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N. 27 - Marzo 2010
(LVIII)
L’INDIPENDENZA DEI PAESI BASSI
RIVOLTE, PEZZENTI E MASSACRI
di Cristiano Zepponi
I
Paesi
Bassi,
compresi
nei
domini
della
casa
d’Asburgo
dal
matrimonio
di
Maria
di
Borgogna
con
Massimiliano
I,
nel
1477,
furono
ampliati
da
Carlo
V
con
l’annessione
dei
territori
nord-orientali
e
passarono,
nel
1556,
al
figlio
Filippo
II.
Le
idee
protestanti
si
erano
diffuse
assai
rapidamente
nella
regione:
gruppi
anabattisti,
in
particolare,
si
erano
insediati
nelle
regioni
settentrionali
(Olanda,
Zelanda,
Frisia)
e
successivamente
altre
calviniste
avevano
fatto
lo
stesso
nelle
più
avanzate
regioni
meridionali
(Brabante,
Fiandre);
di
conseguenza,
le
differenze
tra
le
17
province,
in
primis
economiche,
erano
andate
aumentando
per
motivi
religiosi.
Carlo
V,
che
nelle
Fiandre
(a
Gand,
per
l’esattezza)
era
nato
e
cresciuto,
conosceva
bene
la
tradizionale
gelosia
degli
abitanti
per
le
autonomie
locali
e
regionali,
e
dunque
finì
per
accettare
le
tradizioni
istituzionali
locali
–
riconoscendo,
ad
esempio,
l’autorità
degli
Stati
generali,
dei
Consigli
Municipali
e
della
grande
nobiltà;
ciò
non
accadde
invece
con
il
figlio
Filippo
II,
il
quale
–
persuaso
di
difendere
l’ortodossia
cattolica,
costantemente
impegnato
a
rastrellare
finanziamenti
che
gl’impedissero
di
dichiarare
bancarotta
e
altrettanto
deciso
a
finanziare
nuove
campagne
militari
–
posò
presto
gli
occhi
sulle
ricche
province
affacciate
sul
Mare
del
Nord.
Filippo
II,
da
subito,
sembrò
impegnarsi
al
massimo
per
inimicarsi
nobiltà
e
magistrature
locali:
insieme
alla
nomina
a
reggente
della
sorellastra
Margherita,
cui
affiancò
nel
Consiglio
di
Stato
uomini
fidati
(prevalentemente
spagnoli,
come
il
cardinale
Antonio
Perrenot
di
Granvelle)
stabilì
l’acquartieramento
di
una
forza
militare
e
ridisegnò
i
confini
delle
circoscrizioni
diocesane,
aumentandone
il
numero
e
stabilendo
la
nomina
di
nuovi
inquisitori.
La
lotta
all’eresia,
dunque,
si
affiancava
al
tentativo
di
aumentare
la
presa
sulle
province.
Fu
proprio
questo
a
determinare
la
reazione
della
nobiltà
cattolica,
che
nel
corso
del
1564
–
complice
l’impegno
spagnolo
nel
Mediterraneo
contro
i
Turchi
–
strappò
a
Filippo
II
prima
la
rinuncia
alla
riorganizzazione
ecclesiastica
e la
rimozione
del
cardinale
di
Granvelle,
e
poi
–
galvanizzata
dal
successo
ottenuto
– il
rafforzamento
del
Consiglio
di
Stato,
che
ormai
dirigevano,
e
l’abolizione
delle
leggi
contro
l’eresia.
A
quel
punto,
nell’ottobre
del
1565,
Filippo
II
s’irrigidì
e
rifiutò.
Per
risposta,
il 5
di
aprile
del
1566,
un
gruppo
di
membri
della
piccola
nobiltà
–
definiti,
sprezzantemente,
gueux,
“pezzenti”
-
prese
d’assalto
il
palazzo
della
reggente,
mentre
in
vari
centri
delle
Fiandre
la
popolazione
si
diede
alla
devastazione
di
chiese
e
monasteri,
con
il
supporto
e
l’incitamento
dei
ministri
calvinisti:
la
protesta,
da
nobiliare,
si
era
estesa
al
popolo
– la
cui
furia
iconoclasta
denunciava
la
larga
diffusione
del
protestantesimo
- e
ai
ceti
mercantili
emergenti.
Filippo
II
non
conosceva,
come
il
padre,
le
arti
della
diplomazia:
reagì
dunque
nell’unico
modo
che
conosceva,
e
per
ristabilire
l’ordine
e
reintrodurre
l’ortodossia
religiosa
riuscì
solo
a
inviare
un
esercito
di
dodicimila
uomini
–
all’epoca,
le
armate
spagnole
rappresentavano
il
migliore
strumento
di
morte
del
mondo
–
sotto
la
guida
del
duca
d’Alba,
che
di
certo
– a
sua
volta
–
non
si
distingueva
per
la
capacità
di
ricomporre
le
dispute.
Il
duca
giunse
nei
Paesi
Bassi
all’inizio
di
agosto
del
1567,
e
non
deluse
le
aspettative:
non
a
caso
gli
erano
stati
conferiti
poteri
pressoché
assoluti,
esautorando
di
fatto
la
reggente
Margherita
– la
quale,
infatti,
si
dimise
di
lì a
poco.
Oltre
ad
instaurare
un
regime
di
terrore,
minacciosamente
presidiato
dai
suoi
armati,
stabilì
nel
1568
la
nascita
di
un
tribunale
speciale,
il
“Consiglio
dei
Tumulti”,
deputato
a
giudicare
i
responsabili
dei
moti;
ma
che
fosse
ribattezzato,
in
breve,
“Tribunale
del
sangue”,
basta
di
per
sé a
rendere
l’idea
dell’efferatezza
con
cui,
tra
il
1567
e il
1573,
provvide
all’eliminazione
di
1105
“rivoltosi”
(tra
cui
diversi
notabili
locali
e,
in
particolare,
Lamoral,
conte
di
Egmont,
e
Filippo
di
Montmorency,
conte
di
Hornes),
arrestandone
altri
11000.
Guglielmo
di
Orange-Nassau,
simbolo
dell’alta
nobiltà
cattolica
e
indiscusso
leader
dell’opposizione
al
potere
spagnolo,
riuscì
invece
a
riparare
all’estero:
ma
ciò
non
toglie
che
il
colpo
inferto
all’insurrezione
fosse
comunque
durissimo.
Eppure,
le
efferatezze
del
duca
d’Alba,
il
“duca
di
Ferro”,
esemplificate
dalla
nomea
guadagnata
nel
massacro
(“il
macellaio
delle
Fiandre”)
riuscirono
nell’improbabile
impresa
di
volgere
la
rimanente
nobiltà
cattolica,
che
inizialmente
rivendicava
solo
un
ruolo
attivo
nella
gestione
politica
della
regione,
a
favore
del
pluralismo
religioso
e
della
lotta
armata:
e fu
proprio
allora
che
la
figura
dello
spagnolo/cattolico
cominciò
a
essere
percepita
come
oppressiva,
tirannica
e –
quel
ch’è
peggio
–
deleteria
nei
confronti
dell’opulenza
mercantile
dei
Paesi
Bassi,
cui
furono
imposte
nuove
tasse
per
mantenerla.
I
successi,
per
i
ribelli,
arrivarono
lentamente.
Solo
nella
primavera
del
1972,
dopo
la
cattura
dei
porti
di
Brille
di
Flushing
in
Olanda
da
parte
dei
“pezzenti
del
mare”,
Luigi
di
Nassau
–
supportato
dagli
ugonotti
-
occupò
le
province
meridionali
e
Guglielmo
di
Orange-Nassau
–
con
l’apporto
dei
principi
protestanti
tedeschi
–
invase
quelle
orientali.
A
quel
punto,
di
fronte
alla
spontanea
insurrezione
delle
popolazioni,
a
nulla
valse
la
sostituzione
del
duca
d’Alba
prima
con
Luis
de
Requesens
(1573)
e
poi
con
Giovanni
d’Austria
(1576),
il
vincitore
di
Lepanto:
ogni
tentativo
di
mediazione
risultò
ostacolato
dall’intransigenza
di
Filippo
II e
dall’ammutinamento
delle
truppe
spagnole
che
nel
novembre
1576,
rimaste
senza
paga,
saccheggiarono
Anversa.
I
nobili,
cattolici
e
calvinisti
decisero
allora
di
unirsi:
con
la
Pacificazione
di
Gand,
risalente
al
novembre
di
quello
stesso
anno,
le
due
fazioni
s’impegnarono
a
espellere
le
forze
spagnole,
a
sospendere
le
norme
contro
l’eresia,
a
riconoscere
la
centralità
degli
Stati
Generali
e a
rispettare
la
pluralità
confessionale
del
Paese.
Filippo
II
tentò
allora
l’invio
di
un
nuovo
esercito
sotto
il
comando
di
Alessandro
Farnese,
figlio
della
reggente
Margherita,
che
a
partire
dal
1578
riuscì
a
dividere
il
campo
avversario:
l’anno
seguente,
infatti,
con
l’Unione
di
Arras,
le
province
meridionali
tornarono
nel
campo
spagnolo,
riconoscendo
l’autorità
di
Filippo
II e
impegnandosi
a
difendere
l’ortodossia
cattolica.
Nel
Nord,
invece,
le
altre
province
(Olanda,
Zelanda,
Frisia,
Utrecht,
Gheldria,
Groninga,
Overijssel)
si
strinsero
nell’Unione
di
Utrecht,
e
decisero
di
proseguire
la
lotta;
nel
1581,
d’altra
parte,
gli
Stati
Generali
(“Atto
di
Abiura”)
rifiutarono
la
sottomissione
alla
Spagna,
deposero
Filippo
II e
sancirono
– di
fatto
–
l’indipendenza
delle
Province
Unite.
Le
operazioni
militari
nelle
province
meridionali,
pur
con
alti
e
bassi,
sarebbero
durate
altri
trent’anni;
solo
allora
il
nuovo
sovrano
spagnolo,
Filippo
III
–
alle
prese
con
gli
sconquassi
economici
prodotti
dal
padre
e
con
l’aperta
ostilità
di
Francia
e
Inghilterra
–
decise
di
intavolare
trattative
con
gli
insorti
e
nel
1609
acconsentì
alla
proclamazione
di
una
tregua
di
dodici
anni.
In
questo
modo
accettò,
di
fatto,
l’indipendenza
della
nuova
repubblica;
la
quale
–
liberatasi
dal
giogo
spagnolo,
rinvigorita
dall’afflusso
dal
Sud
ricattolicizzato
di
oltre
100.000
protestanti
e
forte
di
una
tolleranza
religiosa
senza
eguali
in
Europa
– si
avviò
allora
a
diventare,
nel
giro
di
pochi
decenni,
la
prima
potenza
marittima
e
commerciale
del
continente.
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