N. 53 - Maggio 2012
(LXXXIV)
Insediamenti dell'Etruria Padana
il centro di Marzabotto
di Ilaria Bendinelli
Nelle
fonti
antiche
(Polibio,
Strabone)
troviamo
riferimenti
espliciti
ad
una
massiccia
presenza
di
Etruschi
che,
attratti
dalla
fertilità
del
suolo,
si
insediarono
nella
pianura
Padana,
dove
fondarono
centri
importanti
quali:
Marzabotto,
Bologna,
Spina,
Adria
e
Mantova.
Alcuni
di
essi,
sono
stati
popolati
dalla
compagine
etrusca
a
partire
dal
IX
secolo
a.C.
(Età
Villanoviana),
è il
caso
di
Bologna
(Felsina
in
lingua
etrusca)
che
ha
restituito
numerose
tombe
di
facies
villanoviana.
Altri
insediamenti,
invece,
vengono
fondati
fra
il
VI e
il V
secolo
a.C.
in
punti
nevralgici
per
il
commercio
internazionale,
è il
caso
di
Adria
e
Spina,
la
prima
fondata
nella
prima
metà
del
VI
secolo
a.C.
a
circa
dodici
chilometri
dal
mar
Adriatico,
al
quale
era
collegata
da
un
canale,
la
seconda
fondata
nel
530
a.C.,
più
a
sud
e
più
vicina
al
mare
rispetto
ad
Adria.
Alcuni
centri,
poi,
che
sono
stati
abitati
fin
da
epoca
più
antica,
vengono
rivitalizzati,
è il
caso
di
Marzabotto
che
viene
rifondata
fra
la
fine
del
VI e
gli
inizi
del
V
secolo
a.C.
e
diventa
punto
nevralgico
per
gli
scambi
commerciali
fra
la
valle
del
Reno
e il
mare
Adriatico.
La
fondazione
o
rifondazione
di
nuovi
centri
di
sviluppo
è
favorita
dalle
città
dell’Etruria
propria,
interessate
sia
allo
smistamento
dei
propri
prodotti
e di
quelli
importati
da
altre
aree
e
ridistribuiti
nell’interno
della
regione
(con
la
mediazione
di
Felsina/Bologna),
sia
all’insediamento
di
parte
della
popolazione
che
era
ormai
in
numero
sovrabbondante
nelle
città
soprattuto
della
costa
tirrenica.
I
centri
etruschi
della
pianura
Padana
accusano
un
calo
di
importanza
commerciale
e
politica
quando,
nel
IV
secolo
a.C.
(390
a.C.),
i
Galli
calano
a
tutti
gli
effetti
nel
territorio
della
penisola.
È
opportuno,
a
questo
proposito,
ricordare
che
la
presenza
gallica
nel
nord
Italia
è
attestata
già
prima
del
IV
secolo
a.C.
dal
rinvenimento
di
epigrafi
nella
loro
lingua,
datate
al
VI
secolo
a.C.,
che
convenzionalmente
vengono
definite
scritte
in
lingua
leponzia,
dal
luogo
del
loro
ritrovamento,
le
Alpi
Lepontine.
In
realtà
si
tratta
di
lingua
gallica
a
tutti
gli
effetti,
ma
la
vera
e
propria
discesa
dei
Galli
nella
penisola
italiana
è
databile
agli
inizi
del
IV
secolo
a.C.,
quando
occuparono
numerosi
centri
della
pianura
Padana,
scesero
nel
territorio
dell’Etruria
propria
assediando
e
saccheggiando
Chiusi
e
giunsero
fino
a
Roma
(nel
390
o
386
a.C.).
Dopo
la
loro
calata
alcuni
centri
etruschi
padani
resisteranno,
altri
invece
scompariranno
nel
corso
del
III
secolo
a.C.,
è il
caso
di
Spina
e
Marzabotto,
altri
ancora
verranno,
invece,
occupati
dalle
popolazioni
galliche
fino
alla
deduzione
di
una
colonia
o un
municipio
romano,
è il
caso
di
Bologna
e
Mantova.
Marzabotto
L’antica
città
è il
miglior
esempio
di
centro
etrusco
organizzato,
del
quale,
purtroppo,
non
conosciamo
il
nome
in
lingua
etrusca.
Secondo
alcune
ipotesi,
il
toponimo
etrusco
di
Marzabotto
sarebbe
Misa,
che
avrebbe
poi
dato
il
nome
al
colle
sul
quale
sorgeva
l’antico
centro,
Pian
di
Misano.
L’insediamento
si
trovava
su
un
pianoro,
chiamato
Pian
di
Misano,
sulla
riva
sinistra
del
fiume
Reno,
sul
basso
appennino
bolognese.
Storia
degli
scavi
Nel
1550
Leandro
Alberti,
nella
Descrittione
di
tutta
Italia,
parla
di
edifici
antichi
di
Misano,
precisando
di
essere
stato
informato
della
loro
esistenza
dagli
abitanti
del
luogo
e di
essersi
recato
direttamente
sul
posto
per
accertarsene.
Altri
dotti
dei
secoli
XVII
e
XVIII
riferiscono
più
o
meno
la
stessa
situazione.
Gli
scavi
veri
e
propri
nell’insediamento
antico
cominciarono
nel
1839,
in
seguito
ai
lavori
per
sistemare
a
zona
di
parco
i
terreni
circostanti
la
villa
Bardazzi,
voluti
dal
nuovo
proprietario,
il
conte
Giuseppe
Aria.
A
questo
periodo
risalgono
la
scoperta
degli
edifici
dell’acropoli
e la
necopoli
settentrionale.
Fra
il
1862-63
e il
1866-69,
a
più
riprese,
partecipò
agli
scavi
il
conte
Giovanni
Gozzadini,
amico
del
conte
Aria.
Giovanni
Gozzadini
aveva
già
effettuato
campagne
di
scavo
a
Villanova,
un
centro
in
provincia
di
Bologna,
nel
1856.
Dalle
scoperte
effettuate
vennero
in
luce
sepolcreti
dell’Età
del
Ferro
(IX-VIII
secolo
a.C.)
caratterizzati
dal
rito
funebre
dell’incenerazione
e
dalle
tipiche
tombe
a
pozzetto
con
custodia
al
cui
interno
si
trovavano
uno
o
più
cinerari
biconici
e
gli
oggetti
facenti
parte
del
corredo
(fibule,
spilloni,
rasoi,
pinzette
depilatorie,
elmi,
ciotole-coperchio,
morsi
equini,
oggetti
da
toilette...).
Questo
tipo
di
sepolture
caratterizza
una
facies
della
cultura
etrusca
(presente
in
quasi
tutti
i
centri
sia
dell’Etruria
propria,
che
dell’Etruria
padana
e
campana),
chiamata
facies
Villanoviana,
dal
nome
della
località
di
rinvenimento,
corrispondente
all’Età
del
Ferro.
In
questo
periodo,
a
Marzabotto,
vengono
riportati
in
luce
alcuni
edifici
dell’impianto
abitativo
che
sono,
però,
scambiati
per
sepolture,
a
causa
del
rinvenimento
di
tombe
galliche
all’interno
di
essi.
Tuttavia,
nelle
campagne
di
scavo
successive,
Gaetano
Chierici
e,
in
particolare,
Edoardo
Brizio,
nel
1888-89,
stabilirono
che
si
trattava
dell’area
urbana
e ne
venne
fatta
anche
una
pianta.
Nella
seconda
metà
del
XX
secolo
nuove
campagne
di
scavo,
dirette
da
Paolo
Enrico
Arias,
Guido
Achille
Mansuelli
e
Giuseppe
Sassatelli,
hanno
permesso
di
mettere
in
luce
l’intero
impianto
abitativo,
approfondendone
l’esplorazione
e
mettendone
in
luce
le
caratteristiche
urbanistiche
e
socio-economiche.
Storia
dell’insediamento
Marzabotto
etrusca
risale
al
periodo
Villanoviano
(Età
del
Ferro,
IX
secolo
a.C.)
. Le
testimonianze
di
questa
facies
sono,
però,
limitate
a
pochi
frammenti
di
impasto
e a
qualche
fibula
e
non
rendono
l’idea
della
consistenza
dell’insediamento.
Databili
alla
facies
Orientalizzante
(VII
secolo
a.C.)
risalgono
alcune
fibule
e
qualche
balsamario
di
tipo
corinzio,
che
sono
andati
distrutti
durante
la
seconda
guerra
mondiale
e
sono
noti
soltanto
da
vecchie
fotografie
conservate
nell’archivio
del
museo
etrusco
locale
che
è
dedicato
al
conte
Pompeo
Aria,
il
quale,
seguendo
il
volere
di
suo
padre
Giuseppe,
ne
inaugurò
la
prima
collezione.
Agli
inizi
del
periodo
Arcaico
(VI
secolo
a.C.)
risalgono
manufatti
greci:
una
testa
marmorea
di
kouros
rinvenuta
nell’area
urbana,
in
una
strada
nord-sud,
parte
del
busto
di
una
figura
maschile
e
ceramica
attica
a
figure
nere.
In
questo
periodo
il
modello
di
struttura
abitativa
è
ancora
la
capanna
straminea.
Una
vera
e
propria
rinascita
della
città
(dovuta
ad
una
rioganizzazione
insediativa
dei
centri
sulla
valle
del
Reno
ad
opera
delle
città
dell’Etruria
propria,
con
la
mediazione
di
Felsina/Bologna)
la
abbiamo
a
partire
dal
tardo
arcaismo
(fine
del
VI-inizi
V
secolo
a.C.,
quando
l’impianto
urbanistico
viene
risistemato,
secondo
un
preciso
piano
regolatore,
in
insulae
(>
insule,
dal
latino
isolati),
con
il
cardo
e il
decumano
maggiori
che
arrivavano
a
quindici
metri
di
ampiezza.
La
pianta
della
città
è
piuttosto
regolare,
orientata
secondo
i
punti
cardinali,
suddivisa
in
otto
quartieri
da
quattro
strade
principali
e
agli
incroci
stradali
sono
stati
riscontrati
cippi
di
confine
che
ripartivano
la
pianificazione
urbana.
All’incrocio
di
due
assi
stradali
è
stato
ritrovato
un
ciottolo,
sul
quale
è
stato
inciso
un
segno
a
croce,
orientato
secondo
i
punti
cardinali.
La
sua
incisione
ha
sicuramente
un
significato
simbolico,
relativo
alla
fondazione
della
città,
che
affonda
sicuramente
le
sue
radici
nell’urbanistica
delle
colonie
greche
dell’Italia
meridionale,
ma è
anche
un
rito
inerente
alle
dottrine
religiose
etrusche
contenute
nei
libri
rituali.
Le
nuove
città
fondate
fra
il V
e il
IV
secolo
a.C.,
in
seguito
alla
colonizzazione
greca,
presentavano
un’ordinata
articolazione
per
assi
viari
tra
loro
perpendicolari,
che
davano
luogo
a un
sistema
di
strade
principali
e
secondarie.
Questo
tipo
di
sistemazione
urbanistica
è
stata
attribuita
all’architetto
Ippodamo
di
Mileto,
che
la
teorizzò
nel
V
secolo
a.C.
e
che
da
lui
prende
il
nome
di
schema
ippodameo.
Certamente
tali
teorie
organizzative
esistevano
già
prima
di
Ippodamo,
ma
in
lui
è
presente
un’elaborazione
nuova,
con
un
assetto
più
armonico
delle
vie.
Ad
Ippodamo
è
attribuita
la
pianta
di
Thuri
in
Calabria,
colonia
ateniese
fondata
nel
444-443
a.C.,
del
Pireo
(il
porto
di
Atene),
voluto
da
Pericle
nel
441
a.C.
e di
Rodi
(isola
del
mar
Egeo)
nel
408-407
a.C.
Adesso,
a
Marzabotto,
le
abitazioni
sono
ricostruite
in
pietra,
con
un
alzato
in
mattoni
crudi
e il
tetto
di
laterizi
e
sono
distribuite
lungo
strade
che
si
intersecano
perpendicolarmente
e
raggruppate
all’interno
degli
isolati.
La
struttura
interna
dell’abitazione
tipica
di
questo
periodo
presenta
una
superficie
di
alcune
centinai
di
metri
quadrati,
con
un
corridoio
interno
che
immette
in
un
cortile
centrale,
al
centro
del
quale
si
trova
una
cisterna
come
riserva
d’acqua
e
sul
quale
si
affacciano
diversi
ambienti:
il
tablino
(stanze
della
casa
riservate
alla
vita
sociale)
e i
cubicoli
(stanze
da
letto).
Direttamente
sulla
strada
si
affacciano,
invece,
i
vani
per
le
attività
lavorative
o
riservati
all’eventuale
esposizione
di
manufatti
prodotti
nel
laboratorio
domestico
e
destinati
alla
vendita.
Abbiamo
testimonianza
diretta
che
all’interno
dei
laboratori
casalinghi
potevano
avvenire
anche
attività
metallurgiche,
ad
esempio
in
un’abitazione
sono
stati
rinvenuti
resti
di
crogiuoli,
tenaglie,
scarti
della
lavorazione
di
ferro
e
residui
di
carbone.
Anche
in
ambienti
esterni,
ma
circostanti
l’abitato
domestico,
sono
state
riscontrate
tracce
di
veri
e
propri
impianti
metallurgici,
insieme
a
matrici
e a
una
testa
di
statua
bronzea,
segno
che
in
alcuni
casi
ci
troviamo
di
fronte
a
case-botteghe.
Nei
ripostigli
votivi
locali
sono
venuti
alla
luce
numerosi
bronzetti
databili
al V
e al
IV
secolo
a.C.,
come
ad
esempio
il
gruppo
di
un
guerriero
e di
una
donna
che
costituisce
la
cimasa
di
un
candelabro.
Alcune
di
queste
opere
bronzee
sono
sicuramente
state
importate
dall’Etruria
propria,
ma
altre
sono
state
prodotte
sul
luogo,
come
statue
monumentali
destinate,
probabilmente,
al
mercato
estero.
I
metalli
arrivavano,
con
ogni
probabilità,
dalle
colline
Metallifere
o
dall’isola
d’Elba,
non
essendo
state
rinvenute
coltivazioni
minerarie
nei
pressi
della
città.
Nella
seconda
metà
del
V e
nel
corso
del
IV
secolo
a.C.,
è
stata
riscontrata
la
presenza
di
vasi
attici
a
figure
rosse,
giunti
in
città
tramite
Adria
e
poi
Spina
che,
trovandosi
a
pochi
chilometri
dal
mare
Adriatico,
commerciavano
direttamente
con
la
Grecia.
Al V
secolo
a.C.
è
databile
un
tempio
in
onore
del
dio
etrusco
Tinia
(il
greco
Zeus
e il
romano
Giove),
rinvenuto
all’interno
dell’area
urbana,
nei
pressi
della
porta
nord.
All’interno
dell’assetto
urbanistico
della
città
rientrano
due
punti
fondamentali
dell’insediamento:
l’acropoli
e le
necropoli.
L’acropoli
si
trova
sull’altura
di
Misanello,
nella
parte
ovest
del
Pian
di
Misano.
Qui
sono
stati
rinvenuti
i
resti
di
cinque
strutture
di
culto,
orientate
allo
stesso
modo
dell’abitato:
un
altare
con
il
mundus
(nella
religione
etrusca
e
romana,
era
una
fossa
circolare
di
fondazione
della
città,
scavata
al
centro
di
essa,
nella
quale
ciascuno
dei
fondatori
portava
un
cumulo
di
terra
del
suo
luogo
di
origine,
insieme
alla
quale
venivano
unite
le
primizie
della
nuova
città.
Da
questa
fossa,
inoltre,
secondo
le
credenze
dell’epoca,
si
riteneva
che
i
morti
potessero
risalire
sulla
terra.),
un
altare
con
base
sagomata
e
gradinata
di
accesso,
un
tempio
tripartito,
un
tempio
a
una
sola
cella
e un
auguraculum
(era
un
antico
recinto
sacro,
orientato
secondo
i
punti
cardinali.
All’interno
di
esso
gli
auguri
traevano
gli
auspici
attraverso
l’osservazione
del
cielo.),
quest’ultimo
ritrovato
nel
punto
più
alto
della
collina.
L’area
riservata
ai
morti
comprende
due
necropoli,
situate
rispettivamente
a
nord
e ad
est
dell’abitato
e
rese
accessibili
attraverso
porte.
Il
tipo
tombale
qui
rinvenuto
è a
fossa
o a
cassone,
costituito
da
lastroni
di
pietra
e
coperto
da
un
ciottolo
fluviale
o da
un
cippo
a
sfera,
bulbo
o
colonnetta.
Il
rito
praticato
è
quello
della
cremazione.
Fra
la
metà
del
IV e
la
metà
del
III
secolo
a.C.,
Marzabotto
viene
occupata
dai
Galli
(scesi
in
Italia
nel
390
a.C.)
che,
insediandosi
nel
centro,
provocano
numerosi
cambiamenti
alla
realtà
locale,
ad
esempio
il
settore
dell’area
urbana
meridionale
viene
abbandonato,
provocando
un
calo
della
popolazione;
inoltre
vengono
costruiti
edifici
più
modesti
di
quelli
di
epoca
etrusca,
che
sono
innalzati
al
di
fuori
del
piano
urbanistico,
addirittura
sulle
carreggiate
stradali;
l’area
riservata
alle
necropoli
non
è
più
separata
dalla
vita
cittadina,
dato
che
sono
state
riscontrate
sepolture,
oltre
che
in
necropoli,
all’interno
dell’impianto
urbano
e
nell’area
occupata
da
abitazioni
precedenti,
ormai
abbandonate.
Questi
repentini
cambiamenti
provocarono
la
fine
dell’insediamento
etrusco.
I
Galli
occuparono
la
città
fino
alla
deduzione
di
un
insediamento
romano
di
piccole
dimensioni,
impiantato
nel
corso
del
I
secolo
a.C.
alle
estremità
nord
orientali
dell’area
abitativa,
un
insediamento
che
fu,
però,
di
breve
durata.
Nel
corso
dei
secoli
dell’impero
romano
la
città
fu
poi
abitata
a
fasi
alterne
come
insediamento
rurale.
L’abbandono
del
centro
ha
favorito,
a
differenza
di
altre
città
che
sono
state
abitate
ininterrottamente
dall’antichità
fino
ad
oggi,
il
mantenimento
dell’impianto
urbanistico
originale.
Riferimenti
bibliografici:
Camporeale
Giovannangelo,
Gli
Etruschi,
storia
e
civiltà,
Torino
2004,
pagg.
62-65,
393-399
Enciclopedia
la
piccola
Treccani,
Milano-Roma
1995,
voll.
I,
VI,
VII
Quilici
Lorenzo-Quilici
Gigli
Stefania,
Introduzione
alla
topografia
antica,
Bologna
2004,
pagg.
85-86,
98-100