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[ISSN 1974-028X]

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N. 13 - Giugno 2006

L'INCORONATA

Greci e indigeni sul basento

di Laura Gasparri

 

Scandita dalle vallate e dai bacini fluviali subparalleli dei fiumi Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni che incidono a ventaglio l’ampio versante ionico, il territorio della Basilicata può essere suddiviso in due aree che presentano caratteristiche geomorfologiche ed ambientali differenziate: da una parte la zona costiera e subcostiera con i terrazzi pleistocenici digradanti verso il mare e i primi bassi rilievi collinari, dall’altra l’area dell’entroterra montuoso con potenzialità economiche miste agricolo-pastorali.

 

Fig. 1

Facies indigena della Basilicata di VIII sec. a.C

 

Questa distinzione, sicuramente semplicistica e riduttiva, si rivela estremamente utile ai fini della lettura e dell’interpretazione dei processi storici ivi sviluppatisi, caratterizzati dall’interazione dei gruppi umani indigeni, enotri e poi lucani, nella mesogaia (nelle zone dell’interno) e greci, in forma precoloniale e coloniale, nella paralia (nelle zone costiere).

 

La frequentazione umana è attestata in Basilicata già a partire dal Neolitico e più diffusamente dall’Età del Bronzo. La distribuzione dei siti indigeni mostra che per l’insediamento furono appositamente scelte le grandi vallate fluviali: i fiumi non assicuravano solo la fertilità delle pianure attraversate, ma fornivano anche agevoli vie di comunicazione tra le zone interne e la costa tirrenica. In particolare si constata un’occupazione intensiva dei pianori che dispongono su tre lati di ripidi pendii e che rivolgono la fronte verso i corsi d’acqua e che conseguentemente assicurano ottime possibilità di difesa naturale e di controllo del territorio.

 

Verso la fine dell’Età del Bronzo (X secolo a.C.) l’attuale Basilicata attraversa un periodo di grave crisi, le cui cause sono da ricercarsi principalmente nel crollo dell’“impero” miceneo e nei movimenti etnici che interessano le sponde adriatiche.

Solo a partire dal IX secolo a.C., come si attesta anche per gran parte del mondo italico, si verifica una concreta ripresa economica e un incremento demografico, che si materializzano nell’estensione di abitati e di necropoli, soprattutto dell’area subcostiera.

 

La cultura materiale di questa fascia “ionica” si presenta in modo piuttosto omogeneo. L’unica notevole differenziazione si riscontra nelle pratiche funerarie (inumazione in posizione rannicchiata e inumazione in posizione supina) che potrebbe ipoteticamente ricalcare l’articolazione etnica fra Enotri e Chones. Secondo la tradizione tramandataci da Strabone (VI, 1-2-4) entrambi i gruppi abitavano la Basilicata prima della fondazione delle colonie greche ed in particolare i Chones sarebbero un sottogruppo enotrio attestato in ambito costiero. Gli Enotri sono considerati insieme agli Ausoni i più antichi abitanti dell’Italia Meridionale noti agli scrittori greci di età storica, ma a differenza di quest’ultimi, la tradizione letteraria greca (con la sola eccezione di Antioco di Siracusa) ritiene l’ethnos enotrio non autoctono e di origine ellenica.

 

In particolare Ferecide di Atene (Pherecid. fr. 156 Jacoby, apud Dionys. Hal., I, 13,1) e Dionisio di Alicarnasso (Dionys. Hal., I, 11, 2-4) riferiscono di un’origine arcadica dell’ethnos enotrio. Allo stato attuale della ricerca la veridicità della notizia rimane ancora discussa e le voci degli studiosi a riguardo profondamente discordanti: se D’Agostino insiste nel sottolineare la forte affinità culturale riscontrata dai micenei tra Arcadi ed Enotri, permane nelle posizioni assunte da Pais e Kilian un fondamentale scetticismo che scorge in questa tradizione il tentativo palese di legittimare il diritto di occupazione greca di territori indigeni.

 

Fig. 2

Incoronata (201 II SO)

 

Il villaggio indigeno di Incoronata - S.Teodoro

 

In occasione di lavori agricoli e stradali effettuati intorno agli anni ’70 del secolo scorso venne individuato nell’entroterra di Metaponto un villaggio indigeno enotrio della prima Età del Ferro. Tale insediamento denominato di Incoronata – S. Teodoro sorge lungo la destra della valle del Basento su un terrazzo articolato in due ampi pianori, per l’appunto di Incoronata “indigena” e di S. Teodoro, collegati da un lungo e tortuoso restringimento del terrazzo.

Gli scavi condotti nell’area hanno rilevato la presenza di spazi sia con funzione funeraria che abitativa.

 

Le necropoli

La necropoli si estende in entrambi i settori di località Incoronata “indigena” e S. Teodoro.

L’arco cronologico coperto dalle tombe va dagli inizi del IX secolo a.C. con una sensibile riduzione d’uso nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.

Le tombe, scavate nel banco di arenaria sabbiosa con piano di deposizione a profondità variabile, sono del tipo a fossa rettangolare con pareti e copertura realizzati con rozzi lastroni di arenaria o pietrame a secco. Quasi tutte le tombe contengono un solo scheletro, il cui orientamento non segue regole costanti. Il rito funebre praticato è l’inumazione in posizione rannicchiata su un fianco, in cui il defunto riporta generalmente braccia incrociate all’altezza dei fianchi e mani raccolte in corrispondenza delle ossa iliache.

 

È stata segnalata la presenza di un’unica sepoltura separata dalle altre e con caratteristiche particolari: un adulto in posizione distesa è ospitato nel livello inferiore di una fossa quadrangolare scavata a gradoni. Una cassa di legno (la cui presenza è testimoniata dalla presenza di chiodi) doveva essere adagiata su un letto di ciottoli e coperta da un blocco di tufo biancastro. Secondo Bottini è probabile si trattasse di un estraneo alla comunità indigena, con propria ideologia funeraria. Il corredo costituito da un solo frammento di argilla figulina a vernice rossastra non fornisce utili indizi ai fini dell’elaborazione di una ipotesi attendibile circa la identità del defunto.

 

Il corredo vascolare è abbastanza povero in tutte le sepolture presenti nella necropoli e in alcuni casi è, addirittura, assente: generalmente le produzioni ceramiche, ad impasto o in argilla figulina, sono limitate ad un solo esemplare e disposte ai piedi o accanto al capo del defunto. Tra le forme prevalgono la brocca-tazza attingitoio, l’olla e la scodella monoansata. La decorazione è raramente estranea al contesto locale ed aperta ad influenze esterne.

Il corredo metallico (armi o ornamenti personali) è l’unico elemento discriminante del sesso e del rango sociale di appartenenza del defunto.

 

Gli elementi in metallo presenti nelle sepolture femminili fanno prevalentemente parte della parure personale o degli accessori decorativi del vestito: fibule ad occhiali o cruciformi, armille bronzee, pendagli “a xilofono” o “a frangia”, anelli spiraliformi abbinati tra di loro in modo vario ed esuberante. Accanto alla defunta sono anche distribuiti fusaiole o pesi da telaio, riferibili all’attività tipicamente femminile della tessitura.

 

I corredi maschili presentavano invece una maggiore sobrietà nell’uso di oggetti di ornamento, quasi sempre limitati ad una o due fibule sistemate nella regione toracica.

È abbastanza comune l’attestazione di armi: dalla più modesta e diffusa cuspide di lancia a vere e proprie spade in ferro (con o senza fodero di bronzo), che rivelano la presenza all’interno della comunità di individui appartenenti all’aristocrazia guerriera.

Dall’analisi delle necropoli si ricava il quadro di una società ancora scarsamente “strutturata”, ma nella quale già emergono personaggi sia di sesso maschile che femminile, facenti parte di una forma ancora embrionale di aristocrazia.

 

L’abitato

 

Mentre gli spazi adibiti a necropoli si estendono sia in località S. Teodoro che nella fascia che margina il pianoro dell’Incoronata, solo la parte interna di quest’ultimo è riservato ad uso abitativo.

L’insediamento è organizzato per nuclei sparsi di capanne di forma circolare e ovale, alternati da aree libere in funzione di una organizzazione parenterale delle comunità.

Unici resti visibili sono le fosse di forma e profondità diverse a secondo della loro natura e funzione:

 

1)     tracce dei buchi dei pali delle capanne;

 

2)     cavità destinate all’alloggiamento di vasi per derrate (pithoi o dolia).

L’unico spazio di sicura rilevanza pubblica è un asse viario con tracciato rettilineo che divide il settore dell’abitato da quello della necropoli. Largo circa 6 m e con orientamento est/ovest, esso è realizzato con un battuto di ciottoli ed è marginato da una canaletta per le acque. Cronologicamente la sua costruzione si colloca verso la fase finale di Incoronata - S. Teodoro (dopo la metà dell’VIII sec. a.C.), anche se è probabile che ricalchi un percorso già esistente.

Fig. 3

Planimetria generale dello scavo di Incoronata indigena

 

L’Incoronata “greca”

 

In mezzo al villaggio enotrio di Incoronata “indigena” si sviluppa un insediamento greco, noto con il nome di Incoronata “greca” per distinguerlo dal precedentemente descritto.

Esso occupa una bassa collina sulla destra del fiume Basento, a 7 km a ovest da Metaponto, nel comune di Pisticci, in provincia di Matera.

Il sito è caratterizzato da una vasta piattaforma sommitale, dalla presenza di una sorgente d’acqua, da pendii scoscesi, da un’unica possibilità di accesso alla cima e, quindi, di ottime possibilità di difesa da attacchi esterni.

 

Storia della ricerca archeologica all’Incoronata “greca”

 

Le indagini che hanno permesso l’individuazione dell’Incoronata “greca”vanno inserite nell’ambito del programma di ricerca volto a definire la chora metapontina, promosso e diretto dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata.

Il primo saggio di scavo venne eseguito nell’estate del 1971 ed ad ovest di esso vennero effettuati l’anno successivo altri due saggi che mostrarono chiaramente l’importanza e le potenzialità della scoperta.

 

L’allora soprintendente della Basilicata Adamesteanu decise di affidare lo scavo del sito all’Istituto di Archeologia dell’Università Statale di Milano, al tempo diretto da Orlandini.

Ben nove campagne di scavo sono state condotte dal 1974 al 1984 e i risultati preliminari sono stati pubblicati ogni anno negli Atti dei Convegni di Taranto.

 

Nel 1985 le ricerche hanno subito un’interruzione momentanea per via dell’organizzazione a Milano della mostra degli scavi e della pubblicazione del relativo catalogo.

In seguito, al fine di definire l’estensione dell’area insediativi, sono stati condotti nuovi scavi in punti lontani e opposti della collina, più precisamente sulla propaggine nord/est (saggio S del 1986) e sul bordo meridionale (saggio T del 1988).

Negli ultimi anni l’indagine ha subito un nuovo e naturale rallentamento con l’intensificarsi dell’attività di pubblicazione degli scavi e delle singole classi dei materiali rinvenuti.

 

Lo stato attuale della ricerca permette di ricostruire le complesse vicende storiche e insediative del sito, in cui si rileva la presenza di due realtà archeologiche distinte:

 

1)     un villaggio indigeno di cultura enotrio-iapigia sviluppatosi a partire dalla fine del IX e per tutto l’VIII sec. a.C.;

 

2)      un insediamento greco che vi si sovrappose intorno al 700-690 a.C. e che fu a sua volta distrutto verso il 640-630 a.C.

 

Il villaggio indigeno

 

In nessun caso i resti conservati hanno consentito la ricostruzione del perimetro di una capanna. Scarse sono le tracce dei livelli abitativi: qualche resto di focolare, frammenti di pavimentazione a ciottoli fluviali riferibili a cortili e a fondi di capanne, fossette circolari per l’alloggiamento dei pithoi usati come contenitore d’acqua o di derrate e una tomba di bambino seppellito entro l’abitato. Il rinvenimento all’interno di quest’ultima di una fibula ad arco serpeggiante con disco spiraliforme, unico materiale databile alla metà del IX secolo a.C., è di fondamentale importanza per stabilire la cronologia del villaggio.

 

Le testimonianze più concrete della fase indigena rimangono le fosse di scarico di diametro variabile da un minimo di m 1,20 a un massimo di m 3 ed una profondità oscillante fra m 0,30 a m 1,00. Esse hanno forma circolare o ovale e presentano pareti leggermente ricurve e fondo a conca o pareti verticali e fondo piatto. Gli avanzi dei pasti contenuti permettono di ricostruire un’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento del bestiame con prevalenza nell’ordine di ovini, bovini e suini, mentre mancano del tutto ossa di equini. Ciononostante non pare che gli enotri di quest’area allevassero i cavalli, mentre tale pratica si diffonderà con la fondazione delle città greche di Metaponto e Siris che, come attesta Stradone, sono famose per l’ippotrophia).

 

Le fosse non contengono solo resti di pasto, ma anche pesi e fuseruole fittili, frammenti di intonaci e fornelli e naturalmente ceramica.

 

Fig. 4

Pianta e sezione di fosse indigene

 

Dai vasi d’impasto tipici del IX si passa all’inizio dell’VIII sec. a.C. alla ceramica dipinta con decorazione monocroma (bruna o nerastra), caratterizzata dal tipico motivo “a tenda” della produzione enotria.

Verso la fine dell’VIII sec. a.C. frammenti decorati secondo lo stile della ceramica geometrica di Cavallino, Otranto, Satyrion consentono di definire per l’Incoronata una fase gravitante culturalmente verso l’area iapigia: ai motivi “a tenda” si uniscono motivi tipici iapigi come svastiche e croci di Malta. Contemporaneamente si nota un influenza della ceramica greco-orientale, tardo-geometrica, in particolare rodia (losanghe quadrettate, motivi metopali, motivo dell’ “albero a meandro”).

 

La fase finale di questo abitato (fine VIII sec. a.C.) è caratterizzata dalla comparsa della ceramica bicroma (rossa e nera), le cui forme e motivi decorativi non si differenziano dalla parallela produzione monocroma. La bicromia non ha modo di svilupparsi all’Incoronata perché intorno al 700-690 a.C. la produzione si arresta e l’abitato indigeno è sostituito da un insediamento greco.

Di notevole interesse è il rinvenimento in fosse della metà dell’VIII sec. a.C. di frammenti di vasi corinzi del Geometrico Medio. I pochi reperti attestanti frequentazioni precoloniali sono un frammento di coppa protocorinzia del Medio Geometrico II, due frammenti pertinenti al ventre di una brocchetta forse del Medio Geometrico II e un frammento di kotyle del Protocorinzio Antico.

 

Fig. 5

Collina dell’Incoronata: grafico con il perimetro del terrazzo e le “strutture” greche individuate

 

L’insediamento greco

 

Nei primi anni del VII sec. a.C. il villaggio indigeno fu praticamente cancellato e si trasformò radicalmente, assumendo l’aspetto di un abitato greco. Il pianoro dell’Incoronata accoglie, al posto delle capanne, nuove strutture a forma di semplice oikos rettangolare, con muro di fondazione a piccole pietre a secco, elevato in mattoni crudi e probabilmente con tetto di legno e paglia, data la totale assenza di frammenti di tegole. Le case finora scavate misurano da un minimo di m 2,30 x m 3,30 a un massimo di m 3,00 x m 4,00; quattro di esse presentano un incasso di profondità variabile (da m 0,30 a m 0,80) usato come deposito o ripostiglio, coperto da un tavolato che fungeva da pavimento. Nelle restanti case il piano di calpestio è a livello dei muretti di fondazione.

 

Tutti i piccoli ambienti sono pieni di anfore commerciali e vasi di ogni tipo, sia di importazione che di produzione coloniale, e presentano segni di una violenta distruzione. Normalmente il materiale fittile si presenta frantumato e schiacciato sotto la massa delle pietre che in origine appartenevano ai muretti perimetrali.

Sotto le pietre e tra i vasi vi sono numerosi frammenti di legno, di mattoni crudi arrossati dal fuoco, strati con cenere e frammenti di argilla semicotta con impronta di rami o canne. Dal momento che tutti i materiali fittili dei vari ambienti presentano le stesse tipologie e sono contemporanei, è evidente che si tratti di un’unica e definitiva distruzione dell’insediamento.

 

La totale assenza di ceramica proto-corinzia “transizionale” o del Corinzio Antico e il materiale più recente rinvenuto negli ambienti distrutti (coppe tardo-protocorinzie e coppe con bordo decorato a filetti) consentono di datare la fine dell’insediamento intorno al 640-630 a.C.

 

Fig. 6

Pianta e sezione di fosse greche

 

Fra questi ambienti sono distribuite grandi fosse aperte in momenti diversi della vita dell’abitato e che verosimilmente assolvevano ad una duplice funzione:

1)     dapprima sono usate come cave di estrazione di terra argillosa adatta alla fabbricazione dei mattoni crudi dei muri degli elevati;

2)     successivamente sono usate come fosse di scarico di rifiuti.

Le fosse greche hanno forma ovale o tondeggiante, sono lunghe anche m 5,00 e profonde m 1,20-1,30 e sono facilmente distinguibili da quelle indigene. Quest’ultime sono più piccole e meno profonde, spesso presentano tagli o danni causati dalle fosse del successivo impianto greco e contengono solo ceramica indigena.

 

A differenza della ceramica indigena che mostra sempre le stesse caratteristiche perché si tratta della produzione relativa al villaggio indigeno dell’VIII secolo a.C. la ceramica greca contenuta nelle fosse greche permette attraverso lo studio della tipologia e della quantità di ricostruire le fasi di utilizzo delle fosse greche.

La fase di trapasso fra i due insediamenti comportò un abbassamento e un livellamento del terreno e le relativa distruzione di capanne e di parte superiore delle fosse indigene sino all’apertura nel nuovo livello di nuove fosse. Per questa ragione le fosse greche più antiche contengono una quantità maggiore di resti del villaggio indigeno (soprattutto argilla cotta male relativa a elementi di pareti delle capanne, focolari e altro).

 

Tipologie ceramiche

 

Enorme è la quantità di ceramica rinvenuta all’Incoronata “greca” sia ammassata all’interno dei vari oikoi che contenuta nelle fosse di scarico. Si distingue comunemente il materiale di importazione da quello di produzione locale.

 

Materiale di importazione

 

Le importazioni di ceramica fine sono esigue. Tra i piccoli vasi di importazione vanno segnalati: gli aryballoi (prevalentemente di forma transizionale dal conico all’ovoide) e gli skyphoi protocorinzi, le oinochoai ad alto collo schiacciato, qualche vaso argivo.

Merita di essere ricordato in particolare un deinos samio importato con decorazione figurata.

Per quel che riguarda i vasi di grandi dimensioni  si tratta perlopiù di contenitori da trasporto: anforoni protocorinzi acromi, recanti sulle anse o sul collo diversi segni o lettere greche, un gruppo ben attestato di anfore attiche del tipo SOS, e le più numerose e comuni anfore corinzie.

 

Tra il materiale monocromo si rivela la presenza di alcuni kantharoi e coppette di ceramica buccheroide di argilla grigiastra legati per la tecnica a modelli della Ionia settentrionale e brocchette di tipo argivo di argilla giallina friabile.

Nell’ambito delle importazioni è preponderante il ruolo di Corinto in perfetta consonanza con il quadro generale del Mediterraneo. Sono proprio i prodotti corinzi a costituire un 

valido aggancio per fissare la cronologia del sito, databile appunto tra il Protocorinzio Antico e il Tardo.

 

Materiale di produzione locale

 

Fig. 7

Il noto perirrhanterion dell’Incoronata

 

La produzione autoctona di ceramica è notevole per quantità, qualità e monumentalità. Le varie classi di ceramica dipinta riproducono in modo eclettico i motivi geometrici e figurati dell’Orientalizzante greco, derivati in particolare da modelli protocorinzi, argivi, cicladici e protoattici. Molto forte è soprattutto l’influenza della ceramica protocorinzia, avvertibile sia nel repertorio decorativo che nelle forme vascolari. Le tipologie ceramiche più comuni e rappresentative dell’Incoronata sono le seguenti:

1)     coppe di imitazione protocorinzia con fascia risparmiata con tremuli all’altezza delle anse;

2)     coppe a banda ondulata o a filetti di tipo ionico;

3)     stamnoi o crateri con decorazione subgeometrica molto vicina ai crateri argivo - siracusani del Fusco;

4)     deinoi, caratterizzati da un tipico motivo “ a vela” ai lati dei falsi manici ad anello e decorati da cavalli alati contrapposti, classe presente con le stesse caratteristiche anche a Policoro;

5)     hydriai con decorazione a bande o fasce ondulate di ascendenza greco-orientale;

6)     vasi globulari, simili ad aryballoi, decorati con losanghe e reticolati dipendenti dal geometrico rodio.

 

I frammenti figurati sono pochi. Tra questi ricordiamo la presenza di un deinos con raffigurazione di Bellerofonte che assale la Chimera e due leoni che aggrediscono un cerbiatto. Si tratta del primo vaso dipinto di soggetto mitico finora scoperto all’Incoronata, caratterizzato da un preponderante influsso di modelli protoattici.

I prodotti di lusso più interessanti sono costituiti dai peirrhanteria, tra cui merita particolare attenzione un esemplare ormai famoso per la monumentalità e complessità delle scene figurate su registri paralleli e che probabilmente doveva essere destinato a qualche capo della comunità indigena. La scoperta di frammenti di matrici conferma la sua produzione in loco.

I Greci dell’Incoronata

 

La collina dell’Incoronata “greca” appartiene al primo rango di colline alle spalle di Metaponto. La vicinanza alla colonia greca può far ipotizzare che si tratti della prima fase di sviluppo di questa città o che ad essa sia strettamente legata. Queste impressioni contrastano fortemente con la tradizione tramandataci dalle fonti scritte e con i materiali rinvenuti, inclusi i documenti epigrafici.

Secondo Antioco, riportato da Strabone (fr.12 Jacoby, apud Strabone, VI, I, 15 - C. 264-265), i coloni di Metaponto sono Achei fatti venire dagli Achei di Sibari per frenare l’espansione dei Tarantini. Nell’ottica di questo accordo con i Sibariti un’occupazione temporanea da parte dei futuri Metapontini di un fortilizio naturale quale è l’Incoronata non avrebbe alcun senso.

 

Il confronto con i materiali rinvenuti all’Incoronata, a Metaponto e a Siris-Polieion mostra la presenza all’Incoronata di una facies archeologica molto simile a quella della Siris ionica e una notevole discrepanza tipologica e cronologica con Metaponto.

La produzione ceramica di Incoronata e di Siris-Policoro inizia grosso modo contemporaneamente (circa 700 a.C.) e presenta analoghe classi di materiali, come nel caso sottolineato da Panzeri dei deinoi dipinti di ispirazione cicladica con il motivo dei cavalli contrapposti che, di contro, non sembrano attestati a Metaponto.

E’ chiaro, però, che mentre sulla collina di Policoro si deve ubicare una parte della ionica Siris, sulla collina dell’Incoronata si riscontra solo l’esistenza di uno dei tanti emporia di gente ionica.

 

Volendo, invece, rintracciare l’unico rapporto istituibile tra la ceramica dell’Incoronata e quella di Metaponto, non può sfuggire che la produzione più antica di Metaponto corrisponda a quella più recente degli ambienti distrutti dell’Incoronata. Da questo dato cronologico si può desumere una connessione tra la fondazione di Metaponto e la distruzione, non la nascita, dell’insediamento dell’Incoronata.

 

A corroborare ulteriormente che i Greci insediatisi all’Incoronata siano Ioni è l’analisi epigrafica di alcune iscrizioni greche rinvenute nel sito. In particolare su una coppa di fattura microasiatica è graffita in direzione retrograda un’iscrizione di proprietà con caratteristiche dialettali e alfabetiche che rimandano sicuramente ad un ambiente ionico.

 

Un altro frammento di rozza anfora del tipo SOS reca graffite in direzione retrograda tre lettere che presentano analogie con segni alfabetici incisi su un frammento vascolare proveniente da un’insula di Eraclea.

Se tutti questi elementi concordano nel definire i Greci dell’Incoronata come Ioni, va ulteriormente ribadito che allo stesso modo non provano che essi siano i futuri fondatori di Siris.

 

Natura dell’insediamento

 

La quantità dei vasi rinvenuti ha sollevato una serie di problemi inerenti alla loro collocazione all’interno dei vari ambienti e alla struttura dei medesimi.

Orlandini sostiene che non tutti i vasi fossero ammassati sul pavimento o deposti nell’incasso-ripostiglio degli oikoi che ne erano forniti: in buona parte la loro sovrapposizione nello scavo ha permesso di costruirne la collocazione su tavolati, ripiani e scaffali di legno.

 

Il numero notevole dei materiali non permette di ipotizzare un uso abitativo di queste strutture e rende più probabile una loro utilizzazione come deposito di merci. L’Incoronata “greca” è quindi un centro di raccolta, smistamento e produzione, gestito da Greci di provenienza ionica. Il sito può essere considerato alla stregua dei tanti piccoli villaggi pre-siriti che si sviluppano a partire dalla fine dell’VIII sec. a.C. e precedono la fondazione ufficiale di Siris. Rientrano in questa categoria l’insediamento di Poliporo, prima della costruzione della cinta muraria, e di Termitito, brillantemente definito da D. Adamesteanu come “caposaldo della penetrazione sirita lungo la costa in direzione del metapontino in epoca precedente allo stabilizzarsi di Metaponto”.

 

Osanna ritiene insostenibile questa teoria della “dilatazione costiera sirita” perché non ricollegabile ad un modello canonico di occupazione territoriale, ma solo perfettamente rispondente alla spiccata vocazione commerciale dei gruppi greci-orientali.

Più verosimilmente, come ha sostenuto Lombardo, il quadro definito all’Incoronata ammette entrambe queste interpretazioni:

 

1)     una in chiave “coloniale” con riferimento all’espansione commerciale sirita (sostenuta da Adamesteanu);

 

2)     l’altra più plausibile in termini protocoloniali che permette di colmare lo iato cronologico esistente tra i primi documenti di stanziamenti greci e la fondazione di Siris.

 

Il rapporto con gli indigeni

 

Come brevemente accennato nel corso della trattazione, prima della colonizzazione achea di Metaponto e di quella ionica di Siris, le alture emergenti nelle valli del Bradano, del Basento, del Cavone, dell’Agri e del Sinni erano occupate da indigeni che possiamo immaginare, tranne qualche rara eccezione, tutt’altro che disposti a cedere pacificatamente i loro territori ai greci. Le fonti antiche forniscono spesso utili informazioni sulla natura di questi rapporti. Ad esempio, secondo il racconto di Antioco di Siracusa, gli Achei fondatori di Metaponto lottarono con gli Enotri del retroterra e con uguale azione di forza gli stessi Colofoni si impadronirono del territorio dei Chones.

E’ chiaro che non si possa generalizzare e che ogni sito abbia una storia insediativa propria, caratterizzata  da peculiari dinamiche relazionali con l’elemento greco.

 

Ritornando al caso dell’Incoronata “greca”, fu Adamesteanu a sostenere per primo l’ipotesi di una convivenza pacifica fra greci e indigeni sulla stessa collina, fra la seconda metà dell’VIII  sec. a.C. e la prima metà del VII sec. a.C., basandosi sulla presenza di alcuni frammenti di ceramica geometrica enotria fra la massa imponente dei prodotti vascolari rinvenuti. Nuclei greci si sarebbero  inseriti fra gli indigeni con lo scopo di avviare proficue attività commerciali e gli indigeni “residenti” all’Incoronata vi sarebbero rimasti, armonizzandosi e integrandosi con l’elemento greco. Tra l’altro uno spostamento dei centri indigeni prossimi alla costa nelle zone più a monte verso Cozzo Presepe, Pisticci o Ferrandina, non sembra trovare riscontro nel consequenziale ingrandimento dei vecchi centri.

 

In effetti, all’Incoronata si assiste ad un tratto non alla scomparsa degli indigeni, ma solo delle loro produzioni. Il Lepore ha sottolineato come non si tratti di una caso di “isteresi demografica”, ma di un fenomeno di completa assimilazione, per cui gli indigeni producono ceramica “alla greca” accanto a eventuali maestranze greche che sono ospiti dello stesso ambito indigeno.

 

Di contro a queste letture interpretative Orlandini sostiene che la collina dell’Incoronata sia stata abbandonata dagli indigeni, indipendentemente che per causa di un esodo volontario o di uno spostamento traumatico. Non ci sarebbe traccia dell’esistenza di indigeni nel corso del VII sec. a.C., l’unico elemento percepibile attraverso la documentazione materiale sarebbe quello greco e i materiali indigeni all’interno delle fosse greche sarebbero facilmente spiegabili per l’appartennza ad una fase cronologica di IX e VIII sec. a.C., chiaramente antecedente e distinta dallo strato di frequentazione greca.

 

Ulteriori scavi effettuati dalla Soprintendenza della Basilicata presso l’azienda agricola ubicata nell’estremità occidentale della collina hanno, invece, rilevato la presenza di una necropoli indigena, frequentata tra la fine dell’VIII e la prima metà del VII sec. a.C. In particolare si tratta di un nucleo ridotto e caratterizzato dall’assenza di corredo, che De Siena ha giustamente accostato ai gruppi di indigeni in posizione subalterna presenti anche nelle necropoli di Contrada Madonnelle e Schirone a Policoro insieme ai coloni greci della prima generazione. Se pure tale necropoli si trovi in un’area distante dal sito dell’Incoronata “greca”, non è da escludere che sia stato il contatto con i Greci insediati presso le rive del Basento a destrutturare e a ridurre in un rapporto di subalternità i nuclei indigeni, sfruttati probabilmente come manodopera servile nella coltivazione dei campi.

 

L’insediamento dell’Incoronata “greca” ha prevalentemente una vocazione commerciale, ma ciò non toglie il naturale interesse verso lo sfruttamento agricolo della terre, insostituibile fonte di sostentamento di ogni insediamento greco.

 

La violenta e radicale distruzione subita dall’Incoronata “greca” è probabilmente da mettere in relazione con la fondazione di Metaponto. Del resto non si tratta più solo di regolare i rapporti con semplici agglomerati indigeni della prima età del Ferro, ma di convivere con insediamenti greci ben strutturati la cui permanenza non è più compatibile con lo sviluppo della nuova polis. La nascita della città di Metaponto non sembra più volta genericamente a contenere l’espansionismo tarantino, quanto mirante concretamente a eliminare nel territorio le articolate presenze legate a Siris: è solo il primo passo di una politica di espansione e di conquista verso la Siritide che si concretizza anche nella distruzione dell’ insediamento indigeno del fondo Andrisani a Metaponto.

 

La fine dell’abitato è attestata archeologicamente da una classe di materiali di importazione protocorinzia (coppe a vasca piatta, decorate da raggi) databili tra il 650 e il 630 a.C.).

 

Conclusioni

 

Non si può negare che la teoria elaborata da Orlandini sulla natura emporica del sito dell’Incoronata “greca” trovi sempre più ampi consensi, ma desta ancora una serie di perplessità. Torelli solleva la questione della mancanza di una ben riconoscibile sfera sacrale, che rappresenta l’ostacolo maggiore per intendere l’Incoronata “greca” come emporio.

 

Si è ancora lontani dal risolvere in modo esauriente tutta la serie di problemi che la storia dell’insediamento pone ed è più che auspicabile che la ricerca continui, ma soprattutto che sia mirata alla soluzione dei singoli problemi, primi fra tutti l’individuazione di un contesto sacrale, della necropoli e dei quartieri artigianali pertinenti all’abitato, nonché del bacino di utenza dell’emporio stesso. Orlandini ritiene che i destinatari delle merci siano soprattutto i villaggi indigeni enotri che nel VII sec. a.C. occupavano l’immediato retroterra, ma riscontri concreti nel territorio sono stati individuati solo a Pisticci e a Cozzo Presepe e sono del tutto insufficienti.

 

Solo nuovi dati uniti ad una rilettura dei risultati delle indagini già svolte, potrebbero anche rimettere in discussione ciò che ad oggi è considerato certo. La presenza di prodotti di grande monumentalità e prevalente funzione sacrale, come i perirrhanteria, suggerisce la possibilità di una interpretazione del sito anche in chiave sacrale: si tratta probabilmente solo di una suggestione, ma è da chiedersi se l’Incoronata “greca” non possa essere una realtà santuariale, intendendo gli oikoi non come magazzini, ma come favissae. In quest’ottica, che merita adeguato approfondimento che si rimanda in altra sede, segnaliamo le analogie con il sito di Francavilla Marittima sul Timpone della Motta. In questa località, situata anch’essa nella parte più alta di una collina, come all’Incoronata, sorgeva un fiorente insediamento indigeno.

 

L’arrivo dei Sibariti ha delle immediate ripercussioni sull’organizzazioni del territorio. Il villaggio infatti scompare e su di esso si impianta il santuario greco arcaico di Athena. Le offerte votive e i materiali della coeva necropoli ci testimoniano, però, la sopravvivenza degli indigeni. All’Incoronata la corrispondenza è fornita dalle 27 tombe indigene databili al VII sec. a.C. e situate in posizione marginale.

Sia in un caso che nell’altro è probabile che i Greci non abbiano totalmente decimato gli indigeni, ma che li abbiano verosimilmente assorbiti come manodopera servile.

Del resto bisogna considerare che l’istituzione di un santuario ha per i Greci un significato polivalente: non solo permette il normale espletamento dei culti, ma garantisce la protezione divina sui nuovi territori e costituisce un importante strumento di acculturazione e propaganda della civiltà greca presso gli indigeni.

 

 

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