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N. 14 - Luglio 2006

INDIANI IN LOTTA CONTRO LE MULTINAZIONALI

Il caso Coca Cola

di Leila Tavi

 

La lotta dei contadini e degli operai in India contro il prosciugamento, e allo stesso tempo, l’inquinamento delle falde acquifere e contro lo sfruttamento dei lavoratori stagionali va avanti senza interruzioni dal 2002. Le contestazioni sono indirizzate a due delle principali multinazionali che producono bevande gassate analcoliche: la Coca-Cola e la Pepsi.

 

Per produrre un litro di Coca-Cola, o di gassose simili, sono necessari ben nove litri di acqua, per un utilizzo quotidiano medio in ogni impianto di produzione di 560.000 litri d’acqua.

 

La Coca-Cola e la Pepsi detengono il duopolio sul 90% della produzione di bevande gassate analcoliche in India.

 

In India la quantità di acqua necessaria per la produzione è stata per lungo tempo prelevata delle risorse utilizzate dai contadini locali, che sono stati ridotti alla povertà estrema a seguito dell’improduttività dei campi nei pressi delle fabbriche, dovuta all’enorme quantitativo di acqua utilizzato dalle fabbriche per la produzione di bevande e per il lavaggio delle bottiglie di vetro in cui sono contenute.

 

E´stato stimato che la quantità utilizzata in un solo giorno da un impianto di produzione equivale al fabbisogno annuo di un intero villaggio.

 

Il controllo e l’accesso alle risorse idriche erano gestiti e mediati in India, prima dell’arrivo degli investitori stranieri, dalla logica delle divisione in caste; negli ultimi anni, invece, il controllo è passato alle multinazionali, che per ottenere l’acqua necessaria alla loro produzione hanno corrotto anche i governi e la polizia locali.

 

Il dissennato sfruttamento dell’acqua da parte delle multinazionali ha messo in pericolo in questi ultimi anni la sopravvivenza degli abitanti di interi villaggi.

 

In questo articolo analizzeremo il caso Coca-Cola.

 

La prima grande fabbrica costruita della Coca-Cola nel sud dell’India è stata, alla fine del 1998, quella di Plachimada, nel panchayat, il consiglio del villaggio, di Perumatty, nel distretto di Chittur Palakkad della regione del Kerala.

 

L’impianto di imbottigliamento, ormai chiuso, si trova con precisione 5 km. a ovest del confine della regione Tamilnadu, presso Pollachi, nel distretto di Coimbra, e 30 km. a est di Palakkad, sulla strada che da Palakkad porta a Meenakshipuram e a Pollachi, su un appezzamento di terra comune (multi-cropped paddy land) di circa 40 acri.

 

Nella fabbrica lavoravano quattrocento operai, di cui almeno duecentocinquanta occasionali, per una produzione giornaliera di 1.200.000 bottiglie.

 

Ogni giorno su ottantacinque camion erano caricate centinaia casse piene di bottiglie di Coca-Cola.

 

La multinazionale, per poter far lavorare i suoi impianti, estraeva l’acqua direttamente dal canale d’irrigazione del Moolathara, a circa 3 km. dalla diga di Meenkara, vicino alle riserve di Kambalathara e Vengalakkayam e a soli due km.dal fiume Chitturpuzha.

 

Per il riutilizzo delle bottiglie erano impiegate sostanze chimiche tossiche, poi l’acqua, contaminata e sporca, veniva smaltita, senza nessun rispetto per l’ambiente circostante, direttamente nel canale d’irrigazione.

 

La prima protesta contro l’impianto di Plachimada ha avuto luogo il 22 aprile del 2002 con un blocco simbolico e un picchetto all’ingresso della fabbrica.

 

Prima tra i promotori della protesta è stata la comunità degli adivasi, popolazioni indigene, a cui appartengono molte donne e bambini delle tribù eravalar e malasar.

 

Il 9 giugno 2002, quando la protesta aveva ormai raggiunto il quarantanovesimo giorno, il picchetto si è trasformato in una marcia pacifica, ma la polizia locale ha impedito il normale svolgimento della manifestazione.

 

Centotrenta manifestanti sono stati arrestati, tra cui trenta donne e alcuni bambini, e portati nella stazione di polizia di Chittoor, dove sono stati malmenati e insultati.

 

La notizia è circolata in tutta l’India e attivisti di ONG di tutto il paese hanno aderito alla lotta.

 

Oltre a manifestare per il diritto a un ambiente pulito, le ONG si sono organizzate per protestare contro lo sfruttamento degli operai sotto l’egida del Thozhil Samrakshana Samithy, il Comitato per la protezione dei lavoratori.

 

Trecento manifestanti sono stati arrestanti nei primi quattro mesi di protesta.

 

A centocinque giorni dall’inizio della protesta, il 4 agosto 2002, il Coca Cola Virudha Samara Samithy, il Comitato per la lotta contro la Coca-Cola, ha organizzato una grande manifestazione per la chiusura degli impianti davanti all’ingresso della fabbrica di Plachimada.

 

A capo della protesta c’erano Veloor Swaminathan, della comunità adivasi e membro del Coca Cola Virudha Samara Samithy e Venugopal Vilayodi, attivista nella lotta per i diritti degli operai in India.

 

Il 6 agosto del 2003 l’Autorità preposta al controllo dell’inquinamento nello Stato del Kerala, la PCB, ha ammesso la presenza di cadmio a livelli tossici nella produzione della fabbrica di Plachimada.

 

Nel mese di luglio è andato in onda un programma della BBC Radio 4: “Face the facts”, in cui veniva denunciato, come la Coca-Cola distribuisse ai contadini fertilizzanti gratis a base di sostanze di scarico provenienti dai suoi impianti in loco e con un’alta percentuale di cadmio, sostanza che in grosse dosi può essere cancerogena.

 

Grazie ad analisi documentate svolte in Inghilterra è stata provata, non solo la presenza di cadmio, ma anche di piombo.

 

Sempre nell’agosto 2003 il CSE, Il Centro per la scienza e l’ambiente, una delle maggiori associazioni volontarie dell’India, ha reso noto che i produttori di bevande gassate analcoliche in India, Coca-Cola compresa, mettevano sul mercato prodotti con un alto livello di residui da pesticidi e insetticidi.

 

Nell’estate del 2003 hanno aderito alla protesta anche esponenti dei partiti politici, tra cui il partito Bharatiya Janata (BJP) e il partito Samajwadi ed è stata organizzata la protesta “Rompi la bottiglia”, con manifestanti in tutta l’India.

 

La protesta si è svolta anche fuori la stazione di Churchgate a Bombay, dove i manifestanti hanno frantumato centinaio di bottiglie della Coca-Cola con slogan e striscioni dalle parole: “Coke e Pepsi, lasciate l’India. State giocando con la nostra vita!”. Altrove sono stati bruciati cartelloni pubblicitari con i divi di Bollywood che pubblicizzavano le bevande della Coca-Cola e della Pepsi.

 

Nel gennaio 2004 il Parlamento indiano ha vietato la vendita di Coca-Cola e Pepsi nei bar interni all’edificio in cui si svolgono le sedute parlamentari.

 

Il 12 marzo 2004 la HCBL, la filiale della Coca-Cola in India, ha dichiarato di volere sospendere l’attività produttiva dell’impianto di Plachimada, costretta dalle restrizioni sull’utilizzo delle risorse idriche locali imposte dal panchayat.

 

Il 29 marzo il panchayat ha negato alla HCBL il rinnovo della concessione per la fabbrica; la HCBL non ha infatti rispettato le condizioni imposte dal consiglio locale per poter continuare la produzione: ha continuato ad approvvigionarsi d’acqua attingendo dalle risorse locali destinate alla terra comune per la coltivazione, non ha dato nessuna garanzia riguardo all’integrità delle bevande prodotte e non ha rispettato il divieto di smaltire rifiuti tossici nell’ambiente.

 

Il 3 aprile dello stesso anno abitanti del villaggio vicino alla fabbrica di Plachimada hanno assaltato un camion pieno di rifornimenti d’acqua diretto all’impianto per poter sopravvivere, in un periodo dell’anno di estrema siccità, al caldo torrido.

 

Lo stesso giorno la polizia si è recato nel villaggio è ha arrestato quarantaquattro persone, tra cui sette bambini.

 

Nel 2004 la PCB ha finalmente riconosciuto il diritto degli Indiani a poter disporre delle risorse idriche decretando, il 7 maggio del 2004, sulla base della giurisprudenza della Corte suprema indiana e dell’Environment (Protection) Act del 1986, che i grandi impianti industriali avrebbero dovuto approvvigionarsi d’acqua solamente attraverso un sistema di condotte d’acqua e non prelevando l’acqua direttamente dal terreno circostante.

 

Nel giugno del 2004 viene pubblicata dal quotidiano “Hindu” un’intervista con un geologo della sede regionale di Japur del Ministero delle acque; lo scienziato  ha dichiarato che, da marzo a settembre 2003, per la fabbrica Coca-Cola situata nella zona industriale di Kala Dera, nel Rajasthan, sono stati estratti 148.259 metri cubi di acqua, il fabbisogno per circa 5.000 famiglie delle zone rurali, pari all’irrigazione di almeno 10.000 bigha di terra.

 

Nell’agosto 2004 la PCB, agendo sulla base di un’ordinanza della Corte suprema, ha obbligato la Coca-Cola & Co. di assicurare il fabbisogno di acqua dei villaggi colpiti dalla siccità, direttamente nelle case e attraverso dei condotti.

 

Si è trattato di un risarcimento voluto dal governo indiano per gli anni in cui la Coca-Cola & Co. ha sfruttato impropriamente le scarse e preziose risorse idriche degli Indiani.

 

Nel settembre 2004 a Kala Dera viene organizzata una protesta contro la locale fabbrica della Coca-Cola, tra i partecipanti Aruna Roy, il vincitore del premio Magsaysay, l’equivalente asiatico del premio Nobel.

 

Molti dei manifestanti sono stati arrestati dalla polizia.

 

Gli abitanti di Kala Dera hanno protestato per mesi contro la multinazionale statunitense. La fabbrica di Kala Dera è in funzione dal 1999, nel quadro di un programma governativo per attrarre capitali stranieri in India.

 

Nel novembre 2004 la Corte suprema di Rajasthan ha emesso l’ordinanza per la PepsiCo e la Coca-Cola India di specificare sull’etichetta delle bevande con il loro marchio, non solo la composizione e gli ingredienti, ma l’eventuale presenza di pesticidi.

                 

Molte sono state le proteste anche per l’impianto di Mehdiganj, un villaggio a circa 20 km. dalla città sacra di Varanasi, nell’Uttar Pradesh, dove dal 2000 la Coca-Cola & Co., oltre ad avere reso impossibile la coltivazione delle terre, ha inquinato 20 acri di terra con pericolose sostanze tossiche di scarico. Nelle bigha circostanti, appezzamenti di terra  dell’estensione di circa due terzi di un acro di piccoli proprietari terrieri, non cresce ormai più nulla.

 

Gli abitanti dei villaggi si sono organizzati in comitati di protesta da subito instaurato un fitta rete di collegamenti con le ONG indiane per la tutela dei diritti civili.

 

Molti dei sarpanch, capi villaggio, delle zone interessate, che presiedono il panchayal hanno sporto denuncia ai competenti magistrati di distretto chiedendo la chiusura degli impianti della Coca-Cola.

 

Uno dei più attivi gruppi di protesta è il Gaon Bachao Sangharsh Samiti di Mehdiganj; l’acronimo GBSS sta per Comitato di protesta per salvare il villaggio.

 

Nel 2003 GBSS, insieme a Lok Samiti, una ONG locale, e vari gruppi di protesta di altre zone dell’India, hanno organizzato un sit-in di due settimane davanti agli impianti di Mehdiganj.

 

La lotta è stata ripresa nell’agosto del 2003; oltre a Lok Samiti, anche il NAPM, l’Alleanza nazionale dei movimenti popolari, ha partecipato alla protesta che è terminata negli uffici regionali competenti, dove le ONG hanno versato sacchi di melma inquinata proveniente dalla fabbrica di Mehdiganj direttamente sui tavoli dei funzionari.

 

Mehdiganj è appena fuori la G.T. Road, la strada del Grund Trunk, sviluppata nel XVI secolo da Sher Shah Suri e che il governo indiano ha incluso nel “quadrilatero d’oro” della zona industriale.

 

Il villaggio è abitato da circa 10.000 persone, di cui la maggioranza è patel, del partito Kurmi dal nome  Apna Dal; il resto della popolazione è composta da yadav, bramini, musulmani, oltre ad appartenenti della casta chamar e ai musahar, la fascia più povera. Non sono presenti grandi latifondi, solo bigha in cui vengono coltivati riso, frumento, melanzane, mango, arhar (lenticchie) e kathal (alberi da frutto).

 

L’impianto di Mehdiganj è stato rilavato dalla Coca-Cola & Co. negli anni ’90; precedentemente appartenuto a una produzione locale di bevande gassate analcoliche, la Kejriwal Beverages Pvt. Limited.

 

Già la Kejriwal Limited, invece di acquistare terra dai piccoli proprietari terrieri per installare la sua fabbrica, si appropriò indebitamente di undici bissa (33 decimi o un terzo di un acro) della gram sabha, la terra comune, normalmente usata per i pascoli, o per costruire scuole, o per altri usi collettivi (registrata come Rakwa n. 2634).

 

Oltre a ciò vennero impedite al momento della costruzione della prima fabbrica le servitù di passaggio (chak), utilizzate dai residenti del Kumhar basti, una zona abitata situata dietro agli impianti di produzione.

 

Nel 1999 sotto il nome di Hindustan Coca-Cola Beverages Private Limited, la HCBPL, è stata aperta di nuovo la fabbrica; nonostante le iniziali promesse della multinazionale di restituire al villaggio la terra usurpata la situazione è rimasta immutata.

 

L’emergenza che gli abitanti del villaggio hanno coraggiosamente combattuto è stata la carenza di acqua; da quando l’impianto è stato messo in funzione il livello dell’acqua nei pozzi e nelle falde acquifere è calato vertiginosamente: tra i 25 e i 40 piedi tra il 2000 e il 2004.

 

La fabbrica non rappresenta, oltre tutto, neanche una fonte sicura di lavoro per i residenti; senza un’adeguata protezione dei sindacati i lavoratori sono alla mercé dei manager che utilizzano delle forme contrattuali svantaggiose per i lavoratori che rasentano lo sfruttamento: contratti stagionali, lavoro a cottimo, … senza possibilità di rivendicazioni o richieste legittime di aumenti da parte degli operai.

 

Il grado di conflittualità è pari a zero e, quando nel 2002 gli operai si sono organizzati in uno sciopero di otto giorni per protestare contro l’arbitraria decisione dell’impresa di abbassare gli stipendi nei mesi invernali della metà a causa del calo delle vendite, il risultato è stato, invece di una normale contrattazione, il licenziamento di tutti gli organizzatori, tra cui Bhagwan Das Yadav, uno dei leader, e molti degli operai yadav del villaggio di Bhikaripur.

 

La compagnia statunitense con un’abile manovra ha cercato, inoltre, di far nascere conflitti tra le diverse comunità locali e caste, in modo da procurarsi contratti ancora più vantaggiosi neutralizzando qualsiasi forma di coesione sociale e di solidarietà tra le varie classi ed etnie.

 

Il giudice civile del Tribunale di Varanasi ha emesso un provvedimento con il quale è stato stabilito nei confronti di Bhagwan Das Yadv e degli organizzatori della protesta il divieto di proferire slogan o parole ingiuriose nei confronti della HCBPL entro i trecento metri circostanti la fabbrica.

 

Alla Coca-Cola non è stata invece comminata nessuna sanzione.

 

Nel settembre 2003 più di cinquecento persone hanno marciato pacificamente attraverso i cancelli della fabbrica di Mehdiganj, ma sono stati fermati quasi subito e malmenati dalla polizia e dal servizio di vigilanza della HCBPL.

 

Nell’ottobre 2003 si è svolta una marcia di 150 km tra la fabbrica di Mehdiganj e quella di Jaunpur della Pepsi.

 

Come conseguenza dei disordini del 2003 la compagnia statunitense ha revocato tutti i benefit e perk concessi ai lavoratori prima della protesta, tra cui il fondo di previdenza, l’ESI (assicurazione sanitaria) e nessun pagamento doppio per i giorni festivi.

 

Si tratta di una violazione palese e reiterata dell’Industrial Disputes Act del 1947 e, in generale, della normativa in vigore in India per la tutela dei lavoratori.

 

Secondo il Contract Labor (Regulation and Abolition) Act del 1970, lo Statuto dei lavoratori indiani, la Hindustan Coca-Cola Limited è obbligata per legge a garantire ai suoi lavoratori un adeguata copertura medica e un fondo per la previdenza.

 

Dopo mille giorni di protesta dall’inizio della lotta il 22 aprile del 2002 la lotta, gli scioperi e le marce contro il prosciugamento delle falde acquifere sono proseguite ancora per tutto il 2005, nonostante le intimidazioni della Coca-Cola & Co. ai suoi operai, a Plachimada nella regione di Kerala, a Kala Dera, nel Rajasthan e a Mehdiganj. [Il testo di un appello del 2004 di Lok Samiti Varanasi, Gaon Bachao Sangharsh Samiti Mehndiganj, Coca cola Bhagao Jan Sangharsh Samiti, Sinhachavar e NAPM]

 

Anche a Mehangindini, nel nord dell’India, si ripete lo stesso copione: 20 villaggi ridotti alla fame, una fabbrica che consuma miliardi di litri d’acqua potabile ogni anno e una temperatura che raggiunge i 47 gradi all’ombra.

 

Gli abitanti del posto non si sono persi d’animo e a loro volta hanno organizzato una marcia di 200 km. attraverso la provincia di Pradesh; anche per questa volta si è trattato di una marcia pacifica, anche questa volta la polizia l’ha brutalmente repressa.

 

Il popolo indiano continua a lottare: il 23 febbraio 2005, in occasione dei mille giorni dal primo picchetto di Plachimada, la RFSTE, la Fondazione di ricerca per la scienza, la tecnologia e l’ecologia, ha organizzato una campagna dal nome: “Quit India”; “Abbandonate l’India” fu lo slogan lanciato nel 1942 dal mahatma Gandhi per l’indipendenza.

 

Più di 100.000 persone hanno partecipato in quell’occasione; centinaia di catene umane hanno sfilato per chiedere la chiusura di tutte le quarantacinque fabbriche delle Coca-Cola in India.

 

Ad accogliere i partecipanti alla manifestazione c’erano decine di poliziotti schierati in tenuta anti-sommossa, armati di pistole e lathi (manganelli). Le forze dell’ordine si sono scagliate anche su donne e bambini senza pietà, che sono stati colpiti ripetutamente a colpi di manganello.

 

La carica è stata ordinata da M. Tahir Iqbal, giudice di pace presso la Magistratura di Varanasi; sono stati arrestati trecentocinquanta manifestanti, di cui più di cento feriti, tutti sono stati detenuti per una notte intera senza nessun processo verbale, che ha avuto luogo soltanto l’indomani: la detenzione provvisoria è stata, a seguito del processo, prolungata.

 

Durante l’ultima marcia di protesta di 250 km., che ha sfilato dall’impianto di imbottigliamento di Ballia a quello di Mehdiganj dal 14 al 24 novembre scorsi, la polizia ha caricato di nuovo e altre trecento persone sono state arrestate.

 

L’enorme capitale di cui dispone la multinazionale è un lascia passare infallibile, un modo per avere la polizia e i governi locali dalla propria parte.

 

Un portavoce della Hindustan Coca-Cola Limited ha recentemente dichiarato che è prossima l’apertura dell’impianto di Tamil Nadu, ma i militanti della lotta contro il neo colonialismo in India, nonostante il silenzio della maggior parte dei media occidentali, daranno del filo da torcere alle multinazionali.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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