SULLA STORIA DI PANAMA
I /
Dalla “scoperta” all’indipendenza
del PAESE
di Lorenzo Bruni
Quando Cristoforo Colombo, al
culmine del suo quarto viaggio nel
Nuovo Mondo, mise piede su quella
terra fino ad allora sconosciuta,
nutriva la viva speranza di poter
trovare un passaggio che lo portasse
nel minor tempo possibile dall’altra
parte del continente. Quel nuovo
territorio, che il navigatore
genovese chiamò Castilla del Oro
in onore della regina Isabella
di Castiglia e con l’implicita
preghiera di trovarvi ogni tipo di
ricchezza, fu però avaro di
soddisfazioni per Colombo: dopo mesi
passati alla disperata ricerca di un
passaggio che gli ritornasse la fama
e la gloria che aveva pregustato con
la scoperta della nuova rotta e che
poco a poco aveva perduto, il
malcontento della propria ciurma e
la scarsezza dei viveri lo
costrinsero a un triste ritorno in
patria, dove morì nella miseria
pochi anni più tardi. Nonostante il
fallimento della missione, però,
Colombo aveva consegnato ai posteri
una sicurezza: quel lembo di terra,
che ai giorni nostri è noto come
istmo di Panama, era indubbiamente
il più sottile ostacolo posto a
dividere i due oceani.
Pochi anni più tardi la conferma
giunse grazie al viaggio di un altro
esploratore, Vasco Nunez de Balboa,
che, dando adito alle voci degli
indigeni del luogo, i quali
sostenevano che oltre le montagne vi
fosse un oceano pieno d’oro,
attraversò tutto l’istmo, diventando
con ogni probabilità il primo
europeo a scorgere l’Oceano Pacifico
e scoprendo così quanto sottile
fosse quel pezzo di terra. Il
destino dello spagnolo fu, se
possibile, ancor più crudele di
quello capitato a Cristoforo
Colombo: la fama e il successo che
aveva ottenuto prendendo quel
territorio a nome del regno di
Spagna gli procurò le antipatie del
suocero, nonché governatore
dell’istmo, Pedro Arias Davila, che,
con l’accusa di tradimento e
cospirazione, nel 1517 lo fece
arrestare e decapitare.
Con la scomparsa di Balboa, per
lungo tempo la ricerca di un
passaggio verso l’Oceano Pacifico
passerà in secondo piano. Il
territorio dell’istmo infatti
diventerà un importantissimo snodo
commerciale tra la madrepatria
spagnola e i suoi numerosi
possedimenti nell’America del Sud,
accumulando ricchezze e prestigio.
Così come per l’esploratore iberico,
però, anche per quel territorio si
tratterà di un benessere molto
fugace: nella seconda metà del XVII
secolo, infatti, la regione
coloniale e il commercio che in essa
si praticava furono messi in
ginocchio dall’intensissima attività
piratesca, in particolare quella di
Henry Morgan che, nel 1671, attaccò
la capitale, Panama City,
saccheggiandola e dandole fuoco
.
Con la rovina della città,
ricostruita appena due anni dopo in
un territorio leggermente più a Sud
rispetto all’originale, ma ben lungi
dallo splendore che godeva
l’insediamento primario, ebbe inizio
anche la lenta e inesorabile
decadenza del regno spagnolo, che si
protrasse per il secolo successivo,
fino a che l’intera zona non decise
di ribellarsi per ottenere
l’indipendenza: grazie all’opera
carismatica di Simon Bolivar, nel
1811 la “Grande Colombia” si
dichiarò indipendente dal giogo
europeo.
Appena un decennio dopo, anche il
territorio di Panama formalizzava la
propria dichiarazione d’indipendenza
a scapito della Spagna, unendosi
alla Repùblica de Colombia.
Quando questa si sciolse, nel 1831,
Panama rimase provincia colombiana.
Mentre il XIX secolo andava
maturando, sempre più prendeva piede
nella mente di imprenditori,
commercianti o anche soltanto
visionari, l’idea di un canale
artificiale che connettesse l’Oceano
Atlantico con quello Pacifico. Non
era certo un pensiero spuntato dal
nulla e all’improvviso: nel corso
della storia dell’istmo, già
spagnoli e inglesi avevano
progettato di scavare la terra per
rendere questo sogno realtà,
ma
ogni
loro
buon
proposito
era
andato
naufragando
nell’impossibilità di un’azione così
colossale.
Nonostante
un
timido
approccio statunitense, quasi
subito ritrattato a causa della
guerra civile, furono i francesi a
muoversi con maggior decisione: nel
1879 venne formata a Parigi la
French Panama Canal Company. Il
suo fondatore era un uomo già
conosciuto dalle masse per la
propria abilità imprenditoriale: il
francese Ferdinand de Lesseps, noto
al mondo per aver inaugurato nel
1869 il Canale di Suez. Nonostante
la grande quantità di fondi e di
mezzi, sia umani che tecnici,
impiegati nel tentativo di costruire
il canale, il progetto di de Lesseps
fallì nell’arco di un decennio.
Molte le cause di questo disastro
quasi senza precedenti: innanzitutto
l’aver sottovalutato la mole
dell’impresa, soprattutto da parte
di de Lesseps, deciso a voler
costruire un canale ricalcando il
modello di Suez. Infatti, nonostante
i pareri contrari degli addetti ai
lavori, in particolare quello del
capo ingegnere Luciano
Bonaparte-Wyse, che consigliavano di
costruire un canale seguendo un
progetto che prevedeva delle chiuse,
de Lesseps optò per la costruzione
di un più costoso canale a livello,
così come, appunto, aveva fatto a
Suez. Questa decisione, che non
teneva conto della conformazione del
terreno panamense, si rivelerà
tragica a causa degli elevati costi
d’attuazione.
Ulteriore motivo per il fallimento
dell’impresa fu uno dei più
terribili flagelli panamensi, ben
noto agli europei, ma non affrontato
con la dovuta accortezza: la febbre
gialla. Nonostante la costruzione di
due ospedali, uno a Panama City e
l’altro a Colon, la medicina era
impreparata e inadeguata, l’acqua
pulita scarseggiava e nelle città
erano ben evidenti i problemi legati
all’igiene. Si calcola che, su un
totale di 86.800 lavoratori, ben
52.000 siano stati curati per il
morbo e di questi ne siano morti
6.283.
Infine, decisiva per il disastro
finale, fu la diffusa corruzione che
albergò fin dai primi momenti
all’interno delle sfere alte del
progetto: molti degli uomini che
circondavano de Lesseps si
arricchirono disonestamente
e
una
cifra imprecisata
di
denaro
fu sperperata in opere di
costruzione inutili e appariscenti.
Accortosi che il denaro stava
venendo meno, de Lesseps tentò di
utilizzare gli ultimi fondi a sua
disposizione, forniti da piccoli
risparmiatori che ancora guardavano
con ammirazione al progetto
dell’imprenditore francese, per
corrompere alti funzionari statali,
di modo da ottenere finanziamenti
pubblici, ma nei primi mesi del 1889
rimandare il fallimento non fu più
possibile: la società fu messa in
liquidazione giudiziaria e migliaia
dei francesi che avevano investito
su de Lesseps e il suo visionario
progetto si trovarono rovinati.
Quando, nel 1893, i principali
fautori di quel disastro
imprenditoriale furono portati a
processo, sia per la catastrofica
gestione dei fondi che per
corruzione, la reputazione di de
Lesseps era ormai crollata in un
profondo baratro, così come la sua
salute: condannato a sei anni di
galera, l’anziano uomo che un tempo
aveva scolpito la terra seguendo i
suoi sogni sprofondò nella
desolazione e, l’anno successivo,
morì.
Nonostante la drammatica
conclusione dell’avventura
francese a Panama, l’idea di
costruire un canale era ben lungi
dal tramontare, anzi,
acquistò addirittura maggior
vigore.
Questa
volta,
a
mettersi
direttamente
in gioco, furono gli Stati
Uniti. Al termine della guerra
contro la Spagna, conclusasi nel
1898, infatti, due aspetti divennero
loro perfettamente evidenti: il
primo era che, per navigare da un
oceano all’altro, si impiegavano
quasi due mesi: un lasso di tempo
decisamente eccessivo; il secondo
era che proprio loro sarebbero stati
i maggiori fruitori di quel
passaggio.
Dopo attenta analisi, fu proposto
dal presidente Roosevelt e approvato
dal Congresso di costruire il canale
non in Nicaragua, come si era
inizialmente pensato, bensì a
Panama. L’avvio delle relazioni con
la Colombia, del quale il territorio
interessato continuava a essere un
distretto, diede un iniziale esito
positivo: il 22 gennaio 1903 fu
concordato un trattato tra
l’incaricato colombiano Tomas Herran
e il segretario di stato
statunitense John M. Hay che
prevedeva la concessione del
territorio panamense interessato
alla potenza nordamericana per un
periodo di cento anni in cambio di
un pagamento di dieci milioni di
dollari immediati, più altri
duecentocinquantamila dollari ogni
anno.
Tutto sembrava volgere per il
meglio, ma accadde l’inaspettato: il
12 agosto dello stesso anno il
governo colombiano respinse
l’accordo. Difficile pensare che la
principale motivazione del rifiuto
sia stata di carattere
nazionalistico, mentre appare molto
più concreta l’ipotesi, avvalorata
dai sospetti di un furioso
Roosevelt, che il governo colombiano
avesse deciso di considerare troppo
bassa l’offerta economica
statunitense.
Comunque si siano svolti i fatti, è
certo che la rabbia dello Stato
nordamericano fosse elevatissima:
già prima della mancata ratifica
dell’accordo, il segretario di stato
Hay aveva informato il ministro
colombiano degli affari esteri che
il proprio governo avrebbe rimpianto
ogni azione contraria alla
costruzione del canale. Infatti, la
vendetta statunitense non si fece
attendere. Già da settembre
iniziarono a intensificarsi dei
contatti segreti tra il governo
degli Stati Uniti e alcuni leader
nazionalistici panamensi: tramite
terzi, il presidente Roosevelt
garantì che se ci fosse stato un
colpo di stato indipendentista da
parte di Panama, gli Stati Uniti
avrebbero fornito il loro supporto,
ovviamente in cambio del diritto di
costruire un canale oceanico.
Grazie all’aiuto delle navi da
guerra americane, le truppe
colombiane, a causa della loro
impossibilità di competere con la
marina degli avversari, vennero
attaccate da più fronti. I generali
dell’esercito colombiano presenti a
Panama City furono arrestati e le
truppe sconfitte furono imbarcate e
spedite a Barranquilla. Il 6
novembre la guerra era già giunta
alla sua conclusione e gli Stati
Uniti riconobbero immediatamente la
nascita della nuova Repubblica di
Panama.