per farsi credito... che noi stavamo
preparando un attacco alla sua
abitazione, che sapevamo gli orari, dove
mangiava, dove usciva, con chi andava,
ecc. ecc.. Blasi era uno di quelli che
con noi aveva fatto questa azione di
individuazione e di studio per eliminare
questo personaggio terribile. Ora,
questa cosa gli dette credito.
Poi Calamandrei, arrestato insieme a
Salinari, fu portato alla Pensione
Iaccarino in Via Romagna, evidentemente
non era ben sorvegliata perché riuscì a
scappare dalla finestra del bagno. Così
venne ad avvertire il Comando: "Badate
che Blasi ha tradito" disse, perché
Blasi, quando si è presentato da
Salinari e dagli altri compagni che poi
ha fatto arrestare, Raul Falcioni,
Duilio Rigioni... si è presentato come
uno che era riuscito a farla franca, e
invece aveva i fascisti intorno che
arrestavano man mano che lui si
allontanava.
Calamandrei ci avvertì, perché se io
avessi incontrato Blasi gli sarei andato
incontro - io non lo conoscevo come
Blasi, ma come Guglielmo - gli sarei
andato incontro: "Oh, bravo, te la sei
cavata", però, avvertiti che fummo, se
incontravamo Blasi gli sparavamo,
ovviamente.
D.: Quella notte come la trascorreste?
R.: Ma, io... ci dividemmo. Non tornai
al deposito di Via Marc'Aurelio. Carla,
io, Giulio Cortini e la moglie fummo
ospitati da una signora ebrea che era la
moglie di un grande eroe della Prima
Guerra Mondiale, Medaglia d'Oro, che era
stato tra l'altro anche un quadro
fascista, che però era morto qualche
anno prima. Il fatto di essere stato
Medaglia d'Oro e quadro fascista non
aveva esentato sua moglie e i suoi figli
dalla persecuzione antiebraica, comunque
era una casa che ci sembrava abbastanza
tranquilla. E lì passammo la notte;
ricordo, c'era la foto del marito,
giovane ragazzo, era chiamato il Caimano
del Piave, era uno di quelli che... col
coltello fra i denti attraversava il
Piave a nuoto, andava dall'altra parte e
colpiva a pugnalate gli austriaci di
guardia dall'altra parte del Piave, era
un Ardito. Stemmo lì, dove c'erano tra
l'altro tutti i ricordi di questo
personaggio straordinario così
coraggioso, così patriotticamente
importante, in questa specie di
sacrario. Passai fino alle tre, le
quattro del mattino a giocare a scacchi
con il figlio di questo eroe della Prima
Guerra Mondiale.
D.: Come si chiamava?
R.: Ma, non c'è bisogno.
D.: Senta, Lei ha conosciuto Massimo De
Massimi?
R.: Mai.
D.: Eppure questo signore ha pubblicato
su un giornale che si chiamava "Italia
Monarchica", nel '49 un articolo...
oppure, ha pubblicato una testimonianza
che La riguarda.
Lui afferma che la notte tra il 23 e il
24 marzo Lei, insieme a Carla Capponi e
Calamandrei, sia stato ospite di casa
sua...
R.: Questo è un mentitore che sa di
mentire.
D.: ...e dice anche delle cose che
risulterebbero un po' compromettenti.
R.: La so la storia. Ma guardi che
questo è un mentitore che sa di mentire,
e su queste cose, in questi
cinquant'anni, su questa cosa me ne sono
capitati tanti mentitori che sanno di
mentire.
Le posso raccontare che queste cose mi
sono capitate anche prima, e cioè nel
corso della Resistenza. Quando stavo a
Palestrina - dopo il tradimento di Blasi
io fui mandato a comandare i reparti
partigiani di Palestrina - mi è capitato
di conoscere due Carabinieri che mi
raccontarono come avevano fatto l'azione
di Via Rasella.
Ho letto su alcuni libri di gente che
dice di ricordare delle cose
completamente false su questo problema.
E Le potrei dire di più, che una mia
amica, una persona di altissimo livello
culturale, e che ha vissuto quei fatti
in qualche modo insieme a noi, anche se
non faceva parte dei G.A.P., arriva
addirittura a dire - questo fra l'altro
fa riflettere sulla verità di certe
testimonianze - e non lo dice in
malafede, guardi, lo dice in perfetta
buonafede, arriva addirittura a dire di
aver letto lei i manifesti con cui
Kesserling chiedeva a quelli che avevano
fatto l'azione di Via Rasella a
presentarsi, noti che questo è stato
smentito. Oltre ad essere impossibile,
perché l'azione di Via Rasella è
avvenuta alle alle 15.45 del 23, e la
rappresaglia è cominciata alle 14.00 del
24, quindi non c'era proprio il tempo
materiale perché fosse emesso un
qualsiasi comunicato. Ma racconta di
averlo letto lei, e badi che è stata
smentita sia da Kesselring, sia da
Kappler, i quali hanno detto che il
manifesto non l'hanno messo, e non hanno
voluto avvertire dopo quell'azione
perché -ha detto Kappler testualmente-
Roma era una città esplosiva.
Tra l'altro questa è una risposta a
quella sua prima domanda, che chiedeva
se Roma era una città tranquilla,
tutt'altro che tranquilla. Kappler
disse: "Roma era una città esplosiva, e
non sapevamo che cosa potesse venir
fuori se avessimo annunciato la
rappresaglia", per cui la rappresaglia è
stata fatta nella più grande segretezza.
D.: Senta, però la Stazione Radio Roma 3
trasmise la richiesta agli attentatori
di presentarsi...
R.: Non è vero, non è vero. E' falso.
Questa è un'altra sciocchezza inventata
da un sacerdote dei Salesiani che è
stata pubblicata sulla Stampa di qualche
mese fa, e a cui ho fatto una rettifica,
e il Salesiano non mi ha risposto.
D.: Senta, si ebbe...
R.: La notizia dell'azione di Via
Rasella e della rappresaglia avvenuta è
stata data dalla Stefani la sera del 24,
a rappresaglia avvenuta, cioè dopo le
8.00, perché la rappresaglia finiva alle
8.00 di sera, ed è stata pubblicata dai
giornali del mattino a mezzogiorno,
perché allora i giornali uscivano a
mezzogiorno in quanto, essendoci il
coprifuoco, i tipografi non potevano
andare la notte a stampare il giornale.
Quindi, niente, Le garantisco che ci si
può fare un volume alto così sullo
sciocchezzaio che è stato raccontato e
detto intorno a Via Rasella.
D.: Senta, però mi è stato detto, a
proposito della testimonianza di Massimo
De Massimi, che Lei non ha contestato
questa cosa con...
R.: Ma, guardi, io non ho mai... io non
ho mai saputo che Massimo De Massimi
parlasse di me, so che parlava di
Calamandrei.
D.: Sì, ma anche di Lei.
R.: Ma, in ogni caso io Le posso dire
anche il nome di dove stavo, non lo
voglio dire per delicatezza nei
confronti delle persone che mi hanno
ospitato, perché... Comunque erano degli
ebrei. Molto famosi. Molto, molto
famosi.
D.: Senta, su qualche libro si
accennerebbe alla possibilità che il
Vaticano abbia saputo della rappresaglia
che si stava organizzando, e non abbia
potuto fare molto per evitarla...
R.: Guardi, su questa questione... Non
c'è dubbio che sugli atti della Santa
Sede... se vuole glieli faccio vedere,
perché ce li ho. Sugli atti della Santa
Sede c'è scritto che un certo Ing.
Ferrero è stato alle dieci e un quarto
in Vaticano, alle dieci e un quarto,
cioè la mattina del 24, alle dieci e un
quarto, al Vaticano per avvertire che ci
sarebbe stata la rappresaglia, e di
questo non c'è dubbio.
E' possibile che Pio XII non sia stato
informato di questo fatto.
Ma c'è di più. C'è stata una biografia
di Pio XII, scritta da Antonio Spinosa,
il quale continua a sostenere che Pio
XII non sapesse niente, e trasferisce
quella data, 24 marzo, ore 10.30,
pubblicata dalla Santa Sede, dagli atti
della Santa Sede, al 25 marzo, ore
10.30, probabilmente, e
involontariamente, commettendo un falso
storico.
Se fosse vero quello che dice Spinosa,
beh, non c'è dubbio, l'annuncio sarebbe
arrivato il 25. Ma la Santa Sede dice
che l'annuncio è arrivato il 24 marzo, e
quindi l'ipotesi corrisponderebbe ad una
qualche realtà.
Io non credo assolutamente che il 24
marzo l'annuncio non fosse stato dato al
Papa.
C'è di più. Questo episodio è stato
riportato in un romanzo americano, mi
pare si chiami "Cent'anni", o "Un
secolo", in cui l'autore americano,
raccontando bene, con sufficiente
abbondanza di particolari, l'azione di
Via Rasella, perché poi introduce tra i
martiri delle Ardeatine uno dei suoi
personaggi, che per altro non
corrisponde ai nomi dei caduti delle
Ardeatine, racconta anche con
sufficiente verosimiglianza, e quindi
l'informazione può averla avuta, così
come aveva avuto l'informazione corretta
dell'azione di Via Rasella e della
strage delle Ardeatine, racconta con
sufficiente verosimiglianza lo stato
d'animo del Vaticano in quella sera tra
il 23 e il 24. Se vuole glielo faccio
vedere.
Io ho saputo dell'avvenuta rappresaglia
il 24 marzo alle ore 12.00 quando
davanti al giornale "Il Messaggero" ho
comperato il giornale e ho letto il
comunicato dei Tedeschi in cui si diceva
appunto "Quest'ordine è già stato
eseguito". In quel momento l'ho saputo.
La nostra reazione. Ci arriva l'ordine
del Comando Militare di preparare subito
una risposta alla rappresaglia, e noi la
prepariamo. E avevano preparato
l'attacco al reparto di polizia che
faceva la guardia a Regina Coeli di cui
conoscevamo il passaggio dei camion per
le vie di Roma.
Eravamo già pronti per fare l'azione e
all'ultimo momento ci è venuto il
contrordine che l'azione non si doveva
più fare.
D.: Perché?
R.: Beh, probabilmente proprio perché si
era creata una certa polemica
all'interno del CLN, cioè il CLN aveva
deciso di non fare la rappresaglia che
peraltro era già stata ordinata dal
nostro Comando.
D.: ... fare?
R.: No, di non fare l'azione... Noi
dovevamo fare l'azione di risposta alla
rappresaglia attaccando un camion e
facendo fuori i Tedeschi che stavano
dentro questo camion.
D.: Ma l'Articolo 29 della Convenzione
dell'Aja non affermava che era proibito
attaccare uomini in divisa di un
esercito senza avere una divisa e far
parte di un altro esercito, e che azioni
di questo tipo comportavano poi la
rappresaglia con uno a dieci ?
R.: Guardi, due cose: primo, sì, esiste
questo articolo e lo sapevamo, e lo so.
Si trattava di dire che non dovevamo
fare la Resistenza. Le rappresaglie...
quell'Articolo indica anche come devono
essere fatte le rappresaglie, e non è
stato questo il modo in cui l'hanno
fatta i Tedeschi.
Difatti, si dice in genere che Kappler è
stato condannato soltanto per 5 uomini
in più che ha ammazzato.
Non è esatto. Kappler è stato condannato
per i 5 uomini in più non perché i 330
corrispondessero al diritto di
rappresaglia, ma perché, essendosi egli
appellato al fatto di aver eseguito un
ordine, l'ordine era che ne uccidesse
solo 330, mentre invece ne aveva uccisi
335. Quindi non c'è stato il
riconoscimento della legittimità
dell'ordine, ma il fatto che lui ha
sopravanzato l'ordine stesso.
D.: Aveva sbagliato Caruso che ne aveva
fatti consegnare 55 invece di 50.
R.: Aveva sbagliato Priebke, che non
aveva tenuto i conti, avevano sbagliato
tutti, però l'ergastolo se l'è beccato
Kappler.
Kappler è stato condannato all'ergastolo
per quei 5 in più, quei 5 in più in
quanto, essendosi egli appellato al
fatto di aver avuto un comando
gerarchicamente valido e a cui non si
poteva sottrarre, aveva fatto 5 morti in
più.
Però, responsabilità è anche di Pribke,
è anche di Caruso e di quant'altri non
ha tenuto bene i conti...
Comunque, un'altra cosa è importante per
quanto si riferisce al diritto di
rappresaglia... Il diritto di
rappresaglia deve essere specificato nei
confronti di azioni dicendo: "Questi
sono gli ostaggi", non "Dieci italiani
per ogni tedesco", ma "Questi sono gli
ostaggi che noi abbiamo individuato se
accade questo", questo precisa...
l'Articolo 29 della Convenzione
Internazionale dell'Aja.
Io ho visto dei manifesti fatti
affiggere da comandi germanici che si
erano mantenuti nell'ambito della Legge
dell'Aja, per esempio a Faenza,
recentemente, nel museo della Resistenza
che sta ad Altocielo, in una località di
montagna sopra Faenza dove c'è stata una
grossa battaglia partigiana, ho visto
questo manifesto in cui il comandante
tedesco dice: "Signori, io non voglio
più attacchi alle truppe tedesche, per
cui gli abitanti del tale villaggio, o
del tale paese che... nel caso avverrà
un attacco... saranno fucilati". Cioè,
faceva riferimento al gruppo degli
ostaggi, non genericamente dieci
italiani per ogni tedesco, ma al gruppo
degli ostaggi e al tipo di azione di
sabotaggio che avrebbe provocato questa
rappresaglia.
In riferimento alla rappresaglia, devo
precisare che von Keitel, comandante
generale dell'esercito tedesco, è stato
condannato al processo di Norimberga,
condannato a morte anche per questo
episodio, che faceva parte dei capi di
imputazione che gli erano stati
addebitati.
E sul problema della rappresaglia voglio
citare una frase della sentenza del
processo di Norimberga: "La rappresaglia
di guerra contro le popolazioni civili,
contro prigionieri di guerra o persone
comunque detenute estranee ai fatti,
contro città o villaggi inermi, è un
crimine contro l'umanità" e, la sentenza
prosegue: "Per un principio morale
superiore, ma anche di fronte alle leggi
degli uomini, la responsabilità degli
orrori di un'ingiusta rappresaglia di
guerra ricade solo ed esclusivamente su
chi la commette. Essa disonora la divisa
dei soldati che la compiono e addita al
disprezzo e alla esecrazione la bandiera
sotto la quale combattono. Essa umilia e
sconfigge in primo luogo la loro stessa
gente". Questo ha sancito in modo
inequivocabile il tribunale di
Norimberga.
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