.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

.

storia & sport


N. 24 - Dicembre 2009 (LV)

Tutto per un’insalatiera
La gloriosa epopea della Coppa Davis
di Simone Valtieri

 

Strano a dirsi, ma il primo campionato del mondo per nazioni mai disputato nella storia dello sport è quello di una disciplina individuale. L’International Lawn Tennis Challenge, questo il primo nome della competizione tennistica, risale all’anno 1900. Ad affrontarsi sono una squadra americana, selezionata tra le università di Boston e Harvard, e una formazione britannica. L’idea della sfida con una squadra del vecchio continente viene, nel 1899, a un gruppo di studenti iscritti ai circoli tennistici delle due università bostoniane, tra cui il più attivo è Dwight Filley Davis, ottimo giocatore, che a fine carriera annovererà nel palmares una finale di singolare e tre titoli di doppio agli US Open. Davis propugna una sfida tra i migliori tennisti americani e mondiali, da disputarsi con cadenza annuale. Il premio in palio è un’insalatiera, realizzata con 217 once d’argento che, secondo la leggenda, Dwight Davis stesso consegna a un gioielliere di Boston affinché realizzi, su suo disegno, il trofeo.

Il 7 e l’8 agosto 1900, al Longwood Cricket Club, nella città del Massachusetts gli Stati Uniti sfidano, con Davis in campo, i favoriti britannici che schierano, tra gli altri, il finalista di Wimbledon Arthur Gore. Il programma prevede già allora, in una formula ancora oggi in uso, due partite di singolare, una di doppio e altre due di singolare: il primo team a conquistare tre incontri su cinque porta a casa il trofeo. Nel primo incontro Davis vince per tre set a uno contro Ernest Black, mentre nel secondo singolare il favorito Gore si fa però sorprendere da Malcom Whitman. Gli Stati Uniti sono già avanti 2-0, basta loro portarsi a casa il doppio per vincere in anticipo il trofeo. Così avviene: Davis ed il suo compagno Holcombe Ward, si sbarazzano con un triplo “6-4” dei due britannici e conquistano la pregiata insalatiera.

La rivincita tra le due nazionali ha luogo a New York due anni dopo, al Crescent Athletic Club di Brookyln. Il numero uno americano è sempre Malcom Whitman ma stavolta le Isole Britanniche (così chiamate perché rappresentative anche dell’Irlanda) mandano oltreoceano la stella Reggie Doherty. Il primo singolare viene vinto da Whitham per 3-1 contro l’irlandese Joshua Pim, ma Doherty riesce a sconfiggere William Larned al quinto game e a riportare in parità l’incontro. Il doppio, con Davis in campo, è appannaggio della fortissima coppia di fratelli Reg e Lawrence Doherty, già cinque volte vincitori a Wimbledon, che ribalta la situazione e porta in vantaggio gli ospiti. Nel quarto singolare Larned ha la meglio su Pim in tre set, così fa anche Whitman che riesce nell’impresa di sconfiggere Doherty con lo stesso punteggio e di confermare la vittoria di due anni prima.

Il copione sarà questo per altre due edizioni, con gli sfidanti britannici sul suolo americano in cerca di gloria. La vittoria, per mano dei fratelli Doherty, arriva nel 1904 e la coppa attraversa per la prima volta l’oceano per finire nel Regno Unito. Nel 1905 gli Stati Uniti rinunciano alla trasferta e il nuovo avversario per i campioni in carica è il Belgio. Nella tradizionale formula del “Challenge” che prevede tornei di qualificazione tra sfidanti per contendere il trofeo ai detentori, è la formazione fiamminga ad avere la meglio per 3-2 sulla Francia di Max Decugis e Paul Aymé, ed a garantirsi il posto in finale. La Gran Bretagna però conserverà il trofeo con un netto 5-0, così come l’anno seguente, stavolta sui tradizionali rivali statunitensi, emersi da un girone di qualificazione di cinque nazionali.

Nel 1907 la Davis è dell’Australasia, rappresentativa comprensiva di giocatori australiani e neozelandesi, specialisti nel gioco sull’erba. Da lì in poi e per venti anni, due sole squadre (con l’eccezione della Gran Bretagna nel 1912) conteranno le vittorie nel torneo: Australia e Stati Uniti. Nel 1923 si registra il primo grande cambiamento nella formula del torneo e il tabellone degli sfidanti viene diviso in due zone, una americana e una europea, le nazioni vincitrici dei due tabelloni giungevano poi ad una finale “interzona” che qualificava alla partita decisiva contro la squadra detentrice. Il duello al vertice tra americani e australiani vivrà una pausa di dieci anni tra il 1927 ed il 1936. È il decennio dei quattro moschettieri francesi: Jean Borotra, Henri Cochet, Jacques Brugnon e René Lacoste vincono il trofeo per sei anni consecutivi, cedendolo poi ai britannici guidati da Fred Perry per i quattro successivi.

In realtà all’epoca era molto meno complicato di oggi portare a termine una lunga striscia di vittorie nel torneo, grazie alla struttura del formato “Challenge”. La squadra detentrice del torneo aveva, oltre al vantaggio di giocare in casa, anche quello non indifferente di poter scegliere la superficie di gioco più idonea alle caratteristiche dei propri giocatori. In pratica fino al 1972, anno di abolizione della formula, era una vera e propria impresa strappare la coppa ai rivali.

Dal 1937 riprende il predominio di Australia e Stati Uniti. I due team non solo si divideranno le vittorie, ma giocheranno tutte le finali fino al 1959. Sono gli anni più fulgidi del torneo, che dal 1945, dopo la morte di Dwight Davis, sarà conosciuto con il suo nome. I trentacinquemila spettatori che assiepano gli spalti a Sydney, per la finale del 1954, stabiliscono un primato ancora oggi non superato. Ormai da qualche decennio in mano alla federazione internazionale (ITF), la Coppa Davis vede in campo per ogni edizione i migliori giocatori del mondo: Don Budge, Jack Cramer, Ted Schroeder, Pancho Gonzales, Vic Seixas da una parte e Adrian Quist, John Bromwich, Frank Sedgman, Ken Rosewall e Lewis Hoad dall’altra, si contenderanno l’insalatiera d’argento per tre lustri, prima che, con la lenta ma inesorabile ascesa del professionismo e il sempre maggiore interesse nei tornei dello slam, la Davis Cup perderà gradatamente lo status di più ricco torneo tennistico.

Nel 1960 a spezzare la serie interminabile di finali austro-americane sarà l’Italia di Nicola Pietrangeli ed Orlando Sirola che si qualifica per il cosiddetto “Challenge round” superando per 3-2 proprio gli Stati Uniti nella finale “interzona”. Nulla potrà però la formazione azzurra in quel di Sydney contro i fortissimi canguri “erbivori” Rod Laver, Roy Emerson e Neale Fraser che lasceranno ai rivali un solo punto, nell’ultimo ininfluente singolare tra Pietrangeli e Fraser. L’Italia non è un fuoco di paglia e l’anno seguente si qualifica nuovamente per la finale australiana, rimediando però una batosta ancora maggiore: 5-0 a Melbourne per gli erbaioli padroni di casa e nessuno scampo per Pietrangeli e Sirola che pur si erano ben comportati nelle qualificazioni sconfiggendo per 4-1 gli statunitensi.

Gli anni Sessanta sono un decennio di apertura al mondo per il trofeo, che vede affacciarsi nuove realtà come la Spagna di Manolo Santana e Manuel Orantes, il Messico di Rafael Osuna, l’India e la Romania di Ilie Nastase e Ion Tiriac. La coppa però arride sempre ai soliti noti: Australia e Stati Uniti. Il 1972 rappresenta un anno di cambiamenti nella formula, il “Challenge” viene meno e i campioni in carica saranno costretti ad un turno di semifinale prima di poter difendere il trofeo. Alla finale arrivano Stati Uniti e Romania, di fronte per la terza volta in quattro anni, stavolta però in casa dei rumeni. Tutto è pronto a Bucarest per la trappola tesa agli statunitensi, messi in difficoltà più dagli arbitri e dal pubblico che dai giocatori in campo. Stan Smith, il giocatore americano più rappresentativo, supera in tre set nel primo incontro l’idolo di casa Ilie Nastase. Tiriac riporterà in parità l’incontro ma il doppio e la seconda vittoria di Smith contro lo stesso Tiriac, consegneranno il trofeo agli Stati Uniti. A nulla serve l’ultimo punto di Nastase contro Tom Gorman, che fissa il risultato finale sul 3-2. Da quel match in poi il fuoriclasse rumeno sarà accusato in patria di aver venduto la coppa ai “capitalisti” americani, avendo dato l’impressione di non giocare al meglio delle sue capacità.

Fino al 1973 l’insalatiera più famosa del mondo era stata vinta solamente da quattro Paesi, gli stessi che non a caso ospitano gli “slam”, ossia i quattro tornei più prestigiosi del mondo. Dal 1974 però la coppa inizia a viaggiare verso altri lidi. Il trofeo di quell’anno è il solo nella storia di tutta la manifestazione a essere stato assegnato a tavolino, vista la rinuncia dell’India a recarsi in Sud Africa, dove vigeva il regime di apartheid. Se il Sud Africa vince paradossalmente a causa del razzismo, nel 1975 la Svezia vince grazie a Björn Borg. Il trionfo della nazionale scandinava (3-2 in finale contro la Cecoslovacchia) denuncia i limiti di una manifestazione forse troppo ferma nei suoi schemi tradizionali. In taluni casi ,infatti, la storia dimostra che a vincere la Coppa Davis non è la nazione che esprime il movimento tennistico più forte, ma quella col giocatore migliore. Alla Svezia basta avere un fuoriclasse, Borg appunto, che porta a casa i due singolari e il doppio con il modesto Ove Bengtson, per vincere il trofeo.

Nella seconda metà dei Settanta inizia la piccola epopea azzurra. Sono quattro le finali raggiunte dagli italiani in cinque anni, anche se l’unica vinta rimane quella del 1976 contro il Cile. In Sud America l’Italia neanche ci sarebbe dovuta andare, vista la contrarietà espressa dal governo a giocare contro la nazione del dittatore Pinochet. Grazie però all’opera di convincimento nei confronti dell’opinione pubblica e soprattutto del governo, portata avanti dalla federazione e in prima persona da Nicola Pietrangeli, capitano non giocatore dell’Italia, alla fine in Cile si andò. Sarebbe stato un peccato non cogliere un’occasione tanto ghiotta, a cui si era arrivati sconfiggendo gli australiani sulla terra rossa del Foro Italico. La vittoria di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci ed Antonio Zugarelli per 4-1 sul Cile di Jaime Fillol e Patricio Cornejo, rimarrà ad oggi l’unica ottenuta dagli azzurri.

La Coppa Davis diventa in quegli anni l’appuntamento tennistico preferito dagli italiani, più avvezzi agli sport di squadra che a quelli individuali. Gli anni seguenti, infatti, l’Italia sarà protagonista di tre finali perse, la più sfortunata delle quali è sicuramente quella del 1980 a Praga contro la Cecoslovacchia. Oltre a dover giocare contro un campione del calibro di Ivan Lendl, gli azzurri se la dovettero vedere contro l’arbitro, tale Bubenik, che già dal primo match tra Panatta e Smid influì pesantemente sul risultato prendendo decisioni ai limiti del ridicolo. La finale finirà 4-1 per la Cecoslovacchia e l’Italia, dopo aver perso anche le finali del 1977 con l’Australia e del 1979 con gli imbattibili Stati Uniti di John McEnroe e Vitas Gerulaitis, dovranno aspettare altri diciannove anni prima di poterci riprovare.

Negli anni Ottanta il trofeo diventa meno esclusivo, con nuove nazioni che si affacciano alla ribalta. Inizia inoltre, dal 1981, l’era contemporanea della Davis, con l’istituzione del “World Group”, formato dalle migliori 16 nazioni del ranking che si affrontano in quattro turni ad eliminazione diretta. I primi a vincere sono gli Stati Uniti di John McEnroe, stella di prima grandezza che contribuisce ai successi del 1978, 1979, 1981 e 1982. Poi la “pallina” passerà all’Europa, con la Svezia di Mats Wilander presente in sette finali consecutive dal 1983 al 1989, due delle quali perse contro la Germania Ovest del giovanissimo Boris “bum bum” Becker. E’ del 1984 il risultato più sorprendente portato a casa dai nordici, quando si trovano a dover fronteggiare la coppia, sulla carta imbattibile, formata da McEnroe e da Jimmy Connors. Sulla terra rossa di Goteborg però la storia è ancora tutta da scrivere e a prendersi la briga di farlo sono, prima Wilander, 3-0 su Connors, poi il sorprendente Henrik Sundström, che fa fuori in tre set il numero uno del mondo John McEnroe. A completare l’opera ci pensa poi il doppio composto da Edberg e Järryd, anch’esso vincitore a sorpresa contro i più quotati Fleming e McEnroe.

In quel decennio va segnalata anche la presenza dell’Australia, che, seppur priva di fuoriclasse, riesce ad aggiudicarsi il trofeo in due occasioni e sempre sulla Svezia, nel 1983 e nel 1986, grazie soprattutto a Pat Cash e John Fitzgerald. Gli anni Novanta invece si aprono con quella che viene ricordata da tutti come la più grande sorpresa della Storia della Davis. In finale, a Lione, nel 1991 ci sono i campioni in carica degli Stati Uniti con i giovani fenomeni André Agassi e Pete Sampras. Se il tennis fosse matematica i due francesi Guy Forget, tra l’altro non al meglio per via di problemi alla schiena, ed Henri Leconte non avrebbero speranze. Nella realtà però le motivazioni fornite loro dal coach Yannick Noah, la spinta calorosa del pubblico e la superficie in terra battuta, poco gradita ai due yankees, faranno il miracolo. Agassi batte Forget nel primo singolare. Subito dopo però Sampras stecca e Leconte porta in parità il risultato. Il doppio americano è poca cosa di fronte alle motivazioni dei due francesi e nel primo singolare della giornata finale, Sampras non riesce ad avere la meglio su un fantastico Guy Forget che porta a casa in quattro set il punto decisivo. La Francia è campione del mondo contro ogni pronostico.

Gli Stati Uniti si rifanno l’anno successivo con André Agassi e Jim Courier e dopo un intervallo di due anni, in cui nell’albo d’oro si iscriveranno Germania e Svezia, vinceranno a Mosca contro la Russia. Dopo quel successo del 1995, contro una squadra completa composta da Evgeny Kafelnikov, Andrej Chesnokov e Andrej Olhovskiy, Pete Sampras, l’artefice della vittoria, resterà deluso e parteciperà solo saltuariamente alle edizioni future della Coppa. Il motivo è spiegato da una sua dichiarazione: “Sono tornato negli Stati Uniti ma nessuno si era accorto che avevo vinto la Coppa Davis”. La frase è rivelatrice: se gli Stati Uniti non avessero snobbato l’insalatiera d’argento negli anni Novanta, ne avrebbero probabilmente conquistate, visti i valori di cui disponevano, dieci consecutive.

Nel 1998 a Milano, al Forum di Assago dove per l’occasione viene allestito il campo di terra rossa, si presentano i campioni in carica della Svezia contro l’Italia. E’ la prima volta che l’Italia ospita una finale di Coppa Davis e il clima è di assoluta festa. Negli anni Novanta la nazionale di tennis azzurra aveva rialzato la testa dopo un decennio buio, e già nel 1990 si era concessa il lusso di eliminare al primo turno, sulla terra rossa di Cagliari, la Svezia campione in carica di Mats Wilander, grazie ad un incontenibile Paolo Cané. Quindi, nel 1996 e nel 1997, l’Italia aveva raggiunto per due volte la semifinale, perdendo, sempre in trasferta, rispettivamente contro la Francia e la Svezia, in entrambi i casi le formazioni che si sarebbero poi aggiudicate la coppa.

Nel 1998 l’Italia era reduce dal trionfo di Milwaukee per 4-1 sugli Stati Uniti di Todd Martin e si apprestava al sogno di vincere la sua seconda insalatiera. Ma un sogno, si sa, può repentinamente trasformarsi in un incubo ed è quello che accade sul al quinto set del primo singolare, sul punteggio di 6-6 tra Andrea Gaudenzi e lo svedese Magnus Norman. La spalla del faentino Gaudenzi fa crack, e proprio a due passi dall’impresa l’Italiano è costretto a gettare la spugna. Andrea torna in campo eroicamente per farsi prendere a “pallate” nel “tie break”, con una mano fuori uso, ma non serve a nulla. Nel Forum cala il gelo e il primo a consolare l’italiano è l’avversario Norman, sinceramente deluso di concludere in tal modo un match entusiasmante. La finale finisce 4-1 per la Svezia e l’Italia inizia un rapido declino che la porterà ad uscire nel 2000 dal “World Group” ed a vagare fino ai giorni nostri nel limbo della “serie B” della Davis, senza più riuscire a qualificarsi nel tabellone principale.

Il nuovo millennio è foriero di cambiamenti nella geografia del tennis mondiale. Pato Alvarez, coach spagnolo, è tra i maggiori artefici della crescita di un movimento, quello iberico, e della sua uscita dal provincialismo al quale era condannato perché dedito unicamente alla terra rossa. La Spagna, con la regolarità di un orologio svizzero, si aggiudica un titolo ogni quattro anni. L’ultimo, quello del 2008, è il più importante, perché se nel 2000 era stato il “terraiolo” Juan Carlos Ferrero a portare gli iberici al trionfo e nel 2004 il bis era arrivato grazie ai due campioni Carlos Moya e al giovanissimo Rafael Nadal, nel 2008 la vittoria è frutto della crescita di un movimento. Si gioca nella tana dell’Argentina, a Mar del Plata, su una superficie veloce e con un clima da corrida. Forse per questo gli ispanici si esaltano e con gli ottimi Feliciano Lopez e Fernando Verdasco ribaltano una situazione messasi male al primo incontro con la sconfitta di David Ferrer da parte di David Nalbandian.

In un clima analogo arriva anche il primo successo russo, dopo due finali casalinghe perse. Nel 2002 infatti, nella bolgia di Parigi, Marat Safin e compagni conquisteranno la coppa al quinto gioco del quinto match, grazie alla vittoria del giovane Mikhail Youzhny su Paul Henri Mathieu. Il guascone Safin, che definirà “animalesco” il pubblico di Parigi, farà parte anche del secondo successo russo, nel 2006, per 3-2 sull’Argentina, ma non della débacle in finale l’anno successivo contro i non irresistibili americani.

La Coppa Davis è ancora oggi la massima competizione a squadre del tennis mondiale, affiancata nel 1963 dalla Federation Cup, una versione al femminile, e nel 1989 dalla Hopman Cup, che vede la partecipazione di squadre miste. In tutta la sua storia, il mitico trofeo ha visitato le bacheche di dodici nazioni diverse, l’ultima delle quali, la Croazia del bombardiere Ljubicic e dello spilungone Ancic, nel 2005. In finale quell’anno ci arrivò la Slovacchia, altra nazione emergente in un panorama oggi molto vasto e che comprende, tra categorie e raggruppamenti, oltre 130 Paesi. Oggi la coppa, che per quasi 75 anni è stata oggetto di una disputa privata tra le quattro nazioni storiche della racchetta, è ambita da un numero sempre maggiore di nazionali che possono sperare, se il dio del tennis li benedice con la nascita di almeno un campione, di conquistarla. Questa sua caratteristica di rimanere aperta alla vittoria anche per una selezione che non necessariamente è espressione della migliore scuola, resta figlia di una storia ultrasecolare e di una tipologia di confronto, quella sui quattro singolari e un doppio, mai evolutosi in 109 anni. È probabilmente per questo motivo che ancora oggi centinaia di tennisti si danno battaglia nei quattro weekend dedicati alla Davis ogni anno, con la speranza di poter un giorno sollevare al cielo un’insalatiera d’argento e rendere per questo fiero un intero popolo.


 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.