[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 159 / MARZO 2021 (CXC)


moderna

IL VESCOVO INNIGO CARACCIOLO A COLLI

UN ESEMPIO DI VISITA PASTORALE

di Alfredo Incollingo

 

I primi resoconti di visite pastorali risalgono al XIII secolo. I vescovi medievali, seguendo un’antica tradizione della Chiesa Cattolica, ispezionavano a cadenza regolare le parrocchie sotto la loro giurisdizione. Cadute in disuso nel corso dei secoli, erano tornate a essere obbligatorie con il Concilio di Trento per far fronte all’insidiosa espansione delle chiese protestanti.

 

Si legge nei documenti conclusivi del concistoro tridentino che le visite pastorali erano utili per “propagare la dottrina sacra e ortodossa estromettendo le eresie, difendere i buoni costumi, correggere quelli cattivi e con esortazioni esortare il popolo alla devozione, alla pazienza e all'innocenza”. Si sarebbe così arginato, prima che fosse troppo tardi, il diffondersi del protestantesimo o di qualsiasi altra deriva morale e spirituale dei fedeli.

 

Innigo Caracciolo, vescovo di Aversa e abate commendatario di San Vincenzo a Volturno, aveva visitato le parrocchie di sua pertinenza tra il 22 maggio e il 10 giugno 1697, arrivando a Colli a Volturno (IS) il 5 giugno.

 

Dopo aver lasciato Scapoli (castro Scappuli), il Caracciolo aveva raggiunto con il suo seguito il castrum Collium (“castello di Colli”, in italiano) per ispezionarne la parrocchia. Era stato accolto dal clero e dai fedeli festanti e aveva trovato gradevole il piccolo borgo molisano per la sua felice posizione geografica e per l’abbondanza dei raccolti.

 

Il vescovo aveva celebrato una messa nella Chiesa Madre, intitolata a Santa Maria Assunta, per poi ispezionare l’intero edificio. Dopo aver autenticato le reliquie, si era riscontrata la buona conservazione degli oli sacri e la presenza di una fonte battesimale, di due confessionali, di ben cinque altari, compreso quello maggiore, e di una sacrestia, al di sotto della quale era stato realizzato un sepolcro per tumularvi i membri del clero. Il cimitero per i laici, invece, si trovava all’esterno, nei pressi della Chiesa Madre.

 

Il vescovo aveva osservato di persona nella “cappella maggiore” alcune crepe sulle pareti, così profonde da mettere in pericolo la solidità dell’intera struttura. Secondo quanto stabilito da Innigo Caracciolo, l’Università avrebbe dovuto provvedere alle spese di riparazione di quelle preoccupanti fenditure.

 

Il vescovo aveva visitato anche le chiese di Sant’Antonio da Padova e di Santa Maria delle Acque (oggi scomparsa), che si trovavano, all’epoca, fuori il centro abitato. Per ragioni ignote, invece, non aveva fatto visita alla cappella di Sant’Antonino che, pur trovandosi nel limitrofo feudo di Valle Porcina, era di pertinenza dell’arciprete di Colli.

 

All’esterno del centro abitato era «sita» anche la chiesa laicale di San Leonardo e il vicino ospedale riservato all’accoglienza dei mendicanti, dei viandanti e di quanti avessero bisogno di un rifugio. Il luogo di culto, infatti, era di proprietà dell’Università e i sindici eleggevano un procuratore laico che ne amministrasse i beni e le risorse finanziarie. Le autorità ecclesiastiche locali erano chiamate a vigilare attentamente sull’amministrazione della chiesa di San Leonardo.

 

Il Caracciolo, inoltre, aveva promulgato una serie di decreti riguardanti la somministrazione dei sacramenti e la gestione dell’arcipretura e delle «chiese confraternite, ospedali et altri luoghi pii».

 

Era stato prescritto che le elemosine raccolte dalle confraternite fossero utilizzare secondo la «pia intenzione», ovvero dovevano essere destinate alle opere di carità. Gli amministratori laici erano chiamati a presentare una nota su «tutti gli effetti delle suddette chiese, ospedali, confraternite e Monti di Pietà o altri luoghi pii» (censi, debiti, affitti…), «sottoscritta dai procuratori con l’assistenza del Paroco e di due persone secolari de più vecchi e timorati». Qualora non fosse stato rispettato questo ordine, i curatori non sarebbero stati più rieletti.

 

Infine, il vescovo aversano aveva ordinato che i rendiconti non fossero “più in libretti annuali di ciascun officiale (i procuratori), perché in ogni tempo possa agevolmente vedere lo stato presente e de gli anni passati”. I sacerdoti incaricati di celebrare le messe nelle “chiese confraternite” erano incaricati di sorvegliare la redazione dei libri contabili e di presenziare all’elezione degli amministratori laici.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Turchini, Una fonte per la storia della cultura materiale nel XV e XVI secolo: le visite pastorali, in “Storia della cultura materiale”, vol. 11 (1976), n. 31, pp. 299-309. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]