N. 5 - Maggio 2008
(XXXVI)
L'india DELLE DONNE
Condizione Femminile nell’India del 2008
di Laura Novak
In quel calore, in quell’odore
così penetrante ci lasci il cuore.
L’India ti strappa l’anima, la conduce in molti luoghi,
alcuni desolati e silenziosi dove farla riposare, altri
rumorosi e coinvolgenti dove alimentarla.
Ma l’India non è solo questo.
L’india non è solo 1 miliardo di abitanti, 28 stati e 7
unioni territoriali, 6 religioni e 2 lingue ufficiali
insieme ad altre 22 lingue nazionali riconosciute.
L’india è, soprattutto, antiche tradizioni culturali,
usi e costumi tribali, spiritualità imperante... Ma, se
guardi bene, a fondo, ponendo attenzione ai particolari
di vita, ti accorgi che c’è anche un’altra India,
nascosta, che osservi con gli occhi smarritti di donna
moderna e libera.
Feti mai nati,
selezionati, scelti, per essere uomini, non donne. Tutto
grazie alle nuove tecnologie, come l’amniocentesi. 10
milioni di bambine scartate da una selezione innaturale
e crudele.
Bambine abbandonate in
tenera età, lasciate orfane su un marciapiede che non
garantisce vita o dignità. Incalcolabile il loro numero.
La maggior parte delle bambine nate nelle caste più
inferiori non vengono censite né riconosciute.
L’esercito delle creature
mai esistite.
Ragazze, adolescenti lavoratrici infaticabili, di giorno
e di notte.
Della forza lavoro attiva in tutti gli ambiti
lavorativi, compresi i cantieri stradali e i lavori
considerati pesanti, il 70% è di sesso femminile.
Ragazze date in sposa adolescenti, bambine senza
capacità decisionale, assoggettate al terrore e alla
schiavitù patriarcale.
Ogni giorno, nella loro casa, donne senza possibilità di
riscatto dalla vita, vengono maltrattate, violentate,
selvaggiamente picchiate e asservite a sevizie fisiche,
ma soprattutto psicologiche.
Il carnefice può cambiare volto, violenza o potenza nel
colpo, può essere padre, marito, suocero, fratello o
addirittura figlio.
Ma il carnefice è sempre uomo, e nell’esserlo detiene il
diritto di diventare il loro aguzzino.
Di tutte loro, 17 muoiono ogni 24 ore.
Le prime associazioni femminili, organizzate da donne
delle caste medio alte, che riuscirono ad ottenere
alcuni riconoscimenti di diritti umani femminili, videro
la formazione definitiva nel 1931, durante le battaglie
sociali condotte con costanza e tenacia da Ghandi.
Le aspettative erano innumerevoli. La loro condizione in
quegli anni, se mai possa essere immaginabile, era
peggiore di quella attuale.
Le vedove, considerate alla stregua di donne ai margini
della rispettabilità, erano sottoposte coattamente alla
legge del Sati. Nessuna donna aveva diritto di
sopravvivere al marito. L’asservimento totale alla
logica di dipendenza dal marito, condannava il loro
destino ad una punizione atroce: la sofferenza disumana
di un rogo.
La vedova era drogata, seviziata e costretta alla
rinuncia della vita, al sacrificio supremo in onore del
marito, su una pira di fuoco e dolore.
Lentamente nel corso del ‘900, la situazione femminile
ed il suo ruolo sociale è andato a mutare.
Di certo abbiamo notizia, negli ultimissimi anni, del
riconoscimento del divorzio e di donne di carisma e
personalità, leader politiche ed amministrative
dell’India moderna.
Ma, nello stesso modo,
abbiamo prova di come le relazioni interpersonali,
familiari e matrimoniali non siano riuscite ad evolversi
con la stessa modernità.
Ancora oggi non esiste
matrimonio d’amore, libertà di scelta personale,
possibilità di studio o di lavoro, se non per le caste
privilegiate.
Nonostante si tenti di
negare la sussistenza odierna dell’antico sistema
sociale indiano a caste, a tutt’oggi non esiste mobilità
tra gli strati sociali, nè, tanto meno, possibilità di
assorbimento di membri esterni alla propria casta.
Le caste sono
anacronisticamente immobilizzate in se stesse, senza
evoluzioni.
La modernizzazione e la
nuova strategia economica in atto, che sta facendo
vivere all’India un boom senza precedenti, rimane,
quindi, canalizzata in un cerchio chiuso, che è proprio
il sistema delle caste.
I poveri rimaranno poveri,
mentre i ricchi saranno maggiormente ricchi.
In questo scenario, per le
donne delle caste inferiori non c’è posto; per coloro
che sono nate sull’ultimo gradino di questa scala
gerarchica, non c’è posizione sociale.
I diritti più basilari,
come l’alfabetizzazione, l’assistenza sanitaria, le cure
mediche o la libertà di espressione/parola in pubblico,
sono negati.
Per coloro che comandano
l’ignoranza continua ad essere lo strumento essenziale
nei popoli perchè l’asservimento sia totale.
Se non si è coscienti di
cosa possa essere libertà di mente e di azione, non si
sentono le catene.
Di tutto questo, molte
cose hanno segnato con graffi profondi i miei occhi di
donna.
La nudità delle orfane, la
sporcizia con cui sono costrette a convivere,
l’attenzione morbosa che i loro occhi di ragazze, senza
conoscenza del mondo, hanno per le donne occidentali e
la loro fisicità.
Il sole, soprattutto a
Varanasi, non lasciava scampo, rendendo l’aria
irrespirabile.
Eppure, un esercito di
donne, vestite da splendidi sari dalla grazia colorata,
muovevano il loro corpo sotto lo sforzo di ogni tipo di
lavoro fisico, senza nessuna sosta.
Nessuna sosta sotto il
sole di Varanasi, nessuna sosta sotto la pioggia del
Rajastan, nei cantieri stradali, in cui il lavoro è
compiuto ancora per il 90% da mani e non da macchine.
E, mentre gli passi
accanto, li senti addosso o li schivi, gli sguardi delle
donne indiane, bassi e lontani, dal passato lacerato,
dal rassegnato distacco emotivo, ti marchiano a fuoco la
memoria di donna libera. |