N. 47 - Novembre 2011
(LXXVIII)
L’indipendenza del Texas
Una storia di coraggio e caparbietà
di Giovanni De Notaris
Stato della stella solitaria, patria di presidenti, terra simbolo del Far West e della pena di morte; nonostante faccia parte degli Stati Uniti viene considerato dai suoi abitanti come una nazione autonoma, slegata dal contesto sociale, culturale e politico americano.
Questa
rivendicazione
di
originalità
e di
estraneità
al
contesto
statunitense
è
frutto
di
motivazioni
molto
lontane
nel
tempo,
dovute
al
fatto
che
i
texani
conquistarono
da
soli
la
propria
indipendenza.
Tra
gli
anni
Trenta
e
Quaranta
dell’Ottocento
quando
gli
Stati
Uniti
attraversavano
un
profondo
cambiamento
sociale,
economico
e
demografico
-causato
anche
da
una
forte
immigrazione-,
che
sfociò
nella
crisi
finanziaria
del
1837,
si
rese
necessario,
ancora
una
volta,
espandere
il
territorio
per
contenere
l’incremento
demografico.
Furono
gli
anni
della
presidenza
di
Andrew
Jackson,
anni
in
cui
già
iniziava
a
affermarsi
la
divisione
tra
un
sud
schiavista
e un
nord
più
proteso
verso
l’industrialismo
moderno.
La
divisione
si
sarebbe
resa
ancora
più
palese
con
l’espansione
verso
sud-ovest
perché
avrebbe
permesso
l’ingresso
nell’Unione
di
nuovi
stati
schiavisti,
che
con
le
loro
idee
avrebbero
alterato
gli
equilibri
del
Congresso.
Un
caso
emblematico
fu
quello
della
provincia
messicana
di
Coahuila
y
Tejas
(termine
poi
americanizzato
in
Texas).
Fin
dagli
anni
Venti,
con
l’autorizzazione
del
governo
messicano,
coloni
americani
avevano
cominciato
a
insediarsi
in
quella
provincia,
in
seguito
all’indipendenza
concessa
al
Messico
dalla
Spagna
nel
1821.
Tra
il
1821
e il
1835
però,
il
numero
degli
immigrati
crebbe
vertiginosamente.
Ben
35.000
americani
si
installarono
nella
provincia
del
Tejas
portando
con
sé
le
loro
tradizioni,
schiavitù
compresa,
che
il
governo
messicano
avrebbe
poi
abolito
nel
1829.
In
un
primo
momento
il
Messico
tollerò
il
fatto,
anche
perché
i
coloni
facevano
produrre
le
terre
dove
lavoravano,
ma
con
il
tempo
la
zona
era
divenuta
totalmente
abitata
solo
da
americani,
trasformandosi
di
fatto
in
una
provincia
degli
Stati
Uniti.
In
realtà
già
nel
1827
sotto
la
presidenza
di
John
Quincy
Adams
si
tentò
di
rinegoziare
il
confine
con
il
Messico,
ma
il
piano
fallì.
Quando
Jackson
salì
alla
presidenza,
nel
1829,
ricominciò
a
premere
per
l’integrazione
del
Tejas
nell’Unione.
A
quel
punto
il
governo
messicano
bloccò
l’immigrazione
e
decise
di
porre
alcune
restrizioni
all’ingresso
nella
provincia;
cosicché
nel
1830
fu
varata
una
legge
che
proibiva
l’immigrazione
verso
il
Tejas.
A
tal
proposito
sarebbe
curioso
ricordare
agli
americani
di
oggi
come
i
primi
flussi
migratori
non
furono
quelli
dal
Messico
verso
gli
Stati
Uniti,
bensì
il
contrario;
e
come
i
primi
a
bloccare
l’immigrazione
verso
il
loro
territorio
furono
proprio
i
messicani,
che
avrebbero
bisogno
oggi
della
stessa
ospitalità
che
concessero
ai
vicini
yankees,
invece
di
essere
accolti
a
colpi
di
fucile.
Ma
andiamo
avanti.
In
Messico
intanto
era
salito
al
potere
il
generale
Antonio
López
de
Santa
Anna
che
aveva
instaurato
una
dittatura
militare,
varando
poi
una
nuova
costituzione.
Intolleranti
verso
un
regime
violento
e
antidemocratico,
i
texani
si
rivoltarono
e si
dotarono
nel
1833
di
una
propria
costituzione.
Nel
1835
formarono
ufficialmente
il
loro
primo
governo
autonomo
con
sede
provvisoria
nella
città
di
San
Felipe
de
Austin,
dichiarando
quindi
la
piena
indipendenza
dal
Messico.
La
reazione
del
governo
rivoluzionario
non
si
fece
attendere.
Nel
febbraio
del
1836
Santa
Anna
marciò
verso
la
città
di
San
Antonio
de
Bexar,
dove
circa
duecento
americani
si
erano
rifugiati
nella
missione
francescana
di
Alamo.
Tra
coloro
che
con
i
coloni
parteciparono
alla
difesa
della
missione
è
ovvio
citare
almeno
due
protagonisti:
David
Crockett,
congressman
del
Tennessee,
ben
radicato
nell’immaginario
comune
a
stelle
e
strisce,
e
James
Bowie,
famoso
per
aver
creato
il
pesante
coltello
da
caccia
usato
ancora
oggi,
e
che
porta
il
suo
nome:
il
Bowie
knife.
Il
massacro
di
Alamo
è
tutt’oggi
uno
dei
miti
più
vivi
della
frontiera
americana
e
simbolo
assoluto
della
resistenza
texana.
Il
cinema
lo
ha
celebrato
con
alcuni
casi
memorabili
come
La
battaglia
di
Alamo,
interpretato
da
John
Wayne
nel
1960,
e il
più
recente
Alamo
con
Billy
Bob
Thornton,
del
2004.
L’assedio
dunque
ebbe
inizio
il 6
marzo
e si
concluse
in
circa
novanta
minuti.
Fu
un
massacro
cruento
e
totale.
Uomini,
donne
e
bambini
furono
orrendamente
sterminati
dalle
truppe
del
generale
Santa
Anna,
come
esempio
per
altri
americani
che
intendessero
ribellarsi
e
rendersi
autonomi.
Alamo
però
non
fu
l’unica
sconfitta
cruenta
nella
storia
dell’indipendenza
del
Texas.
Altro
caso
simile,
ma
meno
celebre,
fu
quello
della
città
di
Goliad
nel
sud-est
del
Tejas.
Lì
difatti
vi
fu
un
altro
massacro
a
opera
dei
soldati
messicani
verso
i
coloni
americani.
E
con
questi
due
scempi
la
rivolta
texana
sembrava
sedata.
Le
vittorie
di
Santa
Anna
furono
però
anche
la
causa
della
sua
sconfitta.
Per
gestire
questa
doppia
campagna,
il
generale
aveva
chiaramente
dovuto
dividere
in
due
l’esercito,
esponendosi
più
facilmente
a
eventuali
attacchi,
non
previsti
però,
dato
che
gli
Stati
Uniti
di
Jackson
non
volevano
intervenire
per
evitare
una
guerra
con
il
Messico.
Ma
il
pericolo
in
realtà
non
venne
dagli
States.
I
messicani
avevano
sottovalutato
la
resistenza
e la
tradizionale
caparbietà
dei
texani,
che
galvanizzati
dagli
orrendi
massacri
avvenuti
furono
ancora
più
spronati
a
mantenere
la
loro
indipendenza.
Il
21
aprile
circa
novecento
ribelli
guidati
dall’ex
governatore
del
Tennessee
Sam
Houston
-con
l’informale
beneplacito
di
Jackson-
attaccarono
l’esercito
messicano,
dalle
parti
del
fiume
San
Jacinto,
annientandolo.
Catturato,
Santa
Anna
fu
costretto
a
siglare,
a
Velasco,
la
resa
ufficiale,
con
conseguente
ritirata
dell’esercito.
A
quel
punto
-seppur
non
ufficialmente
per
il
Messico-
la
repubblica
del
Texas
divenne
indipendente
e
aperta
a un
possibile
ingresso
negli
Stati
Uniti.
La
vittoria
di
Houston
fu
accolta
positivamente
da
Jackson
stesso.
Il
governo
messicano
però
cominciò
a
pensare
che
fosse
stato
proprio
il
presidente
americano
a
fomentare
e
sostenere
militarmente
e
economicamente
i
ribelli
texani;
inoltre
il
trattato
di
indipendenza
del
Tejas
doveva
essere
ancora
ufficialmente
negoziato
con
il
governo
messicano.
Poi
c’era
il
problema
dell’annessione.
A
Washington
però
si
temporeggiava,
temendo
che
l’ingresso
del
Texas
nell’Unione
potesse
implicare
l’aggiunta
di
un
altro
stato
schiavista,
cosa
che
non
rendeva
certo
entusiasti
gli
abolizionisti.
Il
1836,
inoltre,
era
anno
di
campagna
elettorale,
oltre
che
l’ultimo
dell’amministrazione
Jackson,
quindi
il
presidente
non
voleva
inimicarsi
gli
abolizionisti
per
non
danneggiare
nella
corsa
alla
Casa
Bianca
il
suo
successore
Martin
Van
Buren.
Cosicché
la
situazione
rimase
in
una
fase
di
stallo
per
un
certo
periodo
fino
agli
inizi
degli
anni
Quaranta,
quando
la
crisi
economica
era
stata
superata
e la
pressione
per
l’annessione
del
Texas
si
rafforzò.
Si
riteneva
infatti
che
il
Lone
Star
State
per
tutelarsi
dalle
mire
messicane
potesse
instaurare
rapporti
economici
e
militari
con
l’Inghilterra
riportando
così
lo
straniero
in
casa.
Per
il
trattato
di
annessione
sarà
necessario
attendere
fino
al
1845,
provocando
la
guerra
con
il
Messico,
che
reagì
attaccando
le
forze
americane
stanziate
sul
Rio
Grande.
Nel
1848
il
presidente
James
K.
Polk
firmò
il
trattato
di
pace
di
Guadalupe
Hidalgo
ponendo
fine
alla
guerra
e
guadagnando
al
suo
paese
un’altra
importante
fetta
di
territorio,
comprendente
gli
stati
del
sud-ovest.
In
conclusione
poi,
non
bisogna
dimenticare
che
il
caso
dell’annessione
del
Texas
è da
considerarsi
come
uno
dei
preamboli
della
guerra
civile.
Difatti
proprio
a
seguito
della
guerra
con
il
Messico
la
frattura
tra
nord
e
sud
diventò
sempre
più
difficile
da
sanare.
Lampanti
e
ben
radicate
erano
ormai
le
differenze
tra
la
due
parti
del
paese:
industrialismo,
protezionismo,
mantenimento
o
meno
della
schiavitù.
Nuovi
compromessi
si
rivelarono
fragili
e
insufficienti.
La
guerra
civile
con
tutto
il
suo
carico
di
orrori
e
morti
cominciava,
seppur
timidamente,
a
delinearsi
all’orizzonte.
Ma
questa
è
tutta
un’altra
storia.
Riferimenti
bibliografici:
Wilentz
S.,
Andrew
Jackson,
Times
Books,
New
York,
2005