attualità
insegnare l'italiano agli immigrati
storia di un'esperienza
di Giovanna
D'Arbitrio
Il libro Insegnare l’italiano agli
Immigrati, di Lavinia Oddi
Baglioni (GBE, Ginevra Bentivoglio
EditoriA 2020), inizia con una
concisa introduzione di Augusto
Venanzetti (Coordinatore “Scuola di
italiano C.D.S.-Roma”) sul mondo del
volontariato, in particolare quello
focalizzato sull’immigrazione al quale
Lavinia Oddi Baglioni dato un valido
contributo non solo con le sue
competenze di insegnante, ma anche con
il suo carattere empatico, ironico,
anticonformista, pronto a sperimentare
nuove metodologie didattiche.
Segue la prefazione della stessa autrice
che sottolinea l’importanza di insegnare
la lingua italiana ai migranti
per favorirne più velocemente l’integrazione,
oggi sempre più ostacolata da
strumentalizzazioni politiche e razzismo
che fomentano paure e violenze. I vari
capitoli accompagnano poi il lettore nel
suo coinvolgente percorso di volontaria.
Sulla quarta di copertina si legge
quanto segue: “Nel
presente volume è ripercorsa, in forma
autobiografica, l’esperienza
dell’autrice presso alcune associazioni
di volontariato che si occupano
dell’insegnamento dell’italiano agli
immigrati nonché del loro inserimento
sociale. Il racconto descrive come,
andata in pensione dopo una carriera da
insegnante di ruolo in varie scuole di
ordine e grado, la stessa autrice,
avvicinatasi al mondo del volontariato,
abbia iniziato ad accumulare esperienza
in diverse associazioni di Roma,
approdando infine alla CDS (Casa dei
Diritti Sociali), con cui collabora da
oltre otto anni insegnando italiano agli
adulti, e a Piuculture, associazione per
la quale svolge lezioni ai bambini
presso l’Istituto Guido Alessi. Nel
testo viene narrato, oltre al modo di
insegnare, come sono organizzate tali
strutture e chi sono i volontari che vi
operano, oltre alla descrizione di
alcune attività collaterali (feste, gite
culturali), organizzate per inserire
questi “nuovi cittadini” nel “nostro”
mondo. Gli argomenti sono trattati dal
punto di vista dell’autrice: questo
libro, infatti, non è un saggio e non
intende esserlo, bensì è il resoconto di
una personale esperienza, utile a
rendere l’idea al lettore di come
lavorano le numerose associazioni che
cercano di aiutare i nuovi arrivati ad
avere una vita migliore”.
Senz’altro un libro interessante che si
legge tutto d’un fiato, scritto in uno
stile semplice e spontaneo, ma allo
stesso tempo colto e a tratti non privo
di sottile humour. E per un’insegnante
in pensione, come la sottoscritta, è
stata senza dubbio una toccante e
significativa lettura che ha riacceso
ricordi di esperienze simili fatte nella
Scuola Statale dell’obbligo, nonché in
associazioni di volontariato nei
quartieri a rischio.
Mi sono
stupita per certe goethiane “affinità
elettive” con l’autrice, in particolare
quando afferma che “avere molto
intuito e fantasia, credo che siano le
doti necessarie per un buon
insegnamento, perché quando la lezione è
animata , sia gli allievi che la maestra
si divertono, vuol dire che è riuscita e
che le emozioni non solo sono state
assimilate, ma rimangono nella memoria”,
e poi ancora quando scrive che ”l’insegnamento
è come scrivere un romanzo; non lo si
può imparare in un manuale”.
Anche la
sottoscritta, inoltre, ha dedicato
infinita attenzione agli “ultimi
della fila”, a quelli più umili e di
tutte le razze, poiché sia nei quartieri
a rischio, sia in quelli dell’high
society, purtroppo gli
“svantaggiati” spesso vengono emarginati
e non godono appieno del diritto allo
studio di cui parla la nostra
Costituzione. E poi come l’autrice penso
che se i più bravi della classe
sono considerati in genere più
gratificanti dagli insegnanti, in
realtà il vero successo di un docente si
misura su quelli più difficili,
poiché “la
comprensione della vita con i suoi
problemi e i suoi aspetti negativi e
positivi si sente di più a contatto con
questi ultimi della fila”.
Ho ritrovato, infine, nella scrittrice
lo stesso amore per i giovani, lo stesso
rapporto empatico con gli alunni, lo
stesso entusiasmo di tutti coloro che
cominciarono ad insegnare tra gli anni
Sessanta e Settanta nelle scuole statali
e che per anni hanno lottato, e ancora
lottano, per il diritto allo studio
degli svantaggiati, tra i quali oggi
aumentano sempre più gli immigrati
provenienti da Africa, Asia, America
Latina ed Est Europa: adulti, giovani e
minori (spesso non accompagnati) che
sperano di trovare in Occidente una vita
migliore, dopo indicibili sofferenze e
privazioni di cui non amano parlare per
non riaccendere dolorosi ricordi, come
più volte sottolinea l’autrice.
Ecco ciò
che scrissi in “Scuola di Periferia,
specchio di una società multietnica”,
un articolo pubblicato su “InStoria”
alcuni anni fa: “Malgrado
tutte le difficoltà e le lotte, alla
fine qualche risultato si ottiene sempre
quando si ama il proprio lavoro: oltre
ai gratificanti successi conseguiti da
alunni più motivati e brillanti, si
registrano con gioia i piccoli o grandi
progressi rispetto “ai livelli di
partenza” degli svantaggiati. Non manca
mai, inoltre, il sincero affetto dei
ragazzi, soprattutto di quelli meno
bravi. E quando queste umili, deboli
crisalidi talvolta si trasformano in
trionfanti farfalle, capaci di volare,
otteniamo la più grande ricompensa, sia
come insegnanti che come educatori.
Benvenuti siano anche i figli degli
immigrati allora, se amiamo gli alunni,
ma ci auguriamo che i ministri della
P.I. pensino al futuro della scuola
italiana con riforme adeguate ai tempi”.
Lavinia Oddi Baglioni,
nata a Roma, è laureata in Biologia e in
Psicologia: ha insegnato matematica
nelle scuole statali e in seguito ha
tenuto diversi corsi di Scrittura
autobiografica, sia presso la
Sapienza, Università di Roma, sia
per la Libera Università
dell’Autobiografia di Anghiari.
Attualmente insegna l’italiano agli
immigrati in qualità di volontaria,
esperienza alla quale sono dedicate le
pagine del presente volume. Organizza
inoltre incontri culturali per il “Club
Montevecchio” a Roma, che dirige da più
di venti anni. |